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Intervista a Francesco Lipari

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Ho conosciuto Francesco Lipari l’anno scorso, in occasione di un avvenimento artistico palermitano che di solito avrei evitato come la peste. Avevo appuntamento con un’amica e quindi ho pensato di vederla a prescindere dal posto scelto da lei per l’incontro. La fila per entrare a Palazzo Abatellis era infinita e stavo per rinunciare e andar via, (l’amica era in ritardo), quando Ciccio mi chiama dalla parte della fila più avvantaggiata in quanto prossima all’ingresso e mi propone di aggregarmi al suo gruppo di amici e approfittare quindi del famoso “salto all’asta della fila”. Francesco era in quel gruppo e quando ci siamo salutati e congedati davanti al Trionfo della Morte, sapevo solo che fosse un architetto, non avevo ancora capito che fosse del capricorno, cosa che avrei scoperto successivamente al Tatum Art, luogo dove poi credo di avergli proposto questa intervista. Ci siamo incontrati durante una pausa pranzo, vicino piazza Sant’Oliva, a Palermo, nei pressi dello STUDIO OFL Architecture. Abbiamo pranzato insieme per la consueta ledi chiacchierata che sembra più un torrente in piena in gonzo style o dovrei dire in ledi style. Non avendo confidenza, infatti, le dinamiche conversative sono differenti, ma pur sempre interessanti e buffe. Un pigolare irruento e maldestramente contegnoso che genera una sbilenca tenerezza… in fondo QUI ci sono un cancro e un capricorno che ci stanno provando, ci provano e forse ce la fanno (il capricorno sicuramente, io un pò meno. Il meno del meno con le ali pesanti per volare sempre basso, o alto, vai a sapere). Francesco durante il pranzo mi ha raccontato di tanti dei suoi progetti, non riuscendo sempre ad approfondire ed esaurire le sue parole perché osteggiato dalla mia irruenza. Dopo la pasta zucchine e menta e la pasta con il pesto, gli chiedo se posso sbirciare lo studio, così ci avviamo in un bel palazzo dove troviamo i suoi collaboratori intorno a un tavolo. Mi sono resa conto, con maggiore forza rispetto al pranzo, dell’eclatanza del lavoro di Francesco, all’interno del suo studio. Quando decido di intervistare qualcuno, i motivi sono sempre “segreti”, quindi scoprire poi, in corso d’opera, che la persona che mi ha concesso la chiacchierata abbia pure un’aura professionale non d’argento, bensì d’oro… è una ciliegina sulla torta per i lettori che potranno fruire non solo di un’animella selezionata per la “ledi scuderia sezione interviste”, ma anche di un cittadino, di un professionista che ha raggiunto una certa vetta socialmente riconoscibile, lavorando duramente e con amore e dedizione a quello in cui crede e che sa fare per migliorare la comunità e il mondo in cui viviamo. Qui troverete alcuni progetti partecipati e a misura d’uomo a cui Francesco tiene molto: Zighizaghi, Sainthorto, Wunderbugs, Un orto di nome Eva. All’interno del suo studio ho visto modellini, fotografie e racconti di altri progetti importanti come Il complesso parrocchiale in costruzione, la scuola di architettura per bambini, Emotional Bauci ovvero la rilettura cinetica ed emotiva della città invisibile. Qui, invece, potete trovare la rivista cartacea e digitale creata a Roma. Infine la vostra cara ledi ha dimenticato il suo ombrello rosso leopardato su, e ricordandosene appena arrivata giù, squilla squilla che ti trilla, Francesco risponde: “si, l’ho già messo in ascensore, chiamalo a terra così lo recuperi”.

