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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

11. DEL MOMENTO STESSO IN CUI TE NE STO PARLANDO

di:

Ciao, io sono Francesco. Tu come hai detto di chiamarti? Ah, non lo hai detto? Ok, ricominciamo.

Ciao, io sono Francesco e non avevo un inizio migliore di quello, ma anche se fa schifo non me ne preoccupo più di tanto perché mi hanno dato la certezza che tanto queste parole si cancelleranno nel momento stesso in cui le stai leggendo. Quindi magari scrivendo ancora qualche parola mi verrà in mente un nuovo inizio, quell’incipit bello bello che subirà la stessa sorte ma che non gratificherà né me che lo scrivo, tanto meno te che lo stai leggendo, perché mi hanno assicurato che le parole svaniranno nella tua testa nel momento stesso in cui le stai leggendo.

Allora perché scriverle? Mi chiederesti, con tutta la ragione del mondo e a prescindere da come cazzo ti chiami. E allora perché non scriverle, ti risponderei io che sono in cura per una questione con la quale potrei ammorbarti ma che tanto non ricorderesti e quindi non mi va poi tanto di scrivere. Certo, potrei fare il figo e impapocchiarti quella cosa tipo nel film Memento (2020, regia di Christopher Nolan), in cui il protagonista vive una condizione di reset che non gli permettere di ricordare le cose per cui decide di tatuarsele addosso cosciente del fatto che se si ritrova quel messaggio, evidentemente è una cosa importante dalla quale ripartire quotidianamente nella ricerca della sua vendetta nei confronti del tipo che ha violentato e poi ucciso la moglie. Ma a differenza tua, lui ha un giorno intero per prendere appunti, tu non ricorderai nemmeno della mia ricerca dell’incipit perfetto per un pezzo che dovrei consegnare e sono già abbondantemente in ritardo per l’autocritica che di solito metto sul piatto della bilancio in cui soppeso ogni parola, ogni espressione, ogni virgola, ogni incipit.

Ciao, io sono Francesco e oggi volevo tanto scrivere di quella cosa importante che è la memoria, del prendere appunti per sottolineare mentalmente e fisicamente quelle certe determinate cose che hanno necessità di essere ricordate. Senza arrivare a gesti estremi come il Walter di Number 23 (2007, regia di Joel Shumacher) e senza dover necessariamente richiamare l’attenzione della sanità nazionale, abbiamo la possibilità di prendere appunti. In senso lato, in senso figurato, in astratto e in concreto.

Prendere appunti è come quei giochini della cara vecchia Settimana Enigmistica in cui unisci i puntini e ti viene fuori un quadro la cui immagine riconduce al concetto tutto. Puoi guardarlo dall’alto e avere la percezione di aver completato un ragionamento. Ma possiamo dirci certi che un concetto sia completo, noi, esponenti presenti di un passato che conosciamo a grandi linee e di un futuro che mai fu così nebuloso come quello che ci si prospetta davanti? Credo di no, per questo reputo importanti per l’evoluzione tutta, quelle persone che sono state capaci di prendere appunti, a partire dai nostri primordiali genitori che incidevano di scritture rupestri la roccia delle caverne. Avevano già capito che poteva essere d’aiuto. Io non ho ancora imparato a fottermene dell’incipit, ci tengo ancora un sacco a fare in modo che l’approccio sia corretto, cordiale, che possa spezzare il ghiaccio che conserva il rapporto tra lettore e scrittore anche se consapevoli che tutto sarà immediatamente dimenticato e con quei pezzetti di ghiaccio potremmo al massimo farci venire voglia di un cocktail.

La memoria, come la conoscenza, come la consapevolezza, come il fuoco, ha bisogno di essere alimentata, spolverata, lucidata, resa fruibile anche al solo passaggio mentre stai facendo altro ma facendo altro ti approfitti per ripassare un po’ le cose. Come quando cercavo una parola nell’enciclopedia costosissima per la quale i tuoi genitori hanno firmato cambiali e cambiali e cambiali, e mi imbattevo strada facendo in così tante altre parole che abitavano nella zona in cui abitava quella che stavo cercando, da perdermici. Non ti sei mai perso dentro un’enciclopedia?

Ciao, sono Francesco e vendo al miglior prezzo sul mercato la migliore enciclopedia a volumi che tu possa aver mai desiderato. Sono 6+6+6 corposi volumi pieni di pagine bianche, bianche affinché tu possa appuntare tutto quanto sia importante appuntare. Non è il momento di parlare del prezzo, siamo qui per evolverci non per cedere alle tentazioni del Dio denaro. Ora sto per scrivere il titolo di un film ma tu non chiedermi perché lo faccio, eccolo: La guerra del Fuoco (1981, regia di Jean-Jaques Arnaud). Ora che lo hai dimenticato posso anche dirti che l’idea di scrivere il titolo di un film potrebbe non aver niente a che fare con la trama del film stesso in cui si narra di questioni aperte tra i nostri antenati uomini di Neandethal e gruppi di Homo Erectus che si scontrano utilizzando unicamente linguaggi fatti da gutturali e gesti a noi incomprensibili. E non ti parlerò nemmeno dell’importanza che assume, nell’epoca di qui racconta quel film, il fuoco in quanto fuoco (lo so che vorresti tornare a leggere il titolo del film di cui ti ho detto che ti avrei parlato ma si è cancellato, ahimè). Facciamo che non ti dico niente.

CIAO, IO SONO FRANCESCO E OGGI È IL TUO GIORNO FORTUNATO! Hai appena vinto un’enciclopedia composta da 18 corposi volumi! Io, come da tradizione, ti chiedo solo di poterti lasciare il mio bigliettino da vista con una citazione di Gustav Mahler, che sono certo avrai la sensazione di aver già sentito da qualche parte ma non ricordi dove: “Tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”.