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Aladin, l’eccezione che non conferma la regola

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C’era una volta e c’è ancora, fortunatamente, Aladin Hussain al-Baraduni. Lui è un fuoriuscito, è libero. Questo non è un racconto di fantasia. Questa è una storia, ed è parte della realtà autentica. Aladin esiste, ora è un uomo.  Ha usato la sua arte per ottenere una visuale al di sopra dell’omologazione delle idee ed ha voluto mostrare il meccanismo di un sistema malato che ogni giorno tenta di contagiare il pensiero creativo. Aladin, è nato a Tabuk, in Arabia Saudita, nel 1979. E’ già un eroe, in pelle ed ossa. Lì, libri come quelli di Rodari, giusto per citarne alcuni, non sono concessi neanche ai bambini. La fantasia non può incontrare né case fatte di gelato, né colori intensi, né inversioni di ruolo. Per intenderci chiaramente: Cappuccetto Rosso non potrebbe mai avere il privilegio di mangiarlo, il lupo!

Dunque, è chiaro che crescere in un luogo così mentre la creatività spinge per uscire fuori dall’anima, sin dalla tenera età, presuppone certamente una forza in grado di trascendere i limiti della natura umana. E’ vero, ad Aladin è stato concesso un dono immenso: la possibilità di stare accanto ad un padre ribelle, incapace di accettare i limiti, le costrizioni della religione. La vita poi ha pensato di trasmettergli quella forza che deriva solo dalla conoscenza, grazie alla vicinanza dello zio, un poeta, un letterato contrario al silenzio-assenso verso ogni forma di dittatura. Aladin comunque era ed è quell’eccezione che non conferma la regola. Ne sono certa, me ne convinco sempre di più ora che lui è seduto qui davanti a me.

A scuola, in Arabia Saudita, all’arte è stata spezzata la schiena. Colpa di regole distruttive per la libertà.

I lividi anche Aladin li porta con sé eppure è un artista. Dipinge! Che siano murales o quadri le sue opere, lui è comunque diventato quello che in una regione come l’Arabia Saudita potrebbe essere improbabile.

Durante l’intervista chiedo cosa da bambino lo abbia scosso di più?

Il suo sguardo cambia, cerca nel passato. Racconta dell’ora d’arte, a scuola. 

L’arte, penso, quella cosa talmente bella, dai poteri immensi che dovrebbe farlo sbocciare un bambino eppure, per Aladin non è stato  così. 

Mi dice che: “durante le lezioni non era permesso rappresentare esseri viventi se non firmando i lavori con una netta linea bianca all’altezza del collo delle figure” e continua raccontando dei suoi incubi: “durante i quali tentava di scappare dalle sue stesse composizioni, dai disegni che prendevano vita per fargli del male.”

“Erano i sensi di colpa ad affiorare dentro la mia anima perché a scuola i miei disegni li consegnavo sempre con una linea bianca quasi invisibile, per non rovinarli. Il professore non ha mai smesso di chiedermi di definirla in maniera più netta, di rifare quella linea! Ero così condizionato dal sistema, avevo così tanta  paura da arrivare al punto di non voler offendere più Allah! “

Lui però disegna già da tempo e non può, non vuole ostacolare la sua arte. E’ solo un bambino quando decide di puntare  gli occhi sulla vita per registrare il mondo in movimento e rappresentarlo con le sue mani, in un luogo in cui  farlo era proibito. OFF-LIMITS.

A causa della guerra del Golfo, è costretto ad abbandonare Tabuk definitivamente. E’ quando si trasferisce nello Yemen, che inizia a percepire una maggiore libertà creativa. Si sente vivo, respira, è sospeso in un limbo dove nonostante tutto sembra possibile superare dei confini. Lo Stato, qui, non condanna l’arte, i gruppi religiosi sì però. In ogni caso soffiano venti calmi per un po’, lui continua a disegnare. A 24 anni incontra una ragazza. I due la vogliono vivere la loro storia! Stanno correndo in senso contrario rispetto alle regole religiose. Lei non è la moglie, non hanno alcun diritto. 

Non spetta loro neanche la luce del sole.

Così l’appartamento di Aladin si trasforma, come in un romanzo di fantasia, diventando l’accesso che porta al centro della terra. E’ lì, in quel luogo nascosto, che si potranno amare. Lontani dalla superficie, come fossero all’Inferno, è lì che vivono il loro amore sbocciato nonostante l’aridità del tempo che li ha già segnati dentro. 

A Dhamar, Aladin frequenta la scuola media per poi scegliere un liceo ad indirizzo filosofico. Sempre qui ha inizio il suo viaggio onirico dentro il surrealismo. Adora Vincent Van Ghogh. Continua a leggere, legge moltissimo. Non smette mai. Segretamente, amici librai troveranno per lui testi che altrimenti Aladin non potrebbe mai leggere. Deciderà più avanti di cambiare direzione spingendosi verso il realismo, ed è proprio qui che ha inizio la sua denuncia sociale.

L’agonia dei più deboli inciderà come una lama sulle sue scelte artistiche. Porta la sua tela sulla strada, vuole rappresentare le categorie sociali più fragili. Fa molto, troppo rumore. Interrompe spesso il silenzio dei più sul dolore causato dal male sociale. Racconta, parla, attacca con i suoi disegni. Crea un grande murales con tanti altri artisti, lo fa a Sanaa. Racconta delle gerarchie imposte dalla religione. Espone “gli ultimi” nelle sue opere. Tutto questo, al sindaco di Sanaa, non piace.

Come una figura quasi invisibile l’artista scende in strada portando con sé la sua tela. Questa volta è dentro le viscere della città per raffigurare i bambini costretti a lavorare fuori dai locali. Devono pesare i clienti, prima e dopo aver mangiato, per guadagnare pochi spiccioli. Osserva con più attenzione le donne, le sue sorelle in particolar modo. Gli studi fatti, i libri, l’ambiente, gli artisti che frequenta accendono anche un pensiero trasversale sulla donna. Lo racconta alle sorelle. Loro sembrano rassegnate. Non lui. 

Dichiara il suo ateismo. 

E’ l’inizio del tormento. Arriva la denuncia. Arriva la sentenza. La condanna a morte, per Aldin Al- Baraduni. Arriva il momento di scappare per sopravvivere. Aladin, passa prima dalla Francia per poi approdare in Italia.

Resta un attivista, non smette di denunciare, di lanciare le sue urla su tela, attraverso i muri. Non smette mai di provarci. Lui possiede la conoscenza. Attraversa i fatti sociali con lo sguardo per arrivare anche alle orecchie più sorde. Perché il compito dell’arte è provare a curare le piante anche quando le foglie sono secche!

Innamorato dei libri, passa parecchio tempo in una biblioteca, aperta a tutti. Si chiama BAM. Dentro ci sono 10.000 testi. E’ a Roma, dentro il quartiere di Centocelle, ed è uno spazio libero.

Saluto Aladin, penso a quanto sia riuscito a donare con questa sua intervista. Lui sembra essere lì per fissare l’attenzione generale sull’importanza di venerare la nostra natura, di credere in noi stessi e nella cultura perché questo sembra essere il modo perfetto per scovare l’accesso immediato alla dimensione della libertà. Del resto questa non è una favola e non è servito certo il Genio della Lampada per rendere libero Aladin!