di: Bruna Natoli
Editoriale Settembre 2021
15 agosto 2021, prendo l’ombrellone, settimana enigmistica e crema solare, ma, mentre preparo il cocomero da portare in spiaggia, Kabul cade, per la terza volta, in mano ai Talebani.
Il primo pensiero corre alle donne, alle bambine soprattuto. Il secondo agli artisti.
La capitale Afgana che lentamente stava riprendendosi la propria identità è costretta a ripiombare nel buio. Certo, di strada ce n’era ancora tanta da fare, ma adesso ogni possibilità di ricrescita è perduta.
E si, potremmo partire con la polemica sugli ultimi 20anni di occupazione americana, ma invece la tristezza questa volta prende il sopravvento: guardare la gente che lancia i propri figli in braccio a degli estranei rischiando di non vederli mai più piuttosto che saperli in un paese governato da terroristi fa pensare ai nostri privilegi, a noi che siamo nati a culo in un posto dove il problema più grave e non potersi sedere al tavolo del ristorante perché sprovvisti di green pass. Ironico, eh.
L’estate sta finendo, lo sai che non mi va. Io sono ancora solo, non è una novità. Tu hai già chi ti consola, a me chi penserà.
Per carità, ognuno coi suoi problemi.
Eppure non faccio che pensare a quegli artisti che presto non esisteranno più, la conta è già iniziata e le prime teste sono già saltate, letteralmente, ma da tempo.
Era fine luglio quando Kasha Zwan è stato catturato, torturato e sgozzato. Perché? Era un comico, faceva satira e prendeva in giro i talebani. Ma mentre lo stanno portando a morire il suo animo non si placa, non invoca pietà, non piange né si dimena. Continua a fare il suo lavoro: li prende in giro.
Ecco, non voglio dire qualcosa di scontato, non voglio farvi uscire una lacrimuccia di compassione; vi dico questo perché da maggio non faccio che pensare a quelli come Kasha, che sapendo di vivere in un posto a rischio, sapendo che con le sole parole pronunciate rischiano di essere sgozzati, continuano a portare avanti la loro arte. E ancor di più adesso penso agli oltre 400 artisti afgani che scompariranno nel buio, qualcuno cerca di scappare, ma tanti hanno deciso di rimanere lì, a lottare per poter dire la propria a casa loro.
Ripenso alle parole di Shamsia Hassani, la prima artista di street art afhana, classe ’88: “Voglio colorare i brutti ricordi della guerra, e se coloro questi brutti ricordi, allora cancello la guerra dalla mente delle persone. Voglio rendere l’Afghanistan famoso per la sua arte, non per la sua guerra”. Cosa colorerà adesso?
Una fotografia è tutto quel che ho, ma stanne pur sicura io non ti scorderò.