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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

06. DELLA DEMOCRAZIA

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Mi piace la commedia italiana che prima della guerra, durante la guerra e dopo la guerra, ha spesso rappresentato con grande realismo le tante sfaccettature dell’homo italicus (ma anche della donna, e di ogni minoranza per la quale nutro da sempre un rispetto così profondo che se tu provassi a urlarmi “LibertaS!”, come nella migliore tradizione democristiana, il tuo urlo ci si addentrerebbe, risuonerebbe chiaro e sparirebbe nelle profondità fino a disperdersi e tornare al silenzio dell’acqua cheta dalla quale proviene).

Nel culto della Democrazia che l’Occidente a noi contemporaneo inserisce tra i sostantivi con significati accostabili a “bellezza”, “giustizia”, “parità”, la commedia riesce a raccontare caratteri e caratteristiche che sono del singolo ma che appartengono ai tanti. Se non è democrazia questa…

Ma mi dico che forse il cinema preferisce raccontare le dittature. E mi dico che forse lo spettatore preferisce guardare film in cui un qualche protagonista resistente si fa il culo per tutto il film e subisce quanto subisce Rocky sul ring russo contro Ivan Drago (Rocky IV, di Sylvester Stallone, 1985) e poi, sempre come lo stallone italiano (homo italicus, you know!), riesce a riemergere dalla sofferenza e vincere, vincere sì! “ADRIANAAAAA!!!” ( ok ok era un altro film della serie, lo so, ma non credo che Rocky ne abbia prese meno da Apollo Creed, quindi lasciamela passare).

Dall’alto della sua invidiabile posizione sul divano, o dalla comodità della poltrona, o supino sul letto che sia, l’impavido spettatore è fantasticamente partecipe della meraviglia che le gesta del protagonista riescono a trasmettergli. Lo spettatore fa proprie queste gesta e ne gode, così come giustamente ne soffre nei momenti più toccanti e difficili del film, i momenti in cui il protagonista sembra non riuscire a farcela davvero, momenti in cui il baratro è forse un finale non bellissimo, ma innegabilmente un finale realista. Evviva il realismo! Evviva il Re! Ah, no… (Che belli i ritmi della commedia).

Stavamo parlando di Democrazia, stavamo parlando di totale immedesimazione con gli eroi dei nostri film dal caldo del nostro culone comodo. Ma oramai che sono fuori tema, e il mio thè delle cinque è in infusione, mi chiedo se non funzioni così anche per l’esercizio della Democrazia (giuro che mi andrebbe tantissimo ma non mi soffermerò sul concetto di “esercizio della Democrazia”, ma mi si raffredderebbe il thè e non posso. Scusami). Oramai che sono fuori tema e mi sono perso, faccio un salto tra i condomini del personaggio interpretato da Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, noto ai più come Totò, nel film Gli Onorevoli (di Sergio Corbucci, 1963) e lascio che nella corte risuoni un fragoroso “Ricordatevi un nome solo: Antonio La Trippa! Italiano, vota La Trippa!” e un ancor più fragoroso “Sì, al sugooo…”.

Mi dico che la commedia italiana ha espresso con grande realismo le tante sfaccettature dell’homo italicus. E mi dico, ancora una volta, che il razzismo è proprio una stortura nel cervello umano perché anche dalla semplice valutazione dei film, genere commedia, molte moltissime volte è possibile trovare dei caratteri che superano questa stortura perché è facile capire che tante commedie potrebbero benissimo essere state scritte e girate in un qualunque altro angolo del mondo.

Prendi per esempio Idiocracy (di Mike Judje, 2006), la commedia che negli ultimi anni è riuscita a passare da “che merda! Chi mi restituirà questi ottantaquattro minuti?” a “Oracolo, altro che quella in Matrix!”. In culo a chi sostiene che sia commedia/fantascienza, è uno di quei film che l’avessero girato in Italia (o in qualunque posto in cui preferisci puntare l’inquadratura) non sarebbe cambiato nulla. Un film che, spinto da qual residuo di amor proprio, mi ritrovo a vivere in diretta da troppo tempo. Un film in cui “Il livello di intelligenza medio raggiunge livelli talmente bassi da mettere a rischio la sopravvivenza del genere umano”, è inevitabilmente un luogo ove ognuno ci si possa rispecchiare, un luogo in cui inevitabilmente si colgono i frutti di un lavoro che dura oltre un ventennio e che colpisce scientemente l’istruzione e che ridimensiona l’importanza della cultura e lo si fa veramente.

E allora prendiamo per mano la democrazia di cui si pensava stessimo parlando. Torniamo a quel culto che la accosta a concetti di “bellezza”, “giustizia” e “parità”. Spogliamola e guardiamola per quella che è in concreto e non per ciò che il concetto idealizza. Volenti o violenti, troveremo un modo per tornare a parlarne in concreto e non dall’alto della percezione di ominidi forti di ridicole percentuali maggioritarie, calcolate su una sempre più scarsa affluenza che rende il tutto ancora più ridicolo. In quelle reali non succederebbe, ma “nelle vostre belle democrazie” (cit.) i ragionamenti non contano un cazzo e gli usurpatori di logica pascolano indisturbati su prati irrigati da litri di materia grigia purissima. Bello! Sembra quasi di essere in uno di quei film di genere commedia/fantascienza, vero?

Ma, con buona pace di tutti i magnifici sceneggiatori e registi del mondo che dalla nascita della settima arte si sono avvicinati al boccino, questa è la realtà: il canone è altino ma il 3D funziona discretamente e sì, lo ammetto, quel culone sul divano che stanno inquadrando è il mio. Touché!