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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

18. DI COSA ME NE FACCIO DELLE COSE

di:

Mi sento dire da sempre che devo credere nei miei sogni e poi quegli stessi filosofi piazzano chili e chili di realtà come diga tra me e il futuro. Ho imparato a scherzare, a scrivere “W LA DIGA” ad ogni blocco che mi si para davanti ammiccando alle simpatie degli autoctoni che, in parte involontariamente e in parte perché ogni tanto cerco compagnia, invoglio a proporsi per darmi una mano nell’opera di smantellamento. E io la mano l’accetto, certamente. E smantello, se serve smantello. L’accetto come l’accettò “Cannone” (IT, 1990, regia di Tomas Lee Wallace) in preda alla sua naturale propensione per le costruzioni e le distruzioni. Le costruzioni e le distruzioni. L’abilitazione a fare qualcosa nasce con noi, cresce con noi, piange con noi e di noi si nutre. Di giorno chiede calorie. Di notte chiede migliorie. È per questo che sogniamo (Nightmare – Dal profondo della notte, 1984, regia di Wes Craven), mica per dono divino. Si sogna come un parente sul divano, nella sera che parte dal pomeriggio e che precede la mezzanotte di Natale (Nightmare Before Christmas, 1999, regia di Henry Selick): si sogna male. Si sogna male nella notte in cui il bene farebbe meglio ad abbassare la cresta, in cui l’onda è ancora alta e se non sai capire il respiro del mare l’ipotesi di finire infranto sugli scogli non è quotata nemmeno dai più azzardati centri scommesse. Si sogna, come ogni anno, qualcosa di meglio. Si sogna da codardi, ecco: sogniamo da codardi con la coda di paglia e una cerbottana per amica. Hai mai notato le differenze tra brindare da sobrio e brindare dopo un po’ dal primo brindisi?


[SE SEI ASTEMIO, PER TE “CINE MA ALTRO” FINISCE QUI, CIAO, BUON 2023!]

Hai notato l’escalation di piacere tra il vedere riempire un primo bicchiere e poi vedere riempire il secondo? E tra il terzo e l’altro? E tra l’altro e il prossimo? E tra il prossimo e l’ultimo? (Un altro giro, 2020, regia di Thomas Vinterberg). Io non l’ho mai notato ma mi hanno detto che sono i dettagli ad abbellire i ritagli di tempo che, da bravi maniaci amanti delle proprie gesta, incolleremo con la colla stick al nostro album della nostalgia. L’album delle “cose fatte” fa il culo alla “lista dei buoni propositi”, come ogni fine anno. Capi, schiavi, danni, gente per bene, tu chi hai detto di essere?, risate a comando, risate, Commando (1985, regia di Mark L. Lester), smart TV, dumb platee, inutili telecomandi soppiantati da comandi vocali di qualcuno che sa bene cosa dire, voglia di comprare consonanti, codici fiscali al riparo dai controlli di uno Stato che sembra non avere un cazzo da fare e si dimena male in festini in cui i più non si sanno divertire e chi saprebbe divertirsi pagherebbe volentieri con il carcere il suo divertimento one shot. Provare a prendere le misure vale solo se sei un cassamortaro. Provare a prendere TUTTO vale come vale la regola del pesce rosso (2003, Big Fish, regia di Tim Burton) “Tenuto in un piccolo vaso il pesce rosso rimarrà piccolo, in uno spazio maggiore esso raddoppia, triplica o quadruplica la sua grandezza”.

Mi serve una nuova cantina e una nuova cantilena da ripetermi, scemo, ogni qual volta andrò a riporci qualcosa di nuovo. Qualcos’altro. Qualcun altro. Un numero nuovo sul datario. Un riferimento temporale sul diario su cui ogni giorno potrei scrivere per l’ultima volta. Quest’anno, in ordine sparso: ho vinto, ho perso, ho fatto l’amore con te, ho fumato solo, ho odiato, ho creduto, ho ceduto, ho bevuto, ho trovato un biglietto della felicità e l’ho scambiato con l’ebrezza inconsapevole di un giorno in più perché magari chissà cosa succede, ho parlato con il bambino che sono stato anche se lui non c’è più, ho scherzato con il vecchio che non è detto che io diventi, ho indossato dei guanti bianchi nel rispetto della penna che tengo tra pollice, indice e medio, ho lucidato un pomello prima di decidermi ad entrare, sono uscito peggiore, sono uscito a guardare le stelle in una notte di tempesta, mi sono spezzato il collo, ho tardato, ho tradito, mi hanno accoltellato alle spalle, mi hanno accontentato di faccia, mi sono accollato più di quanto potessi accollarmi, dallo specchio ho mostrato i denti a un tizio che dice di possederli ancora tutti “guarda!”, ho sanguinato e cicatrizzato, ho sorpassato una macchina degli sbirri che faceva da tappo, ho interiorizzato l’imprevedibilità, ho teorizzato le possibilità, ho terrorizzato l’occidente non andando a votare, ho vuotato il sacco, ho differenziato i giorni tra “bagno a mare” e “no”, ho speso dei soldi per fare regali, ho impacchettato un munzeddo di fumere per concimare campi elusivi, ho attaccato un nuovo adesivo sul faccione del mio portatile, ho fatto cadere le braccia a una Venere di Milo che avrebbe voluto toccarmi il viso e baciarmi, ho visto le foto dello spazio più profondo in maniera sempre più nitida, ho rotto il cazzo a qualche fascista e ai confini presidiati del suo piccolo piccolo canale di scolo su questo mondo. Non credo di aver fatto altro. Non credo di aver voluto fare altro. Non avrei saputo cosa farmene di altre cose. Non avrei saputo dove metterle e non sono bravo a fare la cernita ex post. Mi serve un nuovo ripostiglio. Mi serve un nuovo consiglio direttivo per farmi dare indicazioni che non credo di voler seguire. Mi serve un vicino di casa amante del vino e un amministratore di condominio. Mi serve un nuovo abominio nel quale riconoscermi. Mi serve accusare qualcuno perché serve a me e non viceversa. Mi serve un artiglio e mi serve un appiglio. Sbadiglierei se non avessi così tanto da fare. Sbaglierei se dicessi di sapere che cosa farmene delle cose da fare. Dimenticherò che cosa me ne sono fatto di tutte quelle cazzate lasciate lì a prendere polvere in attesa di trovar loro una collocazione che hanno già avuto. Tutte quelle cazzate che mi hanno già avuto. Prendo quel munzeddo di fumere, ne prendo quanto me ne serve. Lo frantumo. Lo sgrano per distribuirlo nel vaso di tutti gli alberi di Natale del mondo su cui sono stati impiccati i buoni propositi. Concimo l’asfissia. Brindiamo anche alla mia.

Prima del primo sorso annaffio la terra alla quale chiedo condivisione. Brindo con le terre più gelose. Brindo con le terre più golose. Se son COSE, fioriranno.

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.