di: admin
La Pallacanestro, non il basket, è una metafora della vita.
Nella città di Kammir vige l’usanza di non scandire la vita in anni, bensì in momenti in cui si è “goduto”; per “godere” ognuno di voi intende quello che vuole (lavoro, arte, degustazione di vini, di uomini, di vizi), io traggo godimento in quei 40 minuti, in genere, chiusi in delle linee rette 15×28. Perché, soprattutto, mi aspetta la birra al pub subito dopo la doccia.
La Pallacanestro, chiaramente, è piena di storie di uomini unite da un minimo comun denominatore: sia da bambino quando tiri nel canestrino, che da studente quando, anziché studiare nella stanzetta, strappi fogli di quaderno cercando di far canestro da posizioni impossibili, con il pubblico avversario che vorrebbe la tua testa. Il frastuono, le grida, ma tu te ne infischi e “ciuf”, solo rete; infili un buzzer all’ultimo respiro, vabbè al settordicesmo tentativo, ma tanto lo sai solo tu (!) e tutto ciò ti fa sentire come loro: Kobe, Petrovic, Myers.
Cugino di secondo grado proprio del compianto Petrovic è Dejan Bodiroga, a conferma che il basket è anche una questione di sangue, di successione, come il posto in banca ad esempio: si tramanda tra le generazioni.
C’è chi ha detto che il nostro Dejan sia stato il bianco più forte della storia, vero è che nel frattempo si è ritirato da 14 anni e il problema è che me lo ricordo, e questo mi fa capire che altri 14 anni sono passati pure per me…e nel frattempo di bianchi capaci con la palla a spicchi in mano se ne sono visti tanti, alcuni fenomeni paranormali come Luka Doncic, slavo anche lui, che per certi versi è un upgrade di Bodiroga, che 14 anni fa giocava con le macchinine.
“White Magic” nasce a Zrenjanin il 2 marzo 1973, nell’allora unificata Jugoslavia pre conflitto balcanico e al crepuscolo della dittatura di Tito. Storicamente la Jugoslavia era l unica a tenere testa all’egemonia degli U.S.A. nella pallacanestro e, se non si fosse disgregata in più parti, c’è chi pensa che potrebbe essere ancora oggi l’unica rivale. Si, perché la penisola balcanica resta una fucina infinita di talenti con “l’arancia“ in mano, gente che i fondamentali l’impara prima di andare a scuola, e Bodiroga, appunto, è tra i massimi esponenti.
Caratteristica fondamentale del nostro Dejan era l’andatura dinoccolata, la lentezza nell’esecuzione dei movimenti, quel tiro pulito con entrambi gli avambracci uniti tra loro di fronte il viso. Ma nonostante questa lentezza, marcarlo era praticamente impossibile: sfoggiava una gamma cosi ampia di finte e contro finte, che mandava sistematicamente al bar l’avversario. La prima volta che lo vidi giocare in tv avevo intorno ai 10/12 anni.
Lui era tra le fila di Trieste, quando eravamo nel paleolitico della rai che trasmetteva il basket tutte le settimane (adesso, 30 anni dopo, chissà la programmazione del basket in tv come sarà vi chiederete voi…ahahahah, stendiamo un tendone pietoso sull’argomento, vah!); ricordo che andai al bar anche io alla prima finta, ci trovai gli avversari e brindammo insieme (io con un succo alla pesca, ero minorenne e ingenuo, ndr).
Cominciò la carriera sedicenne nel Proleter Zrenjanin, quando a quell’età servi per portare le borse e le paste ai veterani e fungere da valvola di sfogo negli spogliatoi, anche se immagino che anziché le paste, in Croazia nell’89, nello spogliatoio portasse birra e rakija (“Marjanovic che augura il buon compleanno a Doncic con una canzone che significa ”amo tutti i ragazzi che odorano di rakija, perché mi fanno pensare alla Serbia”).
