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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

19. DEI VANTAGGI PRESI E DEI VANTAGGI RESI

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“Non avere voglia di avere voglia, non è essa stessa una voglia?”. Ho fermato il tempo su questa domanda. Coglierne il senso era del tutto secondario, la voglia è voglia (Voglia di Vincere, 1985, regia di Rod Daniel). Toglierne il denso retrogusto era la vera svolta che, tra l’ideologia spicciola e la rimarcata sensazione che non è detto che cambiare a tutti costi abbia un prezzo adatto a tutte le tasche, stuzzicava nell’intimo chiunque avesse intenzione di giocarsi l’ultima carta seguendo la regola della semplicità.

Tra trattative stato-mafia e perizie calligrafiche affidate ad improvvisati del mestiere, si decise che un Natale all’anno era davvero troppo. Troppo tutto: troppo poco tatto, troppi anfratti inesplorati per chi non ha alcuna intenzione di mettersi in gioco facendo patetici auguri falsi, troppi squalificati alle cene di famiglia, troppe corrotte ingiunzioni di sfratto. Lo scatto autoritario degli sponsor dell’evento convinsero i media a parlar bene dell’idea (ideona?) di parificare il Natale ai Mondiali di Calcio: ogni 4 anni, sarebbe stato il tempo giusto.

“Cogli la voglia quando è il momento”, disse così Papa Walt I. E così fu.

Lasciò di sasso i fedeli, i felici, gli infedeli, gli infelici, le fenici costrette a riformulare il piano programmatico, le cornici in silver plate da riciclare al parente che più ti sta sul cazzo e una buona parte degli scettici, portati tendenzialmente a dar torto al santo padre che però stavolta l’aveva detta giusta (Do the Right Thing, 1989, regia di Spike Lee) e sconfessarlo sarebbe stato parecchio difficile.

“Togli la voglia quando è il momento”, disse così Papa Walt II. E così fu.

Seguendo l’antica consapevolezza secondo la quale il nostro peggior nemico siamo noi stessi (un film qualunque con dei doppelgänger, se non lo ricordate chiedete a lui), ci siamo detti che sarebbe preferibile immaginarci più felici nell’attesa che nel momento della fine dell’attesa. Ci siamo detti che il concreto si mangia l’ipotesi dei sogni. Ci siamo detti che l’ipofisi è dedita a certi brindisi che i ricettori analizzano e sintetizzano in parentesi. Ci siamo detti che certe paresi facciali, che a volte sembrano dei sorrisi scemi, sono proprio dei sorrisi scemi.

“Spoglia la voglia quando è il momento”, disse così Papa Walt III. E così fu.

Abbiamo dunque accettato che il destino quadriennale di luci, lucine, alberi finti, palline e cianfrusaglie di Natale, le riempisse di responsabilità come accade per ogni nazionale di calcio che deve guadagnarsi la qualificazione. La meritocrazia della partecipazione alla festa di compleanno di un Cristo fuori dal tempo ha minacciato in concreto la lista degli invitati, paonazzi e spaventati dall’idea di rimanere fuori dai giochi. Quei pochi che ci credono davvero possono stare tranquilli. Quei tanti che non ci credono proprio proveranno uno di quegli ipocriti stratagemmi fatti di conoscenze, apparenze, ingerenze, obbedienze che l’opulenza dell’Occidente tende ad oliare con il sangue di uomini-emulsione atti ad assolvere al proprio compito ricevendo per contrappasso, e non tutti, un contentino di cui vantarsi con chi ne capisce meno di loro.

“Sfoglia la voglia quando è il momento”, disse così Papa Walt IV. E così fu che si stabilì che “Non avere voglia di avere voglia è essa stessa una voglia”.

Fu così che l’impatto ridicolo del ricordo dei fasti al sapor di oro, incenso e mirra si affievolì.

Fu così che iniziò il letargico attendismo (“la ricarica”, la chiamarono) alla base del piano di lavoro degli sponsor padroni che rideterminarono le dinamiche organizzative di un periodo che ha bisogno di fede, intrattenimento, fede, disimpegno, fede, leggerezza, fede, roba alla portata di tutti, fede, roba che non puoi servire alle tavolate e fede. Ma tutta questa fede non la si è trovata e centellinare divenne il diktat.

Fu così che gli sfruttatori dei vantaggi presi e i “no grazie” dei vantaggi resi iniziarono a baciarsi fluttuanti nella persistenza dell’equilibrio, tra labbra seccate e umettatori di umori, tra liquidi e solidi, tra nascituri e imperatori, tra acidità di stomaco e gastroprotettori, tra il dire e fare, tra biografi ufficiali e martiri che non lo avrebbero mai considerato martirio. Loro non lo fanno.