MILLIMETRI E METRI
Da sempre ho a che fare con le misure: il mio lavoro è misurabile e quantificabile e questo
spesso mi annoia molto. Nella vita il senso della misura non l’ho mai avuto oscillando tra il
sentirmi millimetro e il percepirmi metro. In mezzo ci stanno i centimetri, alleati da piccoli di
tante sfide con gli amici a misurarci il pene con il metro da sarto.
Quando sono millimetro da quella prospettiva il mondo mi sovrasta, tutto sembra
insormontabile. Essere millimetro però è vantaggioso, sei meno visibile e puoi perderti in
dettagli apparentemente insignificanti, analizzare ogni piccolo particolare che solitamente
passerebbe inosservato. Quando sei millimetro puoi riflettere sulla fragilità e sentirti più vero
e vulnerabile: sono uno qualunque che fa i conti con la complessità provando ad affrontare
paure e incertezze.
Sono spesso stato anche metro, e quando accadeva mi sentivo un blocco rigido, senza
sfumature. Credo che lo spostarmi da millimetro a metro e viceversa sia sempre stata una
costante e questa condizione la riscontro anche nel mio lavoro. Qualche anno fa ero molto
più metro, preferivo gli edifici grandi, le costruzioni enormi. Un approccio probabilmente
modellato dalle mie esperienze presso un certo studio romano e la mia esperienza presso
quei megalomani di cinesi a Pechino e Shanghai, lavorando in entrambi i contesti in studi
d’architettura che non partivano certo dalle esigenze degli utenti. Adesso invece amo la
piccola scala, lavorare con le persone, per le persone e propongo spesso un approccio
interdisciplinare e interspecie (sarebbe quella cosa che mette insieme esseri umani e altre
forme di vita come animali, insetti e piante) e quando non posso farlo, perché il progetto ha
dimensioni più ampie, allora lo concepisco a moduli, così da renderlo la somma di brevi
capitoli di un unico racconto o come tanti millimetri messi insieme ma sempre distinti.

INGINOCCHIATOIO E ALTRI SENTIMENTI
Gli inginocchiatoi fanno male. Sono quegli orribili elementi di arredo color noce in cui
prostrarsi nelle chiese che ti appiattiscono le rotule fino a farne incurvare e ingiallire il legno
col peso di peccati e preghiere. Questi oggetti mi fanno spesso pensare ad un parroco che
conoscevo (ormai defunto, pace all’anima sua) che durante le nostre confessioni ci
prendeva per il mento con la sua mano “affettuosa” quasi a baciarci.
Quindi li ho sempre odiati, ma il karma ha pensato bene che da qualche anno li dovessi
invece progettare. Preferisco immaginare un inginocchiatoio come un’entità non fisica, un
doppelgänger a simboleggiare l’introspezione e la ricerca interiore. Un luogo in cui esplorare
i miei sentimenti, dare voce a pensieri e trovare conforto. Un angolo di riflessione e
contemplazione, un testimone silenzioso dei miei momenti più profondi e significativi. Il
preludio di un passaggio interiore, un luogo altro in cui perdonare, chiedere scusa, voltare
pagina. In questo angolo di silenzio ascolto la segretezza dei pensieri, i desideri nascosti, le
paure più recondite. L’inginocchiatoio è il santuario dove le mie maschere emotive cadono e
quelle sociali si dissolvono: un luogo in cui guardare l’abisso con altri occhi.

COMPROMESSO
Amos Oz diceva che non esistono compromessi felici e che un compromesso felice è una
contraddizione, un ossimoro. Non credo sia così perché il compromesso in realtà è ovunque.
Ti alzi la mattina e fai un compromesso col tuo corpo, vai a lavoro e fai un compromesso con
la tua necessità di avere tempo per te stesso, è il cibo che mangi da piccolo pur di avere in
cambio qualcosa. La natura stessa vive di compromessi, quindi forse si, parlarne è inutile
tanto siamo sempre soggetti al compromesso quindi meglio farsene una ragione.