A 16 anni era chiaro a tutti che quel ragazzino era sopra la media e la Jugoslavia era piena di volponi ex giocatori, tra questi Kresimir Cosic, leggenda del basket slavo, che dopo averlo visto tra i cadetti, andò a casa dei genitori di Bodiroga per convincerli a farlo trasferire da lui, firmando un pre-contratto con lo Zara.
Per un vizio di forma sulla regolarità del contratto fu sanzionato e il ragazzo costretto a stare fermo un anno, che spese dalla mattina alla sera a perfezionarsi in palestra elaborando quella serie infinita di finte e contro finte che diventarono il suo marchio di fabbrica.
Il tempo di cominciare la stagione l’anno successivo e le nubi grigie che si erano palesate sui cieli balcanici si trasformarono in odio razziale politico e religioso: la guerra dei Balcani era cominciata, frammentando una nazione in tanti stati.
È opinione comune che l’azione che diede inizio alla guerra definitivamente avvenne su di un campo di calcio , durante gli scontri nel derby Dinamo Zagabria – Stella Rossa Belgrado e il calcio volante in mezzo al campo del calciatore croato Zvonimir Boban ai danni di un poliziotto serbo.
Allo scoppio della guerra guerra Bodiroga si rifugiò in Italia, vicino al confine, a Trieste, dopo aver rifiutato il trasferimento in Grecia per via del suo stesso diniego a naturalizzarsi greco.
A Trieste trovò un guru della pallacanestro come Bogdan “Boscia” Tanjevic, uno che aveva già allevato talenti come Mirza Delibasic, che scommise su di lui, dato che all’epoca i giocatori stranieri da poter schierare erano solo due, in genere americani, riservare un posto per uno sconosciuto sbarbato slavo era un autentica scommessa.
Scommessa vinta subito, dato che in una squadra zeppa di talenti, il diciannovenne fu il cannoniere della squadra, con un massimo di 51 punti a Reggio Calabria, che però non bastarono ai playoff: eliminati da Cantù, guidata dal padre del futuro italiano in NBA, pel di carota Nico Mannion, non male comunque per un esordiente..
L’anno successivo il sogno tricolore si fermò in semifinale per mano di un altro talento destinato a far parlare di sé in futuro, tale Carlton Myers che ebbe la meglio con una serie le cui partite terminarono tutte ai supplementari, col buzzer beater nella decisiva gara 3 come ciliegina sulla torta.
Bodi si rifarà due anni dopo, quando Myers perse la finale indossando la casacca della Fortitudo Bologna, stavolta il buzzer è il suo e porta in trionfo Trieste/2, dato che, nel frattempo, il patron, il coach e i migliori giocatori della squadra giuliana, si trasferirono a Milano.
Decise di concludere l’esperienza italiana e approdò a Madrid, il quale, per averlo, mise sul piatto tanti danari nonostante la collezione di finali perse tra Italia e coppe europee: tolto uno scudetto e una coppa Italia aveva stravinto solo con la propria nazionale. C’è da dire che quella nazionale avrebbe vinto comunque, anche con un braccio legato e anche con me in campo, tanto lo stratosferico mix di talento, forza, tecnica, tattica e “maleducazione” che aveva l’allora Jugoslavia formata da un mix di Serbia e Montenegro, per ovvie ragioni, e poteva permettersi di mettere in campo: Bodiroga, Danilovic, Divac, Rebraca e quel pacato di Obradovic in panchina, per citarne alcuni in ordine sparso.
Al primo colpo vinse il titolo di MVP e FIBA European Cup contro la Mash Verona (qui scappa la lacrima, dato che lo scrivente tifava proprio gli scaligeri di Mike Iuzzolino, che si rifece l’anno dopo).
Dopo soli due anni a Madrid Dejan decise di andare a dominare in Grecia, tra le fila del Panathinaikos, presentandosi oltre questo palmares già descritto pure con un argento all’Olimpiade e due ori Europei con la propria nazionale: qui aprì il periodo d’oro dei verdi, con tre campionati che non furono quattro solo per l’unico neo della sua carriera, la reazione ad un pugno, datogli da dietro, di Tomic durante una rissa in semifinale contro gli odiati rivali di sempre, e non può essere altrimenti: l’altra sponda ateniese coi colori biancorossi, l’Olympiacos.
