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Intervista a Giulia La Spada

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Giulia è di Catania, ma ci siamo conosciute a Palermo dove ha appena concluso i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti palermitana. La prima volta che sono stata nella stanza della casa dove vive Giulia qui a Palermo lei mi ha mostrato i suoi disegni. E’ stata l’unica artista che ho conosciuto qui a non ostentare mai il proprio lavoro. Sono rimasta perciò molto colpita da ciò che si celava dietro la sua timidezza o il suo riserbo o il suo BOH. La tesi conclusiva è uno studio speciale e ricco di dettagli e cura dal titolo “Outer Spaces”. L’incontro tra me e Giulia per questa condivisione pubblica si è sviluppato intorno al tema della CASA, nella sua stanza in zona Oreto, a Palermo. Come ponte tra noi Giulia ha scelto Cesare Viel, artista italiano classe 1964. Qui potete trovare la traccia di ascolto sul pomeriggio trascorso con Giulia, mentre lavorava a parte del processo della sua tesi finale: la stanza di Giulia. A seguire, le foto e l’intervista a una donna inarrestabile e piena di dubbi che è entrata nella mia esistenza passeggiando in punta di piedi e spargendo petali di tritolo ovunque.

ARANCIONE

L’arancione è diventato il mio colore preferito alle elementari, quello della mia migliore amica
dell’epoca era il giallo. Andavamo fiere dei nostri colori preferiti prima dell’avvento delle scuole
fighette. Avevo delle scarpe da tennis arancioni scamosciate della Lotto, inutile specificare fossero
le mie preferite nonché le prime dopo le Lelly Kelly. Credo che l’arancione sia tornato a galla col
disegno solo pochi anni fa (2017) e in definitiva con la scultura oggi. Da piccola ricordo mi
trasmettesse molta forza, l’arancione, sicurezza e qualcosa di molto vicino ad una certa libertà: cose
che avrei perso definitivamente negli anni dell’adolescenza.

BORSELLINO VUOTO E BORSELLINO PIENO

Il mio primo borsellino era di jeans, con sole due cerniere, e una tasca dietro una delle due. Era
morbido, mi piaceva maneggiarlo, al centro aveva una piccola scritta Camomilla rosa applicata in gomma
sottile. Non ritenevo strettamente necessario dovesse riempirsi, era già prezioso di per sé. Una
volta – cresciuta – quando lavoravo parecchio, avevo riempito un cassetto di voucher e buste dei
pagamenti dello stadio dove lavoravo. C’erano 700 euro; lì mi resi conto per la prima volta che,
nonostante gli sforzi che aveva richiesto farli, non avevo assoluta idea di come si fossero
materializzati tutti quei soldi lì. Ero per la prima volta entrata a contatto con un estraniamento della
mia persona rispetto a quello che facevo, mi sono sentita d’un tratto svuotata e ricolma di
responsabilità fino a non saperne che fare. Il mio borsellino oggi è vuoto e più pesante che mai.

LA CASA

La casa è dove voglio anche esser libera di non vivere, di lasciarmi morire un po’. La casa dei miei
sogni è fatta di poche ed essenziali cose che non sono cose. Quel luogo dove nel vuoto trovo spazio
e ritaglio il mio angolo di pieno. Il mio riparo, la mia culla dove posso permettermi di restare
bambina giocando con lo specchio, il letto, la finestra, il pavimento e i muri. La casa è una protesi,
un’estensione tridimensionale inorganica dell’uomo. La casa sa tutto, non le si può sfuggire in
nessun modo. Scappare di casa significa scappare da noi stessi. Una volta mia madre mi ha detto
che l’acqua è il sangue della casa.

GLI ELETTRODOMESTICI E TUTTI GLI ALTRI RUMORI DELLA CASA

Una volta, in casa Figaperta, mi sono svegliata in piena notte a causa di un rumore/vibrazione
proveniente dal bagno. La mia camera non era così vicina al bagno, eppure quel rumore sembrava
perforarmi il cervello. Mi alzo e in bagno trovo lo spazzolino elettrico della mia coinquilina,
poggiato sulla sua base/caricatore, gridare aiuto. La prima sensazione è stata questa, una forte
richiesta d’aiuto: un oggetto naturalmente privo di linguaggio, usava quel che era in suo potere, per
poter urlare al mondo che si stava rompendo. Che se qualcuno non se ne fosse preso cura, da lì a
breve avrebbe smesso di funzionare e quindi di vivere. Ho anche immaginato che quel povero
spazzolino, vivendo ormai di vita propria, una volta gettato nel cassonetto, avrebbe continuato a
vibrare insieme al resto dell’immondizia avvolto da un silenzio che prima o dopo l’avrebbe
soffocato. In fine ho immaginato un intero mondo abitato dagli elettrodomestici dismessi o
malfunzionanti e ritenuti inutili, un mondo che noi probabilmente non conosceremo mai. Spero
però, che siano felici.


