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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

04. DELL’ODIO E DELL’AMORE

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Ogni bambino che si rispetti ha pagato dazio, con un disturbo degno di essere raccontato alla psicologa, al mistero dell’uomo sotto il cerone che in teoria (maledette teorie) e solo in teoria (maledettissime teorie) avrebbe dovuto farci sorridere. Uso il plurale perché non sono ipocrita. Il mio non aveva un volto, o almeno non è un volto che posso raccontarvi, ma ho lasciato l’esclusiva alla tizia che pago per ascoltarmi e non voglio caricarvi di quest’onere. Il mio è quello che cantava Neil Sedaka. Il mio è il Re dei Pagliacci.

Ecco qui / come ogni sera / i tuoi gesti fan la gente divertire / questo re / dei pagliacci / che ride e piange / nel suo mondo senza amore / e per un re / senza regno / che ha perduto la regina del suo cuore / per guarire / il suo dolore / lui regala tutti un po’ d’ilarità”.

Se l’avete letta cantandola vi abbraccio oltre la virtualità di questo mezzo di comunicazione certo che sappiate di cosa io stia blaterando. A questo punto non serve nemmeno svelare la mia passione per i pagliacci tristi, potrei solo aggiungere che il me ragazzino ha amato uno degli zii de “I SETTE MAGNIFICI JERRY” (The Family Jewels, USA, 1965, di e con Jerry Lewis): indovina quale?

Il suo pubblico non vede / quell’uomo triste / quando è solo / quando piange e si dispera”.

Sotto il cerone c’è la vita vera di quell’uomo fatto di carne e ossa. Una spruzzata di blasfemia, pertinente tanto quanto perdonabile, mi ricollega al storia di quel tizio fattosi uomo (per noi o per lui, sta tra le considerazioni personali). Che certe storie non finiscano sempre a ridere lo sappiamo oramai fin troppo bene, ci abbiamo fatto l’abitudine, e le nostre spalle sempre più larghe richiederanno crocifissi sempre più enormi.

Tralasciando i nomi grossi che la filmografia horror ci ha saputo regalare, mi dico che è arrivato il momento, come ogni anno nei mesi caldi, di riguardare almeno un film di Alex De La Iglesia. “BALATA TRISTE DE TROMPETA” (Spagna-Francia, 2010), uscito in Italia come “Ballata dell’odio e dell’amore”, un caleidoscopio grottesco di personaggi da circo la cui narrazione parte da quel circo infame che è la guerra, in questo caso La Guerra Civile Spagnola che rispolvera il sempreverde #fascistidimerda e ti fa prendere le parti del pagliaccio che armato di machete fa fuori decine di franchisti. Sotto il cerone, l’uomo ha una vita, ha un figlio che erediterà la passione per il mondo dei pagliacci ricevendo in omaggio il pacchetto completo comprendente il fantasma del padre e le sue massime: “allevia il tuo dolore con la vendetta”, “è meglio che tu faccia il pagliaccio triste”, “se non ridono, spaventali”.

Javier diventa adulto, viene ingaggiato dalla compagnia circense come pagliaccio triste, la spalla del bel pagliaccio che tutti i bambini amano. Si presenta come una goffa copia di Pierrot e ci mette un attimo ad innamorarsi di Natalia, la bella e sinuosa trapezista, la donna di Sergio (il clown figo) col quale ha un rapporto violento calmierato dal brivido dell’affermazione “la paura dà più gusto alle cose”.

E che non può raccontare / la tristezza del suo cuore senza amore”.

L’amore è la follia. L’amore è l’odio. L’amore e la follia. L’amore e l’odio. Gli accenti sono importanti. Il convinto “Con te è diverso” di Natalia farà scattare qualcosa nel cervello di Javier trasfigurando l’uomo sotto il cerone. Aggressioni, fughe, latitanza, cattività, vendetta, non stupisce che il film abbia vinto il Leone d’Argento per la miglior regia e il Premio Osella per la migliore sceneggiatura alla Mostra di Venezia presieduta da Quentin Tarantino. Mi piace pensare che un peso importante l’abbia avuto la scena sul finire della storia in cui Javier e Natalia, in fuga da Sergio, risalgono la croce della Valle de Los Caìdos (mausoleo voluto dal dittatore Franco per “sfidare il tempo e l’oblio”) ricordano un gorillone e la sua amata Ann sull’Empire State Building (“King Kong”, Usa, 1933 di Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack). Giù il cerone: appare inutile sottolineare che non siamo qui per ragionare sulle congiunzioni e sulle contrapposizioni tra questi due monumenti, ma per ridere e piangere, per amare e odiare Sergio e Javier, con Sergio e Javier, ammanettati dentro quella camionetta della polizia che è il cuore pulsante, in arresto, della scena finale.

Tra la la la la la li lo / Tra la la la la la li lo / Fingendo canta così / Tra la la la la la li lo / Tra la la la la la li lo / Il grande re dei pagliacci”.