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Éloge de la profondeur

di:

“C’è una quinta dimensione oltre quelle che l’uomo conosce, una dimensione senza limiti come l’infinito, senza tempo come l’eternità. È la regione tra la luce e l’ombra, tra la scienza e la superstizione. È la dimensione dell’immaginazione. È una zona che chiamiamo l’Éloge de la profondeur.” 

Non sono i nuovi continenti che occorrono alla terra, ma gli uomini nuovi! Detesto la superficie delle cose praticamente da sempre. Preferisco la profondità, gli abissi e ciò che resta celato. Ma cosa conosciamo davvero di noi stessi? Di cosa sono fatti i nostri sogni e le nostre speranze? Dentro il cuore di ognuno esiste una caverna oscura, una camera chiusa che custodisce la verità più profonda. E solo una luce, remota e accecante, può rischiararla. Io ho cercato quella luce. L’ho trovata, e mi ha folgorato. Anche nel buio più profondo, come nelle profondità del mare, esiste la luce: una scintilla di comprensione che illumina l’oscurità. Il mare, per me, è sempre stato un simbolo di questa profondità. Non parlo del mare che tutti possono vedere, ma di un mare nascosto, fatto di strade inesplorate e abissi insondabili. È un luogo che riflette il mio desiderio primordiale di conoscenza, un bisogno che mi ha accompagnato sin da bambino. Si dice che la forza creatrice della natura vinca l’istinto distruttore dell’uomo. Non sono d’accordo. Il mare è tutto: un universo a sé, un deserto infinito dove l’uomo non è mai solo, perché sente la vita fremergli accanto. È movimento, un’infinita presenza. Eppure il mio mare è diverso; non è fatto di sale, né illuminato dal sole. È un luogo di sfida, di ricerca, dove l’anima si immerge per scoprire il proprio nucleo più autentico. Vivere in profondità significa confrontarsi con i propri limiti. Ogni passo è un rischio: un errore e il cuore cede, i polmoni collassano. Ma è solo scendendo sempre più giù, sfidando il buio e la pressione, che si può trovare un senso. Il mare è diventato la mia casa quando ho capito che l’umanità non poteva più essere il mio orizzonte. Oppure, forse, sono io che ho deluso l’umanità. Qui, nell’abisso, il silenzio è assordante e le correnti invisibili ti trascinano dove non vuoi andare. Eppure, è in questa oscurità che ho trovato una nuova forma di pace. Una pace inquieta, che schiaccia ogni illusione e ti costringe a guardarti dentro. Come il mare, anche l’anima ha le sue profondità: fredde, insondabili, ma pulsanti di vita. Ho cercato di scorgere e di comprendere la mia anima, per avere un quadro completo della natura umana. Vivendo in un sottomarino è facile capire quali sono i tuoi limiti, specialmente a livello dimensionale. Un passo in più e arrivi alla fine dello scafo, una manovra azzardata e devi risalire mantenendo la calma, altrimenti il cuore non regge, ma ancora prima saranno i polmoni a collassare. Chi vive di profondità marine è un astronauta dell’ignoto. Un viaggiatore solitario e spietato, con una missione senza senso da mantenere. Spingendomi sempre una lega più in là, un piede oltre l’infinito essere per sentire il freddo assoluto di galassie che non pensavo di poter scorgere. Il mondo è qui, nell’oscurità. È il futuro di questo pianeta, e della nostra specie. Ho scelto di vivere nel profondo mare perché l’umanità mi aveva deluso, o forse ero io che avevo deluso l’umanità. Questo dannato sonar mi sta facendo diventare pazzo o sordo. In fondo, le cose che più contano sono incomprensibili, viscide e fredde. Il cuore batte ancora, giù nella stiva, e mi sento come se dovessi comandare un’azione disperata, ancora più giù, fino a raggiungere le viscere del mare. 

Cosa siamo diventati? Cosa abbiamo perso, durante la rotta di un viaggio, verso la comprensione di noi stessi. Ho paura, eppure non è la morte che mi spaventa, sono già più volte tornato, è l’oblio, il vuoto. Il mare ha stretto un’alleanza con me e mi ha consentito di fare ritorno, come un bravo marinaio. Io sono il diritto, sono la giustizia! Sono l’oppresso. Ecco l’oppressore! C’è un’oscurità primordiale che abita il cuore dell’uomo, un vuoto colmo di enigmi e desideri inespressi. È un abisso senza fondo, simile alle profondità marine, dove il silenzio regna sovrano e ogni battito sembra amplificato dall’immensità del nulla. Sin da bambino, ho sentito il richiamo di questo vuoto, un’attrazione irresistibile verso ciò che è celato, verso ciò che non si può spiegare. Non è mai stata la luce a guidarmi, ma l’ombra, l’eco di qualcosa di antico che giace sepolto sotto il peso della superficie. Il mare, per me, è sempre stato il riflesso perfetto di questa ricerca: un universo sconosciuto, pulsante di vita nascosta, di verità sommerse. Non un confine, ma un varco. Non un rifugio, ma una sfida. Attraverso di esso, ho imparato a scrutare dentro di me, a immergermi nella mia essenza più profonda, finché l’acqua e l’anima non sono diventate la stessa cosa. Eppure, nell’immensità delle profondità, dove il buio è così fitto da sembrare solido, ho scoperto che l’oscurità non è vuota. No, essa pullula di vita, di segreti, di storie mai raccontate. Ogni creatura che nuota in questi abissi, con i suoi movimenti spettrali e le sue luci misteriose, sembra essere un messaggero di verità dimenticate. Ci sono correnti qui sotto, invisibili ma potenti, che mi trascinano verso un destino che non comprendo appieno, ma al quale non posso oppormi. Ho imparato che, come il mare stesso, anche l’animo umano ha i suoi abissi: freddi, insondabili, eppure vivi. È qui, in queste cattedrali di silenzio e pressione, che ho trovato una nuova forma di pace, una pace inquieta che mi costringe a riflettere. Non esiste progresso senza immersione, senza quella discesa lenta e inesorabile verso il nucleo delle cose, dove la pressione della verità schiaccia ogni illusione. Non è la morte che mi spaventa, ma il vuoto. L’oblio. Ho sentito quel vuoto e sono sopravvissuto. Ora so che l’oscurità del mare è il futuro: il luogo dove possiamo trovare ciò che abbiamo perso. Ho scelto di vivere qui, nell’ombra e nel silenzio, perché è solo nel profondo che possiamo ritrovare noi stessi. Spingendomi sempre una lega più in là, un piede oltre l’infinito essere per sentire il freddo assoluto di galassie che non pensavo di poter scorgere. Il mondo è qui, nell’oscurità. È il futuro di questo pianeta, e della nostra specie. Ho scelto di vivere nel profondo mare perché l’umanità mi aveva deluso, o forse ero io che avevo deluso l’umanità. Questo dannato sonar mi sta facendo diventare pazzo o sordo. In fondo, le cose che più contano sono incomprensibili, viscide e fredde. Il cuore batte ancora, giù nella stiva. Ancora più giù, fino a raggiungere le viscere del mare.