Sempre in casa Figaperta, quella in cui ho trascorso tre anni, avevo un vecchio parquet cigolante in
camera, altrettanti vecchi armadi e infissi di porte e finestre ridipinti dalla proprietaria pittrice e
illustratrice di storie per bambini. Il legno, essendo un materiale poroso (specie quello vecchio),
trattiene ogni microparticella, energia, umore di tutti coloro abbiano messo piede e respirato nella
stanza. Durante il primo lockdown, a letto e in momenti di assoluto riposo e occhi al soffitto senza il
solito frastuono della strada in sottofondo, ho iniziato a sentire piccoli rumori provenire
dall’armadio e dai suoi amici cassettoni. Era la prima che sentivo la mia stanza parlarmi e
conoscermi meglio di chiunque altro. Ero pienamente dentro di lei, e lei dentro di me.

CAFFE’

Non faccio più la montagnetta nella caffettiera, mi dispiace per i miei ospiti italianissimi. Ho
eccitato e intossicato il mio corpo per molti anni e per molti giorni e mattine credendo di renderlo
più efficiente. Una volta mentre giocavo con un ragazzo ho bevuto un caffè macchiato con la sua
sborra. Credo sia tutto.

PANTOFOLE

Le pantofole si distinguono in calde e scomode e fredde e comode. Una volta in via Macerata
tornando da lavoro molto stanca e desiderosa di indossare le mie nuove e calde pantofole, ho
sentito uno splash, era la cacca del gatto della mia allora coinquilina epilettica sulla quale per ovvi
motivi non potei sbottare e dovetti trattenere e, come al solito, pulire io la merda.

LUCE COMODINO

Lo scorso Natale mia madre mi ha regalato la lampada di sale da mettere sul comodino per
assorbire le energie negative e ripulire di conseguenza quelle circostanti. Alla magica Palermo però
non gliene frega niente. La luce del mio comodino, invece, quella che uso per non accecarmi e per
leggere la sera, me la porto dietro da via Macerata, la prima casa in cui abbia vissuto dopo aver
lasciato il nido catanese. La comprai da Ikea insieme al mio fidanzato dell’epoca insieme a delle
lenzuola, un’altra lampadina regalata a Eloisa prima di lasciare Torino, e a un cuscino a righe che
tengo ancora con me.

CHIAVE E SERRATURA

Le mie manie di controllo non mi hanno mai lasciato perdere le chiavi di casa. Ho vissuto però tre
mesi in casa del mio ex senza che ne avessi un mazzo mio, nella mia stupida ingenuità da primo
accecante amore ero per questo motivo al sicuro.

COSA SPOSTI E DOVE TI PORTI

Sposto gli asciugamani dalla mia stanza al bagno e viceversa. Sposto e porto con me il mio desiderio
di stare temporaneamente in un posto migliore di questo, sempre. Lo porto da una casa all’altra, da
una compagnia all’altra, da un bar ad un altro ecc. Mi porto avanti pensando di non muovermi mai
davvero, questo perché non ho piena percezione del presente, e a maggior ragione del futuro.
Porto l’incenso al muschio bianco orientale, è un profumo sexy che mi ricorda momenti di
convivenza armonica e sensuale col mio corpo. Porto ovunque vada agenda e/o taccuino, non sia
mai debba aprire le note del telefono mio nemico. Porto ovunque vada anche Teo, il mio odore ce
l’ha lui, non io. Mi porto sempre in alto, combatto la forza di gravità ma ne sono fisicamente
vittima, quindi contrasterò quest’andamento finché non mi seppelliranno.

WE RE JUST VISITORS

Una volta un ragazzo che veniva in casa mia per la prima volta, entrato nella mia stanza mi chiese
come prima cosa se ci vivessi. Sorpresa di questa domanda, ovviamente risposi di si e come mai
l’avesse pensato, lui disse che sembravo di passaggio.