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Viaggio tra contrasti sonori: Baptiste Le Goc, intervistato per Tracce di Luce

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Quarta intervista di Enrica Orlando/Rubricosa al musicista Baptiste Le Goc, artista in residenza per Tracce di Luce.


Contrasti, luce e malinconia. Baptiste Le Goc per Tracce di Luce

Per me Moulin è futuro. Per me la sua arte era aperta. Ne ho avuto conferma durante il convegno, dove i relatori parlavano appunto del fatto che il suo studio della luce servisse a raggiungere un’ indefinizione

Si ricordo bene

Questo concetto mi piace molto, la perfezione nell’indefinizione… Qualcosa che non deve essere netto, preciso, invalicabile. Ecco, è un principio che ho intuito anche nel tuo lavoro, lavori anche tu con le contaminazioni. Cosa suoni nello specifico?

Il mio primo strumento era il piano. Poi, anche chitarra, voce…

Il piano è più completo?

È un’orchestra sotto le dita. Soprattutto a livello di teoria musicale, capisci la musica guardando la tastiera.

Ieri, durante la presentazione del tuo live, hai detto: “Io vorrei fare quello che ha fatto Moulin, ma non avrò mai il coraggio…”

Sì…

Quanti anni hai?

31.

Sei giovane

In Italia sì.

Ahahah questa è bella, spiegamela per favore

Ahah, eh sì, siete “ragazzi” fino a 50 anni… 

Vero… E tu come ti senti?

Io vorrei vivere negli anni 70. Sono grande fan di musica anni 60/70. Quegli strumenti, quegli effetti… 

Hai anche scritto un libro a riguardo, no? 

Ho scritto un libro sul prog italiano “Musica per il pensiero. Filosofia del progressive italiano” , con il filosofo della musica Marco Maurizi. Per me quella musica è pura, senza tutto l’aspetto digitale.
Ma le mie orecchie sono “contaminate” da altro, non posso fare come se non conoscessi anche altro, non posso essere così assolutista.

A cosa stai lavorando adesso?

Adesso sto lavorando a un ep con 5 tracce. Ecco, l’ep l’avrei voluto realizzare con gli strumenti dell’epoca, ma per ogni registrazione si spenderebbe troppo. Così mi sono dovuto affidare a strumentazione digitale.

Beh quindi si può dire anche che in questo senso la tecnologia è un po’ democratica: dà modo a tutti di esprimersi.

Si. Ad esempio io vorrei prendere il mellotron, quello dell’epoca. Ma sai, c’è il plug in sul pc che riproduce lo stesso suono, quasi meglio… Però il rischio è che la democratizzazione diventi altro. Ad esempio, ormai ognuno sente di potersi definire “fotografo” perché ha un cellulare. E qualsiasi persona con una scheda audio e tastiera dice di essere musicista. Ovviamente non funziona così…

Comunque sei aperto al compresso? 

Sono un po’ obbligato a esserlo. Ma sai, a me piace anche quello che è arrivato dopo, musicalmente.

Nella performance di ieri, ci sono strumenti che si usavano negli anni 70, ma ci sono anche cose trip hop…

Come hai utilizzato le parole, nella performance? La voce di Moulin, quel suo modo di parlare, con la  voce tremolante, ha un suo ritmo, che hai integrato nella musica. 

Le parole hanno una melodia, un ritmo. Moulin, nella registrazione che ho usato, parla italiano lentamente, in modo profondo e meditativo. In contrasto ho usato un ritmo di base che invece è ossessivo; l’altra voce che ho usato (della donna che batte l’asta n.d.a.) è molto ritmica. L’opera è stata chiamata “Viaggio sonoro”, ma potrebbe definirsi anche “Viaggio tra i contrasti sonori”. 

Contrasti quindi. È un tema che è venuto fuori anche con gli altri artisti. Dada mi ha parlato della “violenza” della sua arte, che si è incontrata con la delicatezza dell’arte di Moulin. Clara mi ha parlato del dualismo percettivo nei suoi dipinti: c’è un paesaggio che si percepisce in lontananza e uno che si percepisce vicino, che sembra diverso. Lo stesso per Alessandro, che mi ha parlato di questa dualità taumaturgica tra attore e spettatore… Il tuo contrasto, il tuo dualismo, dov’è?  

Il contrasto è quello che vivo, da artista. Mi sono immedesimato molto in Moulin. Anche lui era francese, e come me aveva un profondo rapporto con l’Italia. E anche io a Parigi subisco il problema del mercato, la superficialità… (Moulin rifiutava l’idea di arte per denaro e criticò molto il mercato dell’arte parigino nda) Sembra quasi si debba passare più tempo a socializzare e promuoversi, che a far arte davvero. Io ho bisogno di tempo, per comporre.

