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La peste

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Ritorno nella mia terra, un ritmo lento si innesca nel mio corpo mandando in esplosione il mio stato umorale. Con entrambi i piedi, in bilico, sulla punta di uno stivale rotto, in certi punti. Penso e ripenso a chi come me è cresciuto in questo limbo. In sospensione! Capogiri, nausea, equilibrio instabile. Le spiagge! Sì, ma il mare non basta, dico a me stessa! L’aria è asfissiante, fin troppo pesante, certe volte! 

Cose che neanche dentro Au bonheur des ogres riusciresti a trovare. Non è surreale, di più…

Ci si sente  strani ed estranei qui, in Calabria. Se possiedi dentro anche un minuscolo senso di realtà e giustizia, alzi la testa, sgrani gli occhi, guardi oltre la zona nera di separazione e: senza voltarti, tiri avanti. Restare significherebbe accettare un percorso cronico. Se poi sei una donna…

Lasciano in tanti, in tante. Il sistema delle raccomandazioni è talmente grave e pesante che servono gli amici anche solo per fare un piccolo passo in avanti. E che “amici”! 

Ricordo come ci si sente, essendo donna poi, la sensazione si amplifica. 

Capita, certe volte, di sentirti come un pezzo di carne, niente di più, mentre gridi per far sentire le tue idee. Non esiste peggiore sensazione!

Ricordo, quante volte ho sentito dire: “esagerata!” e ancora “sei pazza!”, “sei sola”, “non ti crederà nessuno”, erano queste le risposte alla disperazione di certe donne ancora accese nonostante il buio intorno. Donne affamate di vita. Affamate d’evoluzione. Disperatamente in cerca di un modo per reagire. E’ successo così anche a me. 

Prima di prendere la strada verso la libertà, prima dell’Università, sono stata una donna, del Sud, al Sud. Io ci sono nata a Reggio Calabria.

Le donne del Sud, quelle che si ribellano anche solo con l’espressione di un’opinione divergente, possiedono un potere disumano. Non chiamatele vittime! Sono Amazzoni! Loro sono guerriere. Uccidono i loro carnefici combattendo con testa, arte, cuore, ragionamenti, verità e voglia di esistere anche quando sono sole, in quella terra oppressa. 

Succede quasi sempre che in un luogo dove primeggia la cultura mafiosa e maschilista anche le altre donne si scansano e ti lasciano cadere giù, nel vuoto. 

Madri che sputano disprezzo voltando le spalle alle loro figlie. Fratelli, mariti che ti vogliono morta perché hai tradito. Nel migliore dei casi ti urtano, cancellandoti con un violento colpo di mano. Se ti mostri diversa, insomma se la tua missione diventa quella della non sotto (missione), allora sei out . Ti scansano, come il vento fa con la terra. Il cielo si chiude, in un soffio vieni spinta verso il nulla che ti si crea intorno.

Cose che il caro Dante, certi personaggi, parlo dei carnefici, li avrebbe messi tutti all’Inferno, probabilmente nel VII cerchio, immergendendoli nel Flegetonte, condannandoli a stare per sempre sotto le armi e gli occhi dei Centauri.

l machismo, il maschilismo, l’ignoranza, sono veleni altamente nocivi, ti buttano giù, possono anche farti credere di essere uscita fuori di testa.

Ho pensato: come potrei sopportare di tornare in una terra dove il macabro gioco del nulla ha barato, un tempo, con la mia sensibilità mite ed indulgente? Come potrei non avere conati di vomito pensando ad una terra dove le atrocità indossano la maschera dell’abitudine per apparire normali. 

Come non ricordare che a Melito Porto Salvo, a soli 32 km di distanza da Reggio Calabria passando per la Strada Statale 106, hanno stuprato una ragazzina per anni sotto gli occhi sbarrati di un intero paese che sapeva tutto.

I paesani però, i timpani delle orecchie li avevano otturati con il cerume dell’omertà. Il padre della vittima, sapeva anche lui. Nessuna denuncia, però.

Gli stupratori, guidati dal figlio di un boss. Lei, solo una femmina. “Un buco”, come direbbero loro. Lei, non conta! “E’ solo una troia”, non lo dico io, lo dice parte di una cultura deviata. 

Eppure anche questa volta ne esco più forte ed anche questa volta io riconosco il bene ed il male e la mia mente reagisce. Come? Scrivendo delle donne!  Partendo proprio da un luogo in cui è ancora più difficile denunciare una qualsiasi forma di maltrattamento. Dunque, è questa la mia risposta! Un pensiero accende le mie motivazioni, il corpo non si dissocia e si muove. 

Voglio parlare di quelle donne ancora attive che su un terreno, in parte bruciato, riescono comunque a crescere grazie alla dedizione verso certe idee buone, riuscendo così anche a salvare quello che ancora c’è di bello. Coltivano modelli di vita alternativi, per le donne del Sud.