COSA COSTRUISCI CON LA POMICE
Ci ricostruirei me stesso, più leggero e poroso. Sono una persona che vive le proprie
emozioni in maniera tumultuosa e complessa. Mi piacerebbe pensare alla pomice come a
una sorta di kriptonite inversa che libera e non limita. Con la pomice ci voglio scolpire nuovi
spazi emotivi da far fluire liberamente e con tenerezza. Un bel po’ di pomice, inoltre, la darei
a tutto il mio genere maschile, di cui sono pienamente responsabile per quello che la mia
amica Elena G. definisce “un privilegio che gli deriva da secoli, se non millenni di dominio
sulle donne: per questioni fisiche in primis, poi riproduttive, religiose e culturali. Gli uomini
sono nel gradino alto del potere, hanno respirato fin dalla nascita in modo conscio o
inconscio la loro posizione di dominio nella società, in famiglia, nel lavoro. Ma il privilegio
non è una colpa, né la violenza e la bestialità di alcuni sono una responsabilità di tutti.
Finché continueremo a guardare con gli occhi della colpa e dell’accusa gli uomini senza
distinguo non li avremo mai come alleati per cambiare l’ordine delle cose. Non li avremo
come complici per estirpare le loro stesse male razze. E non avremo alcun progresso nel
nostro percorso di emancipazione e parità”. E’ verissimo.
Siamo responsabili, in quanto categoria privilegiata, anche di quanto accaduto recentemente
a Palermo e in Campania. La nostra è una responsabilità di genere e per questo dobbiamo
lavorare per scardinare tutti quei meccanismi patriarcali e maschilisti che conosciamo bene.
Agire dall’interno, lavorare ai fianchi, cercando di far riflettere altri uomini sulla necessità di
riformarci, di rinnovarci, smettendola di ostentarne uno stupido e consolidato privilegio che
spesso manifestiamo anche attraverso battutine sulle donne, sul sesso e su tanti argomenti
apparentemente innocui che in realtà sono solo lo specchio della nostre debolezze.

PUOI SENTIRTI PREMIATO
I soldi non mi sono mai interessati, ne ho spesi a migliaia: ho sempre avuto le mani bucate.
Non mi sono mai sentito premiato da un bonifico o da una medaglia. Mi sento premiato
quando mi batte il cuore, quando qualcuno mi sorride sinceramente e gli brillano gli occhi,
quando incontro un’anima bella e ci passo del tempo insieme, magari a fare l’amore e ridere
nonostante il momento non lo richieda. Mi sento premiato quando sono vuoto, quando sono
libero di essere me stesso, quando annaffio le piante, quando corro e costeggio il mare,
quando vado in bici e ringrazio di non aver bisogno della macchina per andare a lavoro.
Mi sentirei un po’ più premiato se avessi imparato dagli errori. Ogni caduta non è sempre
stata un’opportunità di consapevolezza, anzi. Oggi però mi sento premiato per la capacità di
adattamento e per la volontà di cambiare e migliorare.

LAS VEGAS E GLI ALTRI COLORI DELLA NOIA
Ho sempre pensato di avere una Las Vegas dentro di me. Peccato e luci abbaglianti, colori
vibranti e il silenzio del deserto hanno sempre fatto da sfondo a una melodia silenziosa che
si intrecciava con il frastuono dei pensieri e l’affollamento delle emozioni. Questa melodia
silenziosa è il lato nascosto della noia. E poi Las Vegas è la perfetta metafora di quanto ci
accade in questa contemporaneità folle in cui viviamo di incertezze costanti e in cui non
siamo capaci a stare da soli e ci fa paura annoiarci. Per far fronte a questa condizione
straniante accendiamo tutte le lucine che abbiamo dentro e pompiamo il volume al massimo
per non sentire il rumore assordante di quel silenzio. Ci sentiamo giudicati dal silenzio, dalla
noia (io di sicuro), ci sentiamo quasi dei falliti quando ci annoiamo. De Masi ne parla nel suo
libro “Ozio creativo” dove la noia è vista come un momento di riflessione, un catalizzatore di
idee e creatività. Sono d’accordo. Tornando alla città di Las Vegas e al suo famoso libro mi
viene da pensare che quanto descritto per la città valga anche per l’essere umano. In entrambi i casi si può gettare una luce profonda sul valore della noia, urbana e umana, che
dovrebbe essere parte integrante di entrambi i paesaggi, naturale e artificiale.

