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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

22. DELL’IDEA CHE SIA UNA BUONA IDEA

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Tipo quando quando vivi da solo. Ti sarà capitato di tornare a casa la sera dopo una giornataccia. Ti sarò capitato di tornare a casa la sera dopo una giornatona. A me è capitato. Sono di razza e torno. E la sera, prima di infilare la chiave nella serratura, suono. Non aprono. Apro io.

Non è come il poker, sia chiaro (Il Giocatore, 1998, regia di John Dahl). Non serve avere una buona mano da giocare. Serve aspettare per quei pochi secondi che qualcuno ti apra. Ma non hai mai aperto nessuno, per ora. Peroro la causa della convinzione che ciò che è buono è una copertura di ciò che non è buono che non vuole farsi riconosce. Il non buono in incognito ti scruta lo scroto, a te, testa di cazzo.

E tu sorridi incurante del tuo interlocutore (I soliti sospetti, 1995, regia di Christopher McQuarne). Leggo. Una scala a chiocciola sulla quale inerpicarsi ti suggerisce di passare. Panta rei. Mi confesso in quei pochi secondi in cui guardare le facce degli altri al tavolo lascia in sospeso un discorso che non è un discorso ma un silenzio che prescinde dal caso. Il caso, la cosa, la rosa dei venti che possono cambiare da un momento all’altro e l’inutile convinzione che essere nati in un borgo di mare potrebbe giocare a tuo favore, confutano l’irrecuperabilità della questione che non sarebbe questione se così non fosse. Del senso dei “poi” sono piene le fosse. Forse faccio in tempo a ricordarmi in che cassetto ho lasciato marcire i miei sogni. Ne apro uno. Ne apro due. Se apro il terzo ammetto la sconfitta. Richiudo il primo e il secondo. Sapere ciò che già sai serve solo a confermare che non hai bisogno di conferme. Mi fermo a pensare che non apre nessuno. Il terno al lotto è roba per chi ha installato autocad solo perché ha pagato le tasse di iscrizione ad architettura.

La dittatura è finita andate al diavolo (Il dittatore, 1940, regia di Charlie Chaplin). È inutile sbattere i pugni sul tavolo dell’autopsia. La polizia del dilemma si inventa che hai ragione solo perché ragione e torto hanno il cazzo troppo corto e quale che sia la tua idea di divertimento ti lasceranno fare. Lascia il fare e accetta il dare. Dare credito a chi non lo merita. Dare filo da torcere a quei pesci grossi che hanno abboccato e tu li lasci dissanguarsi. Non ti distrarre mai. Mai. Ho detto mai.

Dotto (Biancaneve e i sette nani, 1938, regia di David Hand, Perce Pearce, Wilfred Jackson, William Cottrell, Larry Morey, Ben Sharpsteen) non si scomoderebbe per raccontare l’ovvio se l’ovvio non avesse bisogno di scomodare Dotto. Fanculo Maometto e fanculo la montagna. Vi aiuteremo a casa vostra, infami. Non vi diremo che dovreste ringraziarci ma ci segneremo su un diario di bordo i nomi e i cognomi di chi non lo farà. Che ci fa? Farà quel che farà.

Nel frattempo l’idea di buttare nel fuoco il tizio che suona la chitarra, e la chitarra, prende sostanza. La forma delle fiamme ha il volto delle mamme che hanno provato ad esserlo e non le avete ascoltate. La forma delle gomme sgonfie e del tuo fiato corto ti trasforma in un morto che cammina (I walked with a zombie, 1943, regia di Jacques Tourneau). Chi va con lo zombie impara a zombiare. Fu così che fare finta di niente si dimostrò essere tutto ciò che non avremmo dovuto idealizzare. Idealizzare, pallido storto, presso un rovente culo morto, trasportare nei fiumi gli incerti: è bello vederli, è bello goderti. Aspettando godo. Sudo ogni goccia che riesco ad esprimere. Illudo ogni boccia ed ogni pesciolino destinato a mangiare la propria merda. Che si vinca o che si perda, si fottano gli arbitri, i tifosi e i bagarini. Chi ha da pagare che paghi. Chi ha da pregare che preghi.

Le beghe sulle bighe: ecco cosa cerco per il mio peplum in cui gli intrighi del potere sono intrisi di un veleno che il tempo ha distillato per mantenerlo vivo. Vegeto tra i vegani che vogliono mordermi. Forse non è proprio legarle, sai, che ti farà fare di tutte le erbe un fascio. Mi lascio andare con la certezza che ci rivedrò all’inferno. La primavera bussa alle porte. Aspetta qualche secondo. Proverà il suo brivido come tutti al posto suo. Non aprirà nessuno. Estrae il suo mazzo di chiavi dalla tasca. Entra. Puzza di chiuso. L’unica cosa che le resta da fare è spalancare le finestre.