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AURORA BOREALIS

di:

Giorno e notte e ombra che muta in base al tremolio di una candela romana, la cui luce vibra e viene spostata del vento, mentre infuria la tempesta. Mi piace pensare che fuori da qui, da questo rifugio il mondo stia bruciando, ma non è così, non ci sono rivoluzioni lì fuori che valga la pena raccontare. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è racchiuso in noi stessi, ed è lì, solo in questo posto che risiede la vera cura. Il fato dell’umanità è dissolversi in una dorata eternità. Non sono pazzo, ho solo aperto gli occhi per un attimo, ma comunque non fa alcuna differenza. Pensare è proprio come non pensare. Agire è come restare fermi, immobili, specialmente ora, qui. Ogni azione è sospesa, sfugge da un ordine costituito. Il sole non splende più oggi. Qualcuno potrebbe bussare alla mia porta da un momento all’altro ed è in questa attesa che vivo il mio quotidiano. Non sono del tutto sereno, ma non posso certo dire di essere più preoccupato del solito. Nel frattempo i tramonti sono folli scatenati color arancio che impazzano nelle tenebre, mentre lontano a sud in direzione delle progettate tenere braccia della mia señorita, mucchi di neve rosata attendono ai piedi del mondo, in città vaghe irradiate d’argento. Il lago è una padella dura, grigia, azzurra, che mi attende dai fondali brumosi quando lo percorrerò sul battello di Phil. Ma il Vuoto sarò io, muovendomi senza essermi mosso. Ricordo di aver avuto più timore quando mi spostavo di città in città, in abiti inadeguati, con una valigia di guai che non riuscivo a trasportare. Eppure eccomi qui, sono riuscito a schivare di tutto, anche il successo, anche la fortuna stessa. Ma non sfido i miei dei e non disturbo i miei demoni, perché stanno riposando, almeno loro se ne fregano, almeno loro si fanno matte risate mentre gozzovigliano e banchettano sopra questa tavola imbandita, di morte e distruzione. La mia splendida ricompensa è perduta, ma non me ne rammarico. Era solo un pesante e inutile fardello, e non fa molta differenza adesso, perché la luce si nasconde là dietro il crepuscolo. Non c’è tempo da perdere nell’azione e non c’è alcun movimento possibile che non sia un atto di rinuncia o di resistenza civile e passiva. È arrivato il momento di tornare a leggere e a studiare le antiche lettere che durante la nostra gioventù non abbiamo avuto il coraggio di spedire. Lo faremmo adesso, se ci fosse un postino, disposto a consegnarle. Ma non fa alcuna differenza, perché ora qui non ci sono più persone disposte ad ascoltare, a confrontarsi e a lottare. Siamo rimasti solo tu e io, antico amico, amato nemico del mio passato infausto. L’incanto è la vittima illustre del processo evolutivo conseguente all’assunzione della posizione eretta, o di contatto prolungato in questa fabbrica di contatto che è diventata la società odierna. Invecchiamo giorno per giorno, mentre trasciniamo a fatica la catena della libertà. Vibra il nostro essere sopra la vestigia che ogni giorno si assottiglia e che ci rende prigionieri e liberi nello stesso tempo. Scopriamo una realtà altra, quella della consapevolezza, oltre la nostra idea di io, oltre il mondo di idee che ci siamo imposti. L’essenzialità ci appartiene, e non è sempre una scelta. Il mondo si divide in due: quelli che corrono e quelli che ascoltano The Band. Abbiamo vissuto così tanto di mescolanze che alla fine ci siamo fatti piacere anche la salsa rosa. Ci siamo fatti andare bene di tutto in questi anni, e non parlo per forza di musica, cinema o arte. 

Di cosa vogliamo stupirci? 

Adesso la croce del Sud splende su questa infinita Aurora Borealis. I suoni che mi giungono sono attutiti, rimbombanti, smorzati, come se i travagli dell’uomo si svolgessero sott’acqua. Sento la marea che si ritrae ma non ho paura di essere risucchiato, sento le onde che sciabordano ma non ho paura d’affogare. Cammino tra i relitti e i rottami del mondo, ma i miei piedi non sono contusi. Non c’è limite al cielo né divisione tra terra e mare. Mi muovo tra chiusa e orifizio con piede instabile, che scivola. Non annuso niente, non odo niente, non vedo niente, non avverto niente. Supino o prono, di fianco come il granchio o a spirale come un uccello, tutto è beatitudine vellutata e indifferente. 

Nota all’illustrazione in copertina di Greta Bengasi.

Ho scelto come ambientazione il fondale marino perché mi trasmette la sensazione combinata di vita e pace, due vibrazioni opposte e complementari. Il bambino attende sospeso nel liquido amniotico, c’è vita e al contempo c’è pace, immagino i suoni ovattati.

(Da fuori entrano i raggi del sole che portano calore, come se il sole volesse comunicare al bambino che qualcosa di potente e intenso lo aspetta là fuori e gli fa provare solo una lieve sfumatura perché tutto ha un luogo e un momento.)

I raggi del sole entrano nell’acqua e si espandono, nell’espandersi il loro calore è meno intenso, diventano un accenno di ciò che lo aspetta. Stelle e pianeti per combinare la realtà con l’immaginario, perché voglio trasmettere una sensazione, quella dello spazio infinito della mente. Si dice che i bambini quando nascono sanno tutto quello che c’è di più importante da sapere nell’universo, hanno una coscienza divina, poi crescono, qualcosa si ricorda ma pian piano tutto si dimentica. L’attesa ti avvolge, lasci che ti dia conforto, c’è incertezza ma ancora non bisogna fare i conti con nulla, non c’è bene e non c’è male, fin quando non sai non puoi agire, sei tutto e niente; allora ti lasci cullare e attendi che avvenga qualcosa di straordinario.

Illustrazione in copertina di Greta Bengasi.