IL SEGATO DI MARMO E ALTRE GITE FUORI PORTA
La polvere del cantiere è affascinante. Sporcarsi le scarpe, uscire impolverato è gratificante.
Ultimamente mi sono recato in cantiere in sandali, troppo caldo a Palermo ad agosto, but
don’t try this at home, non si fa mai perchè alla prima distrazione vieni trafitto in un piede da
un chiodo che se ne stava lì buono buono ad aspettare che passassi dentro una lapazza di
legno, termine tecnico siciliano per indicare una tavola di cantiere insieme a cugnu, cioè uno
spessore o pezzo di legno che serve per bilanciare qualcosa e tante altre belle parole da
utilizzare per farsi capire dai muratori.
Il marmo è tra i materiali più sexy di un cantiere e quindi quando arriva si capisce che si fa
sul serio o che stiamo per terminare i lavori quando lo impiego sopra una cucina o un tavolo.
La cosa più bella del marmo però sono le cave. Ricordo di essere stato in una cava di
marmo a Custonaci ed è stata un’esperienza trascendentale. In quella cava si palpava
chiaramente la storia e il rapporto fra l’uomo e la terra. Me lo ricordo come un luogo
cosparso di polvere magica, pura e candida che riempiva l’aria che respiravo. Un posto dove
la montagna si snatura e si sacrifica per diventare arte. Allo stesso tempo quel luogo mi
incuteva paura, o per meglio dire rispetto, con le sue pareti alte come dei corazzieri che si
ergevano a guardiani silenziosi e con striature eleganti che catturavano la luce del sole.
Il suono del marmo tagliato poi è quasi primordiale. Sembra di sentire la montagna soffrire, o
godere non saprei, mentre gli operai si muovono sul suo corpo per estrarre con cura il
marmo dalle sue viscere. I colori del tramonto che riflettevano tutto interno trasformando
quella cava in un luogo dove il tempo sembrava sospeso. Da Custonaci mi spostai poi verso
il mare e andai a togliermi di dosso la polvere. Non era nemmeno estate ma fu uno dei bagni
più belli.

COSA ACCADE IN ASCENSORE, COSA USI NELLE ORE
Preferisco senza dubbio le scale. L’ascensore sembra una comoda scorciatoia per non
vedere il resto dell’edificio con le sue porte, alcune più curate altre trasandate, i fiori nei
pianerottoli, l’odore del sugo e il mestolo che ci gira dentro, il rumore della tv accesa e le liti
familiari. Come si fa a rinunciare a tutto questo prendendo una bara di metallo in cui tra
l’altro puoi anche rimanerci dentro? In ascensore ci si guarda allo specchio, ci si scaccola e
si scorreggia con la speranza che nessuno salga dopo di te o mentre ci sei tu alla guida
della pulsantiera. Ovviamente scoparci è d’obbligo ogni volta che se ne presenta
l’occasione. Nelle ore non sono bravo a usare il tempo. Spesso mi perdo in un oceano di
pensieri dove però, ad un certo punto, mi arriva quella scarica di lucidità in cui vado come un
treno e salvo la giornata.

LENZUOLA E ALTRE VOCI
Nonostante le cambi spesso, mi piacerebbe che l’odore di cui le lenzuola sono testimoni non
finisse mai. Con le loro grinze, il tessuto morbido quasi come pelle, le lenzuola possono
essere un paesaggio di piacere fatto da ogni centimetro dei corpi che ci si sono arrotolati
dentro. Le lenzuola sono un po’ una memoria storica di quanto avviene tra le mura di casa
anche se preferisco fare l’amore fuori dai contesti convenzionali dove le lenzuola non
servono mai. Poi con le lenzuola ci faccio anche le casette e i fantasmini per i miei nipoti, ci
faccio i pic-nic, ci conservo le cose di valore. Le lenzuola allora potrebbero essere la massima espressione dell’amore che esista. Anzi la prossima volta che dirò a qualcuno
quanto gli voglio bene, diro “ti amo come solo un lenzuolo sa amare”.
Le voci che più mi ricordo, invece, sono quelle dei viaggi all’estero più caotici. Cina, Egitto,
Turchia. Anche Napoli, che amo tantissimo, in realtà per me è voce. Una volta feci un
viaggio di lavoro a Città del Messico e ricordo il vociare dei vicoli quando ad un certo punto
mi ritrovai, dopo una serata con una ragazza, sbronzo a vagare per la città finché non
raggiunsi una piazza piena di mariachi e lì mi ripresi bevendo una birra. Dopo un po’ tornai
verso il centro (non ricordo bene quanto ci misi ad arrivare, ma credo un bel po’ visto che la
città era enorme) e non pago di quanto fatto fino a quel momento mi ficcai dentro un karaoke
dove un’altra ragazza mi chiese un bacio, che accettai, ma poi decisi di tornare in albergo,
avevo esaurito le forze.

TROVI UNA PERSONA NEL BAGAGLIAIO DELLA MACCHINA
Mi costituisco.