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CASANOVA al Teatro Astra

di:

liberamente ispirato a Storia della mia vita di Giacomo Casanova

regia Fabio Condemi

con Sandro Lombardi

e con (in o.a) Marco Cavalcoli, Simona De Leo, Alberto Marcello, Betty Pedrazzi

per la prima volta in scena Edoardo Desana

scene e drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich

costumi Gianluca Sbicca

disegno luci Giulia Pastore

musiche e sound design Andrea Gianessi

assistente alla regia Andrea Lucchetta

assistente scenografo Andrea Colombo

assistente costumista Eleonora Terzi

direttore di scena e capo macchinista Enrico Ghiglione

capo elettricista e datore luci Filip Marlocchi

fonico Andrea Gianessi

attrezzista Benedetta Monetti

sarta di scena Lucia Menegazzo

scene Laboratorio Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

costumi Farani Sartoria Teatrale

calzature Calzature Pedrazzoli – C.T.C. srl

parrucche Audello Teatro

foto di scena Luca Del Pia

LAC Lugano Arte e Cultura

in coproduzione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, TPE – Teatro Piemonte Europa, Compagnia Lombardi Tiezzi

partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco – Clinica Moncucco e Clinica Santa Chiara

si segnalano luci strobo, scena di nudo integrale.

Giacomo Casanova è uno dei personaggi italiani più affascinanti di sempre. Quando penso a lui, mi appare il volto dell’insuperabile Donald Sutherland, nel più bel (a mio parere) film di Fellini. Un attore che ci ha lasciati l’anno scorso, il 20 giugno. Mi vengono in mente le musiche di Nino Rota, e quella immortale scena in cui il protagonista balla con la bambola meccanica.

Questo spettacolo di Sinisi con la regia di Condemi, non ha fatto mancare le suggestioni. Ispirato alle memorie autobiografiche di Casanova, la Histoire de ma vie e con qualche riferimento lontano al romanzo “Il ritorno di Casanova” di Schnitzler .

A inizio spettacolo i personaggi parlano francese. Lui è anziano. Interpretato dal grandissimo attore Sandro Lombardi, artista prezioso, vincitore di ben otto premi ubu, più altri premi. Un attore che sta in scena con mitezza lussuriosa, personificando una sentimentale anti-commedia. Il foglio di sala lasciato all’ingresso, giustificava immediatamente la parlata francese come transitoria, verso il momento in cui Casanova scopriva che il medico occultista interpretato da Marco Cavalcoli, era italiano. Da quel momento la loro conversazione proseguiva nella loro lingua d’origine, la nostra, in una seduta mesmerica, proto-psicanalitica. Casanova, erudito che conosce ogni ambito del sapere umano, rappresenta l’erotizzazione del sapere. Il mistero è la porta d’accesso per il godimento. È questo che rende Casanova una creatura filosofica desiderante, che cerca di consumarsi per arrivare a sapere. Distruggere i misteri per poterli ripossedere. L’ideale di un libertino francese del settecento, incorporato in un veneziano. Un periodo storico in cui ormai era compiuta la rivoluzione francese. Lui era un sine nobilitate figlio di gente di teatro, sostenuto da patriziati. Una sorta di nobile mancato, che in quei tempi apriva gli occhi alla beltà decadente.

L’apparizione di Henriette, interpretata da Simona de Leo è impattante. Il volto coperto e il corpo nudo. Passi che fanno un semicerchio per poi poggiare i piedi sul pediluvio, mentre toglie la maschera ma si volta. Da quel momento si sposta verso un violoncello, e non sai più quanto sia lecito osservarla. Come un imbarazzo che è il confine tra lo spettatore e Casanova. Quanto mi sto facendo affascinare da lui, fino a volerlo indossare, essere lui, quando invece sono solo uno spettatore guardone?

Poi appare un’altra donna, l’anziana e nobiliare Marchesa d’Urfré. Sembrano tutti fantasmi, compreso lui, la sua vita. Il suo sé bambino, interpretato da un giovanissimo (e bravissimo) attore, che mi ha fatto porre delle domande, ovvero sta creatura stava facendo la replica però sarà dovuto andare a scuola? Quante assenze avranno concordato i genitori con gli insegnanti? Insomma le solite domande moralistiche che mi vengono ogni tanto, dall’altro lato di quello curioso, morboso, spione, che mi portava a guardare Simona de Leo sul palco.

La Marchesa tirava in ballo i saperi della pietra filosofale, emersi da una tavola smeraldina che teneva in mano. I tre misteri svelati: i buchi neri, l’Edipo e il gatto di Schrodinger. La sfera della senilità, del godimento senza desiderio, la sapienza della Marchesa, che non tocca un uomo da vent’anni, e poi la scienza e la magia, sulla stessa via. Un po’ come per Giordano Bruno. In questo caso però, il momento di teoresi novecentesca, appare a tratti un po’ traballante rispetto al contesto, seppure sia molto interessante sentire miagolare il gatto più famoso della fisica, da dentro una scatola. Emergono visioni transumanistiche, dove Casanova e la Marchesa si lasciano accompagnare dal flusso distruttivo del corso d’attrazione del buco nero, sedotti dall’eccesso, nella nobile stanchezza del loro ozio erudito. Voltaire è il suo avversario. Casanova, uomo conservatore, reazionario, mistico, occultista, maldestro e disturbato, ma più di tutto desiderante avventuriero. Tutto ambientato nel castello di Dux, nella Boemia del 1798, durante i suoi ultimi giorni. Uno spettacolo che ci parla della memoria e l’oblio. Nella libertà che consiste nella dimenticanza, come superamento. Un sapere raffinato di un uomo che non cercava assoluti, ma oblii, eccessi di sapere, vasi strabordanti.

Uno spettacolo fortemente erotico non nel senso in cui si è abituati a ridurne il concetto, ma proprio nella vera essenza di quel che gli stessi registi suggerivano con la filosofia del boudoir in uno spettacolo precedente. Questa volta vissuta da Casanova, con il senso delicato di chi intende nascondere sé nell’onirico, o nel riverbero confuso di una memoria. La donna automa, oggetto fisso davanti alla carne che invecchia. L’elisir di eterna giovinezza. Il poetico cor gentile, e l’ossessiva mona, che viene gridata e chiosata.

Più info qui: bit.ly/TPECasanova.