di: Cristina Turano
Roma, teatro Vascello. Lascio alla spalle gli spettatori.
Con me Zero Calcare e la sua storia. La sua comicità è una calamita, attrae l’attenzione, risveglia la consapevolezza e non esiste confine insuperabile. Un giorno, infatti, è arrivata anche a Kobane per documentare la resistenza del popolo curdo nel Rojava.
Oggi in scena sul palco, con Kobane Calling on Stage, i personaggi si vestono di carne, direttamente dai disegni prendono forma a teatro. Sono fatti di ossa e muscoli, usano testi e mimica presi dalla graphic novel.
Ipnotico, uno spettacolo a rapido assorbimento, perché l’effetto è immediato. Sin dalla prima scena il linguaggio spacca, così tanto che i sedativi mediatici sembrano smettere di esistere nella realtà e perdono effetto, lo leggo su certe facce mentre osservano verità documentate.
Niente da fare, questa storia mi appartiene, la sento mia. Ritrovo l’effetto, lo sconvolgimento, quello che stordisce, lo stesso di chi davanti a sé trova dei giganti. Lo posso riconoscere perché era con me in Chiapas quando finalmente ho realizzato i mio più grande obiettivo: entrare nella comunità zapatista di Oventic.
E ancora era lì nello stesso momento in cui una donna zapatista impugnando il mitra fece un cenno e gridò – A terra, subito! Tutto per una macchina, sbucata fuori all’improvviso. Normalissima per noi, non per loro. Lì fra le montagne del Chiapas ogni concetto può cambiare significato. Lì, il passaggio di un semplice mezzo potrebbe voler dire: attacco, narcotrafficanti. Gli zapatisti lottano contro la corruzione, contro la droga, colpevole di aver ingrandito il didietro di certi uomini affamati di potere. In questi momenti ti vedi piccolo, pensi di aver solo da imparare e cresci a dismisura. Perché loro sono giganti. Lì la scuola, i bambini, le donne, la lotta, hanno una portata immensa, anche se i nostri media hanno deciso di sedare la conoscenza. Non ne parlano. Punto.
Comunque, nonostante possa sembrare diversa la spinta iniziale, quella che sta alla base di tutto e sbrana egoismo e paure, è assolutamente uguale. La sento bene nel racconto, la vedo muoversi sul palco con la sua eleganza e la sua determinazione, la trovo fra gli attori.
Come in Chiapas, anche qui c’è la lotta e ci sono moltissime donne al comando, sono nati gruppi basati su un modello esemplare di resistenza. C’è la lotta per la libertà e l’eguaglianza, dolore e rabbia verso la morte, voglia di sconfiggere l’oppressione dei governi macchiati di violenza e sangue .
Zero Calcare con questa opera non ha solo mostrato la verità, ha lottato contro la disinformazione, così ha fatto anche il regista Nicola Zavaglia portando la graphic novel al pubblico sotto forma di narrazione teatrale. L’idea di posarla dentro un teatro è stata geniale, la rappresentazione è un esplosivo che non scoppia sui civili. Torna indietro per esplodere fra i corpi dei carnefici. E’ un documentario atipico, originale!
Sul palco, tutti i personaggi della graphic novel parlano usando battute, tempi e parole dettate dall’opera di Michele Rech. Sono dei ragazzi, fra loro c’è anche lui, Zero Calcare. Partiti per portare aiuti umanitari, passano attraverso Siria, Iraq e Turchia, infine abbracciano anche Kobane.
Sono lì, c’è anche l’ISIS.
Morte e macerie prima di tutto, sopra ogni cosa, ma vedi anche occhi di donne e uomini che nn si sono arresi in Rojava, nonostante l’avanzata dell’ISIS. La distruzione di diversi villaggi , la repressione di ogni di diritto, l’agonizzante condizione di chi è rimasto sotto il loro passaggio, la forza disumana di chi è rimasto per lottare.
C’è tutto. Gli attori sono l’ordigno. Ogni parola scoppia nella testa. La mimica, le battute, lo sguardo fisso , esplodono nello spettatore e fanno un enorme trambusto dentro i pensieri, così il ragionamento e la consapevolezza critica si smuovono.
Kobane, ha resistito. YPJ e YPG, uniti per difendere la propria terra.
C’è anche una ragazza, sulla carta e sul palco. E’ curda, ha vissuto in Turchia, poi in Italia. Ha 25 anni, si chiama Ezel. Sarà lei a condurli in Rojava.
Ezel, respira, respira coi piedi.
Nulla però può annullare un gigante, anzi lo rende invincibile e determinato, il dolore.
Avvolge la testa dentro la sua maglia, prima di addormentarsi, un’abitudine diventata sua per puro caso.
Un giorno, per aver manifestato nel Kurdistan Turco, a 13 anni il suo corpo viene rinchiuso dentro le carceri antiterrorismo turche. Ci resterà per sei mesi. Lì, non si può dormire, ma sentire e vedere non è un bene, allora avvolgi la testa dentro un maglia e ti copri le orecchie.
Lei, non si ferma. Neanche loro, però. Non smettono di sparare, è il gioco della repressione quello di togliere ogni forma di amore, pace e libertà, per cancellare un essere umano. Così un maledetto giorno colpiscono anche il suo amore. Lui muore.
Muiono in due, lei smette di parlare, si annulla. Si riprende ancora. Decide di tornare a respirare, di esistere, esce con un amico vince un orsetto durante una festa, lo racconta per telefono, la polizia turca entra in casa urlando –Bomba! Nessuna libertà, controllo totale. La famiglia allora decide di spedirla in Italia. Tornerà!
Verso la fine dello spettacolo gli attori svaniscono, è buio, urlano. Sono sul tetto di un palazzo, simbolo della resistenza, da lì è iniziato tutto. Da quel punto sono partiti, uomini e donne, per riprendersi tutta Kobane. Metro per metro!
E adesso?
Metro per metro, ogni giorno, decido cosa leggere e a chi credere per non cadere mai nel macabro gioco dell’ignoranza, per non diventare il suo passatempo sprofondando nel vuoto dell’inconsapevolezza.Il ragionamento critico ti salva la vita, ma questo lo avevo già capito in Messico sfogliando i giornali. Ogni giorno mostravano in prima pagina foto di corpi nudi, donne stuprate e ammazzate, legate e seppellite al confine sotto la terra.
Forse lo avevo già capito quando sono stata a manifestare in Messico, a San Cristóbal de Las Casas, con donne e bambini scesi dalle comunità zapatiste e quando certi uomini, con il sedere al sicuro, posato sul sedile di una macchina, mi urlavano addosso: ”Puttana torna a casa tua!”
E’ un gigante la consapevolezza, cresce grazie anche a scrittori, artisti, giornalisti, persone comuni, esseri umani che come Zero Calcare e il regista Nicola Zavaglia provano a darle forza, così da non farla sparire davanti al primo trucco mediatico!