Dollis Hill e’ una zona del North West London dentro la municipalità’ di Brent. A due passi da Portobello e Camden ed abbarbicata su una collina raccoglie in silenzio eco e riverberi musicali della City. Queste che seguono sono cartoline sonore (o trascrizioni di cassette?) di concerti fortuiti visti in venue che forse non saranno più’, e principalmente di band o artisti di cui (forse) non avete mai sentito parlare. Ma che fareste meglio ad ascoltare.
di: Carlo H. Natoli
DISCLAIMER: La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Ma soprattutto di dischi, vinili e cassette che non puoi fare a meno di comprare, senza nemmeno poterli ascoltare, solo perché’ ti piace la copertina o perché’ un nome nei credit ti dice qualcosa. E poi costano poco, forse.
Prologo (where I end and You begin)
L’idea di base di questa rubrica sarebbe, ancora una volta come in Dollis Hill Tapes, di portarvi in giro come stalker benvoluti, su richiesta del sottoscritto, per strade e piazze inglesi (ma non solo) che fra pandemie e distanze sono di difficile frequentazione, perlomeno ultimamente. E allora la nuova scusa è il crate-digging casuale, cioè pescare dischi, vinili principalmente ma anche cassette (perché’ lo stereotipo hipster non deve mancare di colpire tutti e 360 i gradi a disposizione) che il vostro affezionatissimo compra praticamente a caso, vuoi perché la copertina vale da sola il disco (come le esosissime bottiglie di pessimo vino da queste parti), vuoi perché’ sul retro campeggia QUELLA SEZIONE RITMICA LI, vuoi perché ti fa sorridere l’idea di un disco con un concept del genere (ci arriveremo, non vi preoccupate, non oggi, ma ci arriveremo sicuramente). Hai soldi da spendere, penserete. Non tanti, ma la verità è che da sempre il mercato dell’usato in Inghilterra è una vera e propria manna, e molto spesso in questa rubrica parlerò di capolavori costati tra i 50 penny e le 5 sterline (al massimo! Signora, mi sono rovinato).
Ritrovamento (Another Sunny Afternoon)
Fatta questa premessa, il primo disco di cui parliamo oggi non fa parte di nessuna delle categorie qui sopra. Ecco. Cioè tecnicamente di alcune, ma come al solito quando ci sono io di mezzo le cose si complicano, quindi ho pensato di aprire con uno dei più interessanti e anche uno dei più complicati (da giustificare), così mi tolgo il dente subito e via che è tutta discesa. Mi spiego, questo disco è un regalo, al buio, cioè mi è stato regalato perché la copertina era intrigante (secondo chi me lo ha regalato, la proprietaria della macchina da cucire dietro il disco, per intenderci), senza averlo mai aperto né ascoltato. Ottimo no? C’è da dire che non credo sia costato poco, perché non è usato e soprattutto viene da “Sounds of the Universe” uno dei templi della world (ma anche incredibily strange) music nonché’ casa di Soul Jazz Records, con annessa magnifica libreria sotterranea: lo trovate a Soho non lontano dai compari Reckless e Sister Ray, per la precisione a Broadwick Street. Quindi ho appena tradito tutte le premesse della rubrica. Ma andando avanti.
Insoliti Sospetti (i am invincible in these sunglasses)
Strulgattu & Meierkord, da qui in poi per brevità “i musicisti”, incidono questo disco per la loro Messy Weekend Records (?) nel 2017. Strulgattu (“la strada del piantagrane”) è un duo (Magnus Haglunds e Matts Person) di elettronica analogica formatosi nel 2016 a Siljansnäs (un villaggio di 1268 persone che si affaccia sul lago Siljan), mentre Henri Meierkord è un violoncellista di Helnsiborg che si è aggregato al duo (successivamente? L’oscurità regna su questo punto, capirete perché a breve). Dal poco che sono riuscito a recuperare i tre musicisti scrivono ispirandosi allo stile di vita rurale nei dintorni del lago. Molto poco, per essere un disco edito nel 2017 e seguito da un disco di remix e un 12″. Se avete già letto Dollis Hill Tapes di questo mese potete aspettarvi quello che sta per succedere, altrimenti è uno spoiler bello e buono.
Messy Weekend deve essere andata, intorno al 2018, incontro ad un fine settimana incasinato di troppo. Questo qui sopra il loro sito ufficiale. E i loro canali social sono fermi al 2018. I musicisti sono inesistenti sui social, e il poco che ho ritrovato viene da cache di vecchi siti lette per pura fortuna e da un micro-documentario (8 maledetti minuti). Per (quasi) citare qualcuno di molto presente sui social: Welcome to the best new six-part swedish crime drama. Il Disco s’intitola ” Fritt efter en” che più o meno sarebbe “Libero alla fine della strada”, stampato in edizione limitata (300 copie, doppio vinile 180 grammi) è liberamente ispirato a “Himlaspelet” (Heavenly Play) opera svedese del 1942 e dedicato nelle note di copertina a Fariba (??). Oltre alla musica, contiene un libro in formato 30×30 con note per ogni pezzo e opere grafiche (di David Wentz) davvero notevoli. Davvero.
Centro Elaborazione Dati (I’m coming home to You)
La musica, per Giove, quello che conta. Siamo dalle parti di una Rune Grammofon (sezione elettronica, ovviamente) con un taglio più pastorale ed organico, meno freddo e distaccato: è elettronica suonata, pochissime sequenze, giusto qualche loop di drum-machine rigorosamente analogica a scandire il tempo marzialmente. Nuvole vaporose di moog e string-machine rincorrono il violoncello, che ha il compito di ricordare a tutti l’origine della musica: celebrare la nascita spaziale del lago Siljan (un meteorite pare essere all’origine del suo bacino), ma anche la sua organicità con la natura circostante. “Den Rike Manne” è un ottimo esempio dell’equilibrio quasi militare che a tratti i tre raggiungono, come in una versione post-romantica e jazzy di certi Death in June.
Anche negli episodi quasi-dancey, come nella micro-epica “Salomos Gastabud”, aleggia una vena malinconica da fare desistere qualunque potenziale ballerino del weekend (messy o meno).
Ma è sicuramente negli episodi più rarefatti e sospesi del disco, vedi il trittico iniziale “Tinget” (un incedere indolente e intontito) “Profeternas fäbod” (il violoncello si ricava uno spazio fra il pulsare dilatato della cassa elettronica) e “Herdarnas äng” (micro cascate di distorsioni digitali) dopo l’iniziale “Prolog” che i nostri danno il meglio, con pochissimi mezzi, ma efficacissimi, nel mettere in scena un inquietante paesaggio lacustre nord-europeo, dove l’inquietudine è tutta mia, lo so. Ma tant’è. Mi piace.
E adesso largo per piacere, non c’è niente da vedere. Buon ascolto