Vale anche per chi scrive. Non basta: devi promuoverti, conoscere, muoverti, devi fare tutto da solo. Adesso sembriamo connessi ma soli.

Esatto. Per questo prima parlavo degli anni 70. Tra tecnico, arrangiatore, regista, mixaggio, tour manager… avevi almeno 7 o 8 persone dietro. 

Per me questo Festival è la dimostrazione che per realizzare cose, c’è bisogno di fare comunità reale, sul posto. Tu che impressione hai avuto, da questa “comunità”?

L’energia, la qualità del lavoro, tutta la fatica che c’è dietro. Verrebbe da chiedersi perché spendersi tanto? La risposta è quella che si è data Moulin: l’arte per l’arte. 

Fare tutto per l’arte. Certo, di questi tempi urge trovare un equilibrio con la “dura” realtà. A meno di non fare davvero come lui e darsi all’eremitaggio… Cos’è che ti frena, dall’intraprendere uno stile di vita tanto drastico?

Non sono pronto a fare i suoi stessi sacrifici. E poi io ho bisogno anche di gente…

Come vivi il Tempo da artista?

Vivendo a Parigi non ho mai tempo. C’è uno stress continuo. E poi c’è questa necessità di  volere tutto, subito. Per un anno ho suonato 5, 6 ore di piano ogni giorno. E la domanda costante è sempre stata “ok ma allora quando esce l’ep?”

E allora come sei riuscito a trovare un compromesso tra questo tuo desiderio e il lavoro? 

Mi sono preso il mio tempo per dedicarmi solo alla musica. E ora devo provare anche a venderla. Alla fine l’arte è fatta  per essere condivisa. 

La condivisione è stata una parola chiave in questo Festival. Ti faccio una domanda che ho posto a tutti: per te c’è un parallelo Moulin, il Molise e il non esistere?

Beh, lui si voleva un po’ “nascondere”, e ha trovato il posto giusto.

Un luogo che può rispettare l’idea di marginalità senza chiudersi

Se esistere significa diventare un luogo pieno di turisti e basta, preferisco continuiate a non esistere.

Certo, capisco cosa intendi. Ci vuole un equilibrio anche in questo caso, tra l’emergere e il continuare a rispettarsi, non snaturandosi.
Che “suono” ha Moulin?

Sono due suoni, come i due luoghi della sua vita. Anzi, sarebbero due colori e due suoni. 

C’è Parigi, che è grigia e che associo al rumore che fa la gente.

Quindi la associo a suoni più aggressivi, chitarre elettriche, ritmi diversi, tempi diversi, accordi minori per restituire un senso “nero” di agitazione.

E poi c’è il Molise, la natura, un altro tipo di complessità armonica. C’è la luce…

Aveva ragione Moulin, anche io la luce di queste montagne (le Mainarde, nda) non l’avevo mai vista. Questa luce calda che colpisce il verde, il marrone ed è molto rara. È calda, secca.

Direi che ha il suono del mellotron, uno dei miei suoni preferiti. Un suono di flauti invecchiati, come la voce di Moulin, un suono che viaggi su accordi di mi maggiore settima, per dare il senso della luce e della malinconia. 

C’è qualcosa che vorresti fare diversamente, magari per la prossima edizione del Festival?

Forse proverei a fare un’opera collettiva, in cui tutti gli artisti collaborino per un’unica opera. 

Con il livello di connessione umana che abbiamo creato, sarebbe stato interessante provarci. Sai tra noi sei si è creata una sinergia perfetta, eravamo tutti con lo spirito giusto.

Eravamo sempre tutti qui, tutti in piazza, un luogo di incontro costante che favorisce lo scambio in tempo reale senza intermediazioni. 

Si può dire forse che hai ritrovato un po’ di quel Tempo che ti serviva, qui.

E, come Moulin, hai viaggiato, per arrivare qui. Qual è il senso del viaggio per un artista?

Io ho cambiato molto la mia idea di viaggio. Non mi interessa “consumare” i posti, non mi interessa andare necessariamente lontano. Già in Francia ci sono cose che non conosco. 

E sì, Moulin ha fatto questo, è arrivato in un luogo preciso…

…e l’ha vissuto

Sì. Il viaggio per me adesso deve essere lento, deve darmi modo di guardare, di osservare.

*la performance di Baptiste Le Goc è on line su You Tube

*Illustrazione di copertina di Enrica Orlando