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Dite a Villeneuve che lo saluta Schumacher!

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Considerazioni agricole su Dune e altre trasposizioni cinematografiche

“Il deserto cresce, guai a colui che cela deserti dentro di sé.” (Nietzsche)

È mai possibile che non si trovi una via di mezzo tra definire un regista come talento visionario o imbecille patentato? Ho visto Dune di Denis Villeneuve e non capisco nessuno dei due atteggiamenti e vi spiego subito il motivo. Non si tratta del maggior talento della sua generazione. Per una questione anche solo anagrafica. Parliamo di un autore classe 1967, che si colloca a metà tra Paul Thomas Anderson e Quentin Tarantino. Forse non vi piacciono questi nomi, in effetti non sono abbastanza hipsters, me ne rendo conto. A questo punto posso aggiungere anche Guillermo del Toro e Christopher Nolan, tanto il concetto non cambia. 

Siamo di fronte a un cineasta che ha deciso di puntare sul reboot per conquistare un pubblico più ampio. E dire che in passato aveva dato prova di essere un autore interessante sfornando opere come Incendies e soprattutto Enemy, prima di iniziare la sua scalata al successo con Sicario, o in misura se vogliamo anche maggiore con Arrival. Tuttavia dopo la doppietta rappresentata da Blade Runner 2049 e Dune, forse è arrivato il momento di fermare quest’uomo o quantomeno di ridimensionarlo, prima che possa mettere mano su altri cult degli anni ottanta. Perchè è evidente che prima o poi si dedicherà a dissacrare e a profanare quel Vaso di Pandora cinefilo a cui un’intera generazione resta molto legata. Anticipando le mosse di un regista che non si può certo definire prolifico o celere nella realizzazione delle sue opere, decido ordunque di schierarmi. 

E lo faccio dal mio Quarto Podere, dove ho già costruito difese necessarie per dar battaglia e tenere duro, vendendo carissima la pellaccia, un po’ come avviene in Dune, se mi è consentito un parallelismo. Parto da una premessa un po’ paracula ma al contempo veritiera: a me i film di Villeneuve sono piaciuti tutti! Li ho visti in buona parte, di cui tre al cinema. Ho apprezzato molto Enemy che avevo recuperato su Prime Video, ma soprattutto sono favorevole alla sua versione di Blade Runner, per il coraggio e anche per il talento visionario e di costruzione di ambienti e atmosfere che un po’ tutti noi cinefili ben conoscevamo. Lo stesso si può dire per questo Dune (Part One) dove in pratica ha schierato il cast delle meraviglie nel quale spiccano Timothée Chalamet, Oscar Isaac, Josh Brolin, Javier Bardem e Stellan Skarsgård. C’è alla base di questo film un romanzo ostico come quello di Frank Herbert, su cui un’intera generazione di nerds si è sparata tanti pipponi nel corso degli anni, sui vermi, sulla Spezia e su altre battaglie stellari. Ma questo è un altro discorso, ora non mi va di prenderlo, anche perché tutti sanno che amo David Lynch, come ho già detto in questo pezzo monografico dedicato al regista di Missoula.

Ora però sul web infuria una polemica speciosa sul fatto che bisogna sostenere il progetto di Villeneuve se si vuole vedere realizzato il secondo capitolo, cioè la conclusione della storia di Dune. 

Non ho ben capito se verranno realizzati uno o due film, visto che la saga di Dune continua e sono in cantiere anche una serie tv, un film di animazione e un teatro di marionette ispirato all’opera di Herbert. A questo punto ci sarebbe da fare un passo indietro. Tutto è iniziato quando Peter Jackson ci ha messo in testa un’idea bislacca: non si può ridurre in un solo film un’opera complessa e monumentale come quella di Tolkien. Anche qui per correttezza e onestà intellettuale devo dire che non sono un fan del Signore degli anelli, ma ho apprezzato non poco la sua trasposizione filmica. Eppure essendo cresciuto con film perfetti e chiusi in un solo atto, non posso avallare questa teoria. Un film di quattro ore può raccontare tutto ciò che vogliamo, a volte basta anche meno. Michael Mann con L’ultimo dei Mohicani c’era riuscito, quasi sempre anche Ridley Scott ha portato a casa progetti temerari, senza scomodare per forza Kubrick, Polanski o altri cineasti maniacali e preparati, capaci di chiudere in un solo film storie ambiziose e importanti. Poi è arrivato Lo Hobbit e lì già si intuiva che si voleva tirare una storiella per le lunghe. Per carità anche in questo caso, ottimo prodotto di intrattenimento, ma non venite a dirmi che quella storia non poteva essere chiusa in un solo film. 

Eppure oggi Villeneuve gode di una legione importante di fandom, critici Millenials e tutto quello che serve per agitare le acque di questo mare magnum e sostenere che bisogna assolutamente concludere la saga di Dune, con la seconda trasposizione filmica. Io su questo non posso essere d’accordo. In due ore e mezza devi saper chiudere un film e dare senso compiuto all’opera. Altrimenti bisogna cambiare mestiere. Nel caso del talentuoso Villeneuve le colpe sono da spartire con chi gli ha affidato questo progetto consapevole che non ci sarebbe stato un vero finale. Ecco, se dovessi scoprire chi è stato ad autorizzare tutto questo, un paio di paroline al miele, me le conserverei per perorare la mia causa. Una causa agreste, più che agricola, dato che con il somarello è un bordello che non vi dico trovare parcheggio per andare al cinema, specialmente in questo periodo di Covid-19! 

Dite a Villeneuve che lo saluta tanto Schumacher! Joel Schumacher, naturalmente.