di: Cristina Turano
Al Teatro Vascello, Il Ministero della Solitudine di lacasadargilla rappresenta una discesa profonda nell’Io collettivo.
Lo spettacolo è una mossa geniale, un colpo che scuote ogni fibra dell’essere, attraversando con forza gli angoli di rassegnazione nascosti dentro lo spettatore.
Qui, la solitudine non è solo un tema, è forma del linguaggio, non è più un rifugio, ora è un solco tracciato dalle ombre del nostro tempo. E’ solitudine urbana.
Primo atto:
I protagonisti marciano. I loro corpi sono privi di pulsioni vitali. Sono automi della modernità. Ogni gesto è disconnesso dall’anima, il movimento è un suono senza rumore.
Improvvisamente Under Pressure esplode nell’aria, travolgendo i timpani con una violenza sorda.
Una scarica elettrica attraversa la scena, scuote gli spettatori e squarcia il silenzio.
La musica implode dentro i protagonisti; i corpi tremano, si contorcono, mossi da una forza che li sovrasta. Non è più una reazione, è una furia cieca che rende ogni movimento frenetico e incontrollabile.
Una debole resistenza all’oppressione: soffocata, annientata, dissolta in un istante.
Il mondo attorno è distorto e non ci sono vie di fuga.
Nel silenzio che segue, tutti sono dove devono essere.
Primo è seduto davanti alla sua scrivania: è un cleaner!
Schiaccia il tasto delete ripetutamente. Ogni clic è una violenza invisibile che lo svuota.
La sua compagna è una bambola, un oggetto di plastica. Primo la guarda, le parla senza fermarsi, come se il flusso di parole fosse l’unico modo per non soffocare dentro la bolla del silenzio.
La disconnessione dalla realtà è totale; la vulnerabilità del cleaner è un abisso. La sua real doll è la via per scappare da una morte lenta.
C’è anche una scrittrice: è patetica, sbiadita, priva di qualsiasi contenuto autentico. Un’anticonformista di facciata. Scrive un romanzo in cui la protagonista decide di non avere figli, perché non potrebbe essere una donna libera.
I suoi pensieri sono vuoti e ridicoli. È costruita su una montagna di stereotipi e pregiudizi invertiti, condizionata dalla Dittatura del Nulla.
Lei è il riflesso distorto di ciò che il sistema vuole: ingranaggio perfetto di una macchina che la sta lentamente distruggendo. Dietro la sua ricerca incessante di indipendenza, c’è il bisogno disperato di amore, di essere riconosciuta, di essere amata.
C’è anche la figlia Alma, un corpo estraneo al mondo reale. Proietta incessantemente repliche di sé stessa e degli altri nella sua testa. Ha un nome questa patologia. Ne uscirà fuori!
Una funzionaria del Ministero, invece, si aggira sul palco, quando non è davanti alla sua perfetta e fredda scrivania. È una figura impeccabile, infallibile, nel suo delirio di onnipotenza.
“Sorridi sempre, non mostrarti mai debole, altrimenti le persone scappano!”, ripete in una scena a Primo. La sua voce è un comandamento, la sua solitudine è evidente.
E poi c’è Francesco, squattrinato, separato, rassegnato. Prova ad ottenere sovvenzioni dal Ministero per uscire dalla morsa della solitudine.
Durante una chiacchierata con la regista Lisa Ferlazzo Natoli, è emersa la visione che ha portato alla creazione de Il Ministero della Solitudine.
Quale pensiero creativo ha dato origine all’idea di Il Ministero della Solitudine?
“Tutto è nato da una conversazione leggera, quasi scherzosa, con Alessandro Ferroni su un argomento che ci stava particolarmente a cuore: la solitudine. Una sera Maddalena Parise, la scenografa, ci ha contattato dicendo: ‘Ho sentito parlare del Ministero della Solitudine, mi voglio candidare!’. Quella battuta ci ha fatto riflettere. Abbiamo capito così che avremmo dovuto raccontare la condizione urbana della solitudine, realtà silenziosa, ma molto diffusa.”
In che modo la solitudine modella le figure in scena plasmando la loro psiche? Quale risposta offre il Ministero della Solitudine?
“Ogni personaggio reagisce in modo diverso alla solitudine. Il punto che li accomuna è il tentativo di riempire un vuoto. Primo, per esempio, cerca di riabituarsi al mondo attraverso la sua real doll, cercando una forma di compagnia che non può davvero esistere. Infatti, è un fallimento.
Lo è anche il Ministero della Solitudine con le sue risposte alla società. È una caricatura del sistema. Offre soluzioni amministrative ai disagi emotivi. È un’illusione, è un apparato burocratico che alimenta il problema, invece di risolverlo.”
La solitudine è una ferita invisibile capace di destrutturare e rimodellare mente ed emozioni. Può essere molto pericolosa! Quale riflessione vuoi ottenere con questo spettacolo?
“Spero di provocare una sorta di catarsi nello spettatore per spingerlo verso un confronto con il proprio vissuto. È importante che lo spettatore senta una scossa emotiva !”