Ho scovato Ivana Russo, a Cosenza, abbiamo parlato. Non la conoscevo. Adesso sì. E’ un’artista. E’ una donna. Ha osato, per via della sua personalità forte ed indipendente. Ha raccontato dei migranti sotto la mano, per nulla invisibile della ‘ndrangheta. Perché non è la mano invisibile di Adam Smith, quella di cui stiamo parlando. 

Sotto le dita della criminalità, non c’è equilibrio economico ovviamente, c’è solo guerra e c’è anche la fame. Lei ha raccontato dei tempi in cui a ribellarsi, contro lo sfruttamento ed il sistema mafioso, furono per primi i migranti di Rosarno e non i calabresi. Ha realizzato diversi progetti, fotografici e non solo, fra i quali un documentario dedicato alla ribellione di Antigone, che farà sua la libertà di dire “no”. Antigone, protagonista della tragedia di Sofocle, simbolo di ribellione alle leggi umane.

Ivana Russo, ha anche collaborato in più occasioni con il “Centro contro la violenza alle donne Roberta Lanzino”, nato poco dopo l’uccisone di una ragazza di Rende. Stuprata ed ammazzata. La sua morte resta ancora impunita, gli aguzzini anche . Era il 1988, lei aveva solo 19 anni.

Così l’artista mi racconta di un nuovo lavoro. Vivrà nel prossimo  futuro, è ancora in fase di assemblaggio il progetto.  Analizzerà una storia vera, quella di una ragazza cosentina, lacerata nel profondo da un attacco di Revenge Porn . 

La protagonista, è una studentessa iscritta all’Università della Calabria. Ha un ragazzo. In passato è stato un caro amico, poi è nato l’amore. Lei è innamorata del suo principe, pensa di conoscerlo. Cede troppe volte davanti a segnali allarmanti accompagnati da scuse continue. E’ molto geloso, ossessivamente presente. Non vuole vederla ballare. Odia tutti gli interessi che la ragazza vorrebbe coltivare. Carlotta, lo lascia. Ci prova a stare senza di lui. Lui però non la molla, promette di cambiare. Tornano insieme. Lei cambia umore, non ride più e l’ansia diventa parte di lei. Lui la minaccia, lei racconta tutto alla madre. Non resiste più Carlotta, lui non è cambiato. Lei e la madre bussano al Centro Lanzino, qui la ragazza viene presa per mano e accompagnata lungo un percorso molto complesso. Nel frattempo l’orco travestito da principe toglie la maschera e medita vendetta. Tradisce la sua principessa. Non la uccide fisicamente. Lui la vuole colpire nell’anima, vuole toccare lo stato più intimo e profondo della ragazza. La vendetta, detta le regole. Non c’è empatia, non c’è amore. Lui vuole il suo oggetto e se non può averlo, allora deve farlo a pezzi. Usa la rete, per distruggerlo. Pubblica sul web video intimi, foto di quando si amavano. Carlotta lo scopre perché qualcuno le racconta di quanto gira nella rete e denuncia. Inizia l’inferno. Le forze dell’ordine dovranno scortare la ragazza anche fino all’Università perché l’orco ed i suoi amici la seguono ovunque rendendole la vita un inferno. Questa volta però il principe non ha considerato che Carlotta è una di quelle principesse sveglie, una di quelle che si salva da sola. Il processo è ancora in corso. 

Durante la conversazione tra me ed Ivana, l’amarezza perde un po’ del suo brutto sapore perché poi alla fine dei conti prende vita un ragionamento essenziale: in ogni parte del mondo qualcuno sentirà il dolore, ne parlerà, racconterà e sosterrà queste guerriere. 

L’arte aiuta perché è denuncia. L’arte trascina con sé gli esseri umani dentro una dimensione meno oscura dove tutto diventa più chiaro. L’invisibilità di certi fatti si affievolisce per poi svanire insieme con l’indifferenza. L’arte tira fuori la parte migliore di noi, quella destinata alla ribellione perché è con lei che parla. Veicolare messaggi di forza e libertà, è il punto. La cultura e la diffusione del sapere, sono vitali. Mai come in questi casi! 

Lascio la mia terra e lo so che avrò altri mille buoni motivi per tornare, nonostante la paura del vuoto, perché troverò dentro la sua pancia creature positive pronte a metterci la testa e le idee per dare voce a chi l’ha persa per paura o per vergogna! La peste – sì così la voglio chiamare la violenza sulle donne, anche perché il paragone di Vinicio Capossela mi piace da morire e lo voglio estendere – si può abbattere, basterebbe ricordare che nei paesi evoluti la peste infatti, è scomparsa.

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.