In Europa andò tre volte in finale, vincendone due: la seconda da MVP della final four.
Ritornò in Spagna, ma il mai banale Bodiroga scelse la Catalogna, raro esempio di come riuscì a farsi amare sia a Madrid sia a Barcellona, nonostante fosse assai difficile non farsi sommergere di fischi quando si presentava sul parquet dell’avverario storico, ad ulteriore dimostrazione della grandezza dello slavo.
A Barcellona, complice la presenza di Jasikevicius e la bomba Navarro, contribuì a rendere i : laugrana un armata invincibile.
Vinse il triplete,Coppa del Re, Campionato ed Eurolega, ovviamente da MVP, aggiungendo la Supercoppa la stagione successiva.
Questi 10 anni di successi contribuirono a inserirlo nei 50 Greatest Euroleague Contributors nel All Decade Team di Eurolega 2001-2010.
Giunto a fine carriera omaggia nuovamente l’Italia delle sue gesta andando a Roma, città non abituata alle vittorie cestistiche, riuscendo però a portarla ad una finale di coppa Italia persa solo ai supplementari.
Nell’ultima partita prima dell’addio giocava in casa contro la corazzata Siena, che distrusse i capitolini; ma la rabbia del pubblico svanì quando, a 4’ dal termine, fu richiamato in panchina per la meritata standing ovation: mezz’ora di cori tutti per lui dall’intero palazzetto da entrambe le tifoserie, trenta minuti di pianto in panchina con le mani tra i capelli e la maglia a coprire il viso.
Chissà se avrà pensato alle nazioni che ha incantato col suo gioco, a quello che avrebbe potuto fare con la sua nazionale disgregata per la guerra che riuscì a vivere in spensieratezza solo agli albori della carriera, ai supponenti americani, Reggie Miller in testa, sconfitti ai quarti di finale, per poi prendersi l’oro Mondiale.
Ha continuato dopo il ritiro a essere presente per il proprio paese ricoprendo il ruolo di vice presidente della federazione serba di basket.
Fortunatamente rimangono i video da mostrare al minibasket, un campionario di finte incredibili ma fatte con eleganza, la visione superiore del campo, l’intelligenza cestistica, l’andare ad appoggiare di destro e di sinistro in sottomano con leggerezza anziché andare ad inchiodare al canestro, e quel movimento…il “Bodiroga move”, El Latigo, una finta tremenda, con cambio di direzione e di mano in simultaneo dopo essersi allungato il palleggio, uno spezza caviglie per gli avversari che si ritrovavano involontariamente al bar, magari a brindare a lui, uno degli interpreti più poetici ed efficaci di questo faccenda importante che è la Pallacanestro.
Pillola rock
Quando Ian Dury, from Harrow, nel ’77 scrisse il suo più celebre brano, non sapeva ancora che sarebbe stato associato al neonato Bodiroga. Spirito punk, già da bimbo costretto a lottare contro le avversità della vita, forma la band “Ian Dury and The Blockheads”, cantando in stile cockney, tipico della classe proletaria di Londra, e in particolare della East End.
Scrive la celebre “Sex & Drugs & Rock & Roll”, devastata poi da un gruppo serbo, “Prljavi Inspektor Blaza i Kljunovi”, che omaggiarono Bodiroga con la loro versione “Seks, droga, Bodiroga”, un bel pezzo di punk balcanico interpretato da un allampanato cantante, alto quanto un giocatore di basket, Dirty Inspector Blaža: il video ufficiale lo vede durante un festino che preferisce il divano perché alla tele trasmettono una partitina di basket che vede protagonista il nostro Bodiroga, riuscendolo a incontrare, e a tratti ubriacare, col suo background cestistico.
Bodiroga imbarazzato incassa.
Tutto bellissimo.