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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

08. DELLE PALLE

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Non credo di avere mai amato il Natale. Non credo di avere mai odiato il Natale. Non credo di aver mai amato i film di Natale, tranne “Una Poltrona per Due” (di John Landis, 1983). Non credo di avere mai odiato i film di Natale, a parte “Una Poltrona per Due”. Le controversie che mi ci hanno spinto sono banalmente legate all’abuso al quale siamo stati costretti negli ultimi anni. E siccome forse sto invecchiando, che resta comunque l’alternativa migliore, e tengo fede ad alcuni dei punti cardine della mia educazione, e siccome ricordo un disco dei Sonic Youth dello stesso 1983, intitolato “Kill Yr. Idols”, mi tengo sulle mie posizioni e faccio la mia parte, da bravo cittadino. Certo, siamo stati tutti ragazzini e non posso dire di non aver subito la fascinazione delle lucine, degli alberi, dei regali. Certo, siamo quasi tutti cresciuti e non posso dire di non aver sentito profondo affetto per il Signor Giordano e la sua interpretazione dell’Albero di Natale nello spezzone di Ciprì e Maresco. Sarebbe bello se istituissero un premio come miglior interpretazione dell’Albero di Natale, vincerebbe a mani basse.

La parte più rilevante di tutto questo totem culturale post-religioso, post-umanistico, post-apocalittico, post-diluviano, sta nelle palle. Una festività capace di radicarsi nelle profondità culturali di una società ha perfettamente ragione ad avere nell’albero la sua migliore rappresentazione. Ci sono un sacco di film su Gesù e sulla natività, andate a cercarveli, ma chi se ne fotte di Gesù? Tra presepe e albero non c’è mai stata competizione. E non fate finta di non avere mai avuto un parente, un cugino poco più grande di voi, uno zio simpaticissimo che nasconde i suoi problemi di alcolismo dietro il suo simpaticissimo sorriso, che ha piazzato un soldatino di piombo tra i muschi del presepe, in posizione d’attesa, pronto a fare fuoco non appena qualche agghindatissima zia piazza il bambinello nella mangiatoia. “Kill Yr. Idols”, dicevamo. Avete mai avuto un parente che ha piazzato soldatini in giro per la casa, pronti a sparare alle palle? Mai! L’albero è il simbolo della rinascita (chi se ne fotte di Gesù Cristo!), del ritorno alla fertilità della natura. Le palle sono l’orpello al quale affidiamo la distorsione della valenza cosmica di questa trovata pubblicitaria. Ci vogliono le palle per sopportare una roba del genere. Eccovele! Quelle decorative, lo sappiamo, simbolicamente si riproponevano il fine di addobbare il tutto con qualcosa che potesse raccontare le esperienze che si erano fatte e quelle che si sarebbero volute fare. I buoni propositi, certo. Esistono anche un sacco di film che parlano dei buoni propositi, come il trascurabilissimo “Non Buttiamoci Giù”, di Paul Chaumeil anno 2014, al quale ho sempre preferito il libro di Nick Hornby, anno 2008. Eccoli i buoni propositi: “Dirmi che potrei fare tutto quello che voglio è come levare il tappo dalla vasca da bagno e dopo dire all’acqua che può andare dove vuole. Voi provate, e vedrete che succede”.

A questo punto sarebbe facile dirmi “Chi se fotte dei buoni propositi?”. Eh, no! I buoni propositi servono, è convincersi che ci siano dei momenti precisi dell’anno in cui dobbiamo imporci dei buoni propositi che spariglia la giocata e manda a fare in culo tutti gli invitati che erano venuti solo per passare una bella serata, di quelle che puzzano di zona franca con pezzettini di merda tra i denti come una qualunque uvetta di un qualunque panettone di una qualunque tavola imbandita. Ma va bene così, eh! È festa e ci beviamo ancora qualcosa e va benissimo così. Chi se ne fotte della merda tra i denti quando possiamo sognare di avere una Delorean (Ritorno al Futuro 1, 2 e 3 di Robert Zemeckis, anno 1985, 1989, 1990) e settare la nostra zona franca perpetua su tutti i 25 dicembre che vogliamo? L’unica fregatura sarebbe quella di rinunciare alla curiosità. E la curiosità sta alla base di tutto il senso di essere essere umani. E qui finalmente entra in gioco (puoi dirlo forte!) un film in cui, senza dubbio, si chiarisce il fatto che ci vogliano le palle. C’è solo un film con ambientazione natalizia che ha un senso logico, perché il senso logico dell’essere umano lo contiene in ogni sguardo che ci si scambia, in silenzio, a quel tavolo: “Regalo di Natale”, di Pupi Avati, anno 1986.

Non credo di avere mai amato e nemmeno odiato il film che è Natale. È solo che forse gli preferisco il libro…