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Orlando al Teatro Astra

di:


dal romanzo di Virginia Woolf

e dal carteggio tra Virginia Woolf e Vita Sackville-West “Scrivi sempre a mezzanotte” (Donzelli)

  • drammaturgia Fabrizio Sinisi
  • traduzione Nadia Fusini
  • regia Andrea De Rosa
  • con Anna Della Rosa
  • scene Giuseppe Stellato
  • luci Pasquale Mari
  • suono G.U.P. Alcaro
  • costumi Ilaria Ariemme
  • aiuto regista Paolo Costantini
  • datore luci Roberto Gelmetti
  • fonico Claudio Tortorici
  • sarta Milena Nicoletti
  • musica di scena sinfonia n. 6 (patetica) Čajkovskij
  • produzione TPE – Teatro Piemonte Europa

Orlando è il nuovo spettacolo con la regia di Andrea de Rosa, direttore del Teatro Astra, inserito nella stagione da lui pensata, intitolata Fantasmi. Effettivamente ancora di fantasmi, parliamo. Risuonano le parole “chi siamo noi?”. Una domanda fondamentale, in questi tempi in cui la conoscenza dell’altro continua a essere ridotta alla fallacia di un’identità fissa.

Quella sera del 6 dicembre, alla prima, io ero in sala. Anna della Rosa sedeva in scena, poggiata di schiena a un grande tronco di quercia, dal momento in cui si entrava in sala. Mentre ci si appostava alle sedie, era già possibile ammirare l’ attrice seduta sola, posata come una statua, seduta su un prato verde in letteratura, che è altra cosa dal verde in natura. Come un’apparizione .Da sopra stava un traliccio da cui cadevano fogli bianchi. Fogli come foglie.

“Parole senza bellezza, senza interesse, spoglie di ogni profondità, che cadevano come noci mature dall’albero, prova palpabile che quando la vita quotidiana è infarcita di significato diventa di una sorprendente dolcezza per i sensi”. Forse era a questo passaggio del romanzo di Virginia Woolf che si pensava, quando si è ideata questa scelta registica.

La bellissima storia contenuta nel romanzo, che viene unita alle lettere che l’autrice mandava alla sua amata Vita Sackville-West, aveva come perno proprio il cambio di sesso del protagonista, che vive nel corso di tre secoli. La scelta è stata quella di mantenere solo il personaggio nella versione femminile. Vestita proprio come Virginia Woolf. Tanti i rimandi all’ irrequietezza di questa donna, avvolta in una meraviglia misteriosa e onirica. L’allegoria dei tre secoli, ci spiega infatti una condizione in cui oggettivamente un’identità sola confrontata con quella umana che ha durata massima di un secolo, cambierebbe in maniera totale, non può dirsi mai stabile. La quercia richiama a quel poema che Orlando cerca di scrivere nel corso di questa lunga vita, che rimane incompiuto. E’ un oggetto allegorico che ci parla della letteratura, ma ci parla anche del discorso afferente al soggetto. Un mondo che non può avere fine. E ci parla di un’identità che non può mai essere davvero tale, perché se fosse assoluta sarebbe totalitaria. Così come lo è ogni pensiero che voglia imprigionare le identità in ruoli prestabiliti. Dipende tutto da che piega prende quel nostro discorso interiore, che è il farsi della nostra vita. Anche a partire dal giudizio altrui noi costruiamo la realtà di ciò che siamo. Ma noi, ci dice Virginia Woolf, possiamo andare oltre quella statistica, per accedere al possibile della letteratura.

L’interpretazione di Anna della Rosa è intensa, precisa, tecnica, poetica. Le parole sono assimilate in fraseggi scenici connessi gli uni agli altri . Mentre lei si muove e parla, recitando parti del romanzo di Virginia Woolf, cadono come foglie le pagine vuote. Sono fogli su cui non è scritto nulla. Sono i bordi dell’identità. Questo è l’elemento che ho trovato più interessante in questo spettacolo.

Quei fogli che sono foglie, ci portano all’allitterazione di una questione inconscia.

Sin da quando ci si sedeva, Anna della Rosa era in scena. Indossava un cappello. Quel cappello, l’attrice (già Orlando) l’ha lanciato. È avvenuto in un momento di luci ancora accese, in attesa dello spettacolo. Nel mentre molti si sedevano ancora, chiacchieravano. E lo spettacolo era già iniziato perché come per Orlando, l’identità era già in corso. Non dobbiamo scomodare il quattordicesimo seminario di Lacan, anche se è inevitabile fare toc toc alla sua porta. Il fantasma infatti, che Virginia Woolf tratta molto ante-litteram rispetto a questioni di attuali legate al gender, era lo stesso di cui parlava la psicanalisi di Lacan quando descriveva l’identità come appartenente alla dimensione fantasmatica del soggetto, e quindi il testo bianco, perché relativo al Reale, ovvero quanto non ha parola. Orlando appartiene a più epoche, sta fuori dalla contestualizzazione. Sappiamo che l’identità appartiene ontologicamente a qualcosa. Il fantasma consiste proprio nell’identità vista nella sua essenza privata di ogni riferimento all’appartenuto. Anna della Rosa, si muoveva in scena danzando con cambi costanti di identità, questo avveniva nel cambio ritmo, negli improvvisi coup de theatre. Perché l’identità si svolge. Ed è per questo che Virginia Woolf, novantasei anni fa, ci parlava di un uomo chiamato Orlando che aveva fatto il servitore della regina e poi in un’altra epoca era diventato donna. Perché Virginia Woolf amava dare la precedenza alle parole della letteratura, rispetto a quelle della realtà. E questa storia di Virginia Woolf, che è una dedica d’amore bellissima, un romanzo dei più importanti che siano mai stati scritti nel secolo scorso (e non abbastanza trattato e studiato) ha la sua forza proprio nel suo sfociare nella metafisica. Nella questione dell’identità di genere, ma non solo. Nell’identità in generale. Nella nostra presa di coscienza che siamo spettri e che come tali abbiamo in potere la nostra esistenza, e che sempre però, dovremo fare i conti con un qualcosa di reale a cui apparteniamo. Che ci resiste, così come noi gli resistiamo.