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L’ESTATE DI CHET BAKER

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Quando la timida musa preferisce fare la ritrosa, c’è solo una cosa da fare: mettere un disco di Chet Baker, versare un bicchiere di bourbon, scovare un pacchetto di Marlboro dentro un vecchio cappotto, e iniziare a scrivere. Da qualsiasi punto, in qualsiasi momento della notte. Perché quando la timida musa preferisce bussare alla porta di un qualche giovane e squattrinato autore, tu, povero e modesto scribacchino del web, hai una sola cosa da fare: un ratto delle Sabine 2.0, e se ti manca il coraggio, significa che non avevi davvero intenzione di iniziare. Perché la scrittura è una bestia strana: non serve a nulla coltivarla, non puoi pensare di resistere e di domarla; è lei che scova te, nel cuore della disperazione, come una falena ricerca un bagliore di luce, in questa notte che stiamo attraversando. Quello che veramente conta e fa la differenza è il ritmo, l’intensità, il fraseggio.

Tutti i grandi scrittori hanno trovato la loro strada, alcuni ci sono rimasti, altri si sono chiusi dentro una torre d’avorio, ma hanno ricercato verità e bellezza. Anche io ero uno di loro, anche io cercavo le stesse cose. Soprattutto cercavo la musica, come in una notte di molti anni fa, quando mi aggiravo ramingo per le vie di una città che non era la mia, ma che avevo imparato a fiutare. Perché il coraggio dei vent’anni e i nervi e il sangue pulsante di un corpo caldo e perfetto, non potrai mai barattarli con qualcosa come fama, successo o qualche soldo da parte. Conta solo il presente, conta quello che stai sentendo e provando ora, perciò non hai altra scelta che pescare nel tuo carnet, ammesso che tu ne abbia uno, ammesso che tu abbia vissuto una qualche vita, da qualche parte, di cui non avevi mai proferito parole. Avendo vissuto qualche esperienza intorno ai trent’anni, non sarà poi così difficile viaggiare per le strade polverose della memoria e di quei ricordi che sanno di armadi umidi dove avevi riposto una bottiglia, per quel momento di sconforto che puntualmente, inesorabile arriva, come un sicario scrupoloso, come un commercialista pignolo, che non puoi evitare.

Nella vita ci sono pochi momenti essenziali, e devi sperare che anche questo sia uno di essi, perché ne va del tuo talento, della tua sopravvivenza. In un mondo popolato da troie e materassi a buon mercato, esiste una sola moneta di scambio: il talento. Se hai ancora credito, procedi pure, altrimenti torna nell’oblio di una stradina che nessuno percorre più, tranne per gettare i rifiuti, senza essere scoperto, perché è più facile liberarsi di un fardello, che coltivarlo e conviverci. E tu ne sai sicuramente qualcosa, tra risate e silenzi, tra lacrime e sorrisi. Hai sentito una tromba malinconica eseguire una melodia calda e soave, e ti sei ricordato che c’eri anche tu, in una calda serata di maggio, alla ricerca di qualcosa, che ora non ricordi bene, ma che sicuramente sa di poesia. Sei tornato in quella camera, in una stanza che aveva un profumo particolare, di vestiti puliti, di valigie che non c’è stato tempo e modo di disfare per bene, perché la città, pulsante e viva, ti chiamava forte.

Avresti certamente sbagliato tutte le strade, ti saresti imbattuto in turisti e in cercatori d’oro, ma non era quello che stavi cercando. Si tratta di cose che puoi capire solo più avanti, perciò continua a camminare, anzi è meglio se non pensi più a niente, perché hai già sbagliato traversa e ora tocca tornare indietro, prendendo un altro punto di riferimento, che possibilmente non sia una rotonda, un semaforo o una chiesa. Ho detto chiesa, non abbazia, che poi non ho mai capito cosa sia di preciso, un’abbazia; secondo me è una di quelle cose inventate dai letterati per darsi un tono con il vicino di casa, che aveva appena cambiato macchina, acquistando un modello rosso fiammante della nuova 75. Me la ricordo bene l’Alfa Romeo di quel mio vicino, era una 75 Twin Spark, con 4 cilindri in linea, basamento e testata in lega leggera e 2 alberi a camme in testa comandati da catena. Una vera bomba! Ci sono stato dentro, quando c’era la festa qui in paese, ma solo per pochi minuti, mentre la radio trasmetteva Tutto il calcio minuto per minuto. Il letterato non aveva i soldi per cambiarsi l’auto, così si inventò questo termine, e ora si sente fiero della sua invenzione, di questa nuova scoperta, ma la verità dei fatti è che lui andrà sempre in giro a piedi, mentre il suo vicino passerà una parte del suo fine settimana a lavare, lucidare e glorificare la sua eterna Alfa Romeo.

La vita è fatta di scelte, come quando ti muovi in una città nuova, ammesso che tu abbia avuto il fegato di uscire di casa, mollare tutto e iniziare una nuova avventura. Uscire di casa comporta dei rischi, un po’ come ascoltare musica jazz a certi livelli. A volte è come guidare su una strada tortuosa senza guard rail. Ecco: ascoltare un disco di Chet Baker, mi ricorda quel tipo di sensazione, quel brivido costante che mi sale lungo l’addome, mi pettina lo sterno con una precisione quasi chirurgica. La sezione ritmica segna lo scorrere del tempo, è puntuale, come il ritardo di un treno, come la coincidenza che mi porterà a casa, da Empoli a Firenze, prima e poi a Malaga.

Se a qualcuno dovesse interessare, il disco era proprio Estate, il terzo brano, Lament. È quello con la copertina fumosa; ci sono con lui Philip Catherine alla chitarra e Jean-Louis Rasseinfosse al basso. Erano belli gli anni ottanta, specialmente per chi seguiva e amava un certo jazz! Io lo so bene, perché c’ero, almeno con la fantasia, almeno con lo stato d’animo. Lo spleen poi è davvero simile, come quando si inizia, come quando non sai di preciso se è lei quella giusta, o se ci si può fidare di un amico, di un confidente occasionale, in questo bar della mente, dove mi sono appena versato quest’ultimo goccio di bourbon dover aver acceso un’altra Marlboro. Prima che i miei pensieri trovino ristoro, in questa calda notte di giugno, nell’ultimo giorno dell’ultimo anno felice, qui, a Siviglia, 2005, nell’estate di Chet Baker rievocata dall’ascolto di un maturo, nostalgico Van The Man.