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Appunti sparsi su qualunque argomento che potresti aver scritto anche tu. Ma, purtroppo per me, li scrivo io e li dedico a chi affronta la vita con un White Russian in mano sognando un mondo migliore. Ma poi ci ripensa perchè tanto, alla fine, il mondo è di chi si fa la foto sorreggendo la Torre di Pisa. E va bene così.

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Le stelle al di là delle stelle

di:

-Libro di Gerardo, Salmo 50(%)-

Nello spazio profondo, là dove il nostro universo fa una curva e incontra le curve degli altri universi, c’è una nube di gas blu tenue a forma di cuore con dentro un gatto e all’interno di questa nube, al quarto incrocio a destra, c’è un pianeta, né troppo grande e né troppo piccolo, anzi, a dire il vero, questo pianeta non è nemmeno troppo medio. È composto al 50% da acqua e al 50% da terre emerse. E, a sua volta, l’acqua è una miscela al 50% di idrogeno e al 50% di ossigeno. Le terre emerse, invece, sono formate da rocce contenenti tutte le combinazioni possibili degli elementi della tavola periodica, ma sempre in coppia e sempre al 50% per ogni singolo elemento. Questo pianeta possiede anche un’atmosfera, formata da una miscela composta al 50% da ossigeno e al 50% da sentimenti. C’è poi anche una luna, chiamata Nannar, grande la metà del pianeta e distante da esso il doppio della sua circonferenza ed entrambi ruotano attorno alla stella del loro sistema solare ad una velocità corrispondente al doppio della distanza che li separa da essa con una rotazione sull’asse pari alla metà della somma delle loro circonferenze. Si verifica quindi che, sul pianeta, un anno duri 50 giorni, un mese 2 settimane, una settimana 5 giorni, un giorno 5 ore, un’ora 5 minuti, un minuto 5 secondi e un secondo invece è troppo breve per essere utilmente misurato nella quotidianità. Sul pianeta tutto ciò che non può essere misurato, e che non sia multiplo di 5 o di 2, causa terrore e indignazione e, pertanto, non viene nemmeno considerato come annoverabile tra l’esistente. Si, perché il pianeta è abitato da una forma di vita superiore, ma non troppo, simile agli esseri umani, ma al 50%. Gli abitanti del pianeta hanno sviluppato una civiltà avanzatissima, ma con sobrietà, basata sulla moderazione e sulla neutralità, una società priva sia di sentimenti positivi che negativi e dove il grigio ma non troppo con una trasparenza del 50% manda tutti in estasi, ma senza esagerare; una società dove la parola per indicare il numero 5 è composta da due lettere mentre per il numero 2 si usa una parola formata da cinque lettere.

Ecco, questo è Ghera Rd, pianeta natale dei Gerardidi, dove tutti si chiamano Gerardo e dove tutti, ma proprio tutti, sono geometri. Ci sono geometri panettieri, geometri calzolai, geometri contadini e anche geometri geometri, ma sempre tutti intenti, i Gerardidi, a misurare le cose, le parole, le emozioni, le montagne e i mari e la circonferenza dei fiori.  

Sul pianeta né troppo grande né troppo piccolo e nemmeno troppo medio tutto andava, non bene o male, semplicemente andava, fino a quando una notte, che era un poco anche giorno, uno dei 5.252.525 abitanti di una delle 525 città di una delle 52 nazioni di uno dei 2 continenti non alzò, per la prima volta nella lunghissimamente breve storia planetaria, gli occhi al cielo e vide, ad un tratto, Nannar, circondata dallo scintillio delle stelle nel nero perfetto di una notte serena, e vide le nuvole scivolare nel vento e vide il cuore con dentro un gatto e ancora oltre il punto dove le curve degli universi si intrecciavano fino a formare un grande occhio azzurro con dentro le onde di un mare talmente profondo da non essere misurabile. E quel Gerardide, di nome Gerardo e geometra anche lui ma un po’ più curioso degli altri, rimase tutta la notte con gli occhi rivolti verso il cielo anziché verso la terra (come uso e costume di ogni Gerardide degno di rispetto). E cinque minuti dopo, quando fu giorno, il Gerardide Gerardo, quasi correndo addirittura, si diresse alla piazza principale della città di Ciaba, salì in piedi sulla panchina dell’ordinato quadrato grigio di Piazza del Punto e cinque minuti dopo, quando trovò il coraggio di parlare, era quasi mezzogiorno.

– Geometri Gerardi, ascoltatemi! Nulla è davvero misurabile!

E intorno si levarono alcuni brusii basiti, e alcune madri reputarono opportuno portare via i propri figli.

– Ascoltatemi! A forza di misurare abbiamo dimenticato di guardare al di là del tangibile…

E intorno gridolini inorriditi e i geometri borghesi rimpiansero la perfetta bellezza dei tempi passati, quando tutti rispettavano i ruoli e le tradizioni della società.

– Ho visto la luna Nannar e me ne sono innamorato!

Sdegno e scandalo negli abitanti benpensanti ligi al grigio e agli occhi costantemente rivolti al suolo.

E il Gerardide Gerardo scese dalla panchina e si diresse verso alcuni geometri pescivendoli lì presenti con i loro banchetti.

– Venite con me.

– Ma cosa dici? Abbiamo i nostri pesci da offrire ai geometri passanti…

– Seguitemi e vi renderò donatori di emozioni…

E i geometri pescivendoli lo seguirono.

– Ma tu chi sei?

– Sono Gerardo, Figlio di Gerardo, e ho smesso di contare.

Ed essi credettero in lui e poi ancora altri lo seguirono e cominciarono a predicare l’incompletezza della Geometria e l’esistenza di un Cielo non misurabile.

E poi un giorno arrivarono nella città di Ttino e sul margine del fiume videro una gerardide scansata da tutti e e con scie di lacrime secche sulle guance.

– Chi è quella gerardide triste che con tanta cura evitate? – chiese il Gerardide Gerardo ad un passante intento a misurare l’esatta distanza tra il proprio mento e il naso.

– Chi, quella? È una poco di buono, ha rinunciato alla geometria, qui la chiamiamo Gerardina la letterata, la vergogna della città di Ttino, ripudiata dalla famiglia, evitata da ogni gerardide dotato di buon senso e condannata dalla Gilda dei Grandi Geometri a vivere tra l’umidità del fiume e la derisione generale.

Gerardo chiese allora ai suoi seguaci di lasciarlo un attimo solo e si andò a sedere accanto a Gerardina sul bordo del fiume e stette in silenzio a guardarla.

– Che c’è? Che vuoi?

Lui continuò a tacere.

– Si, ho abbandonato la geometria e non sono una geometra, e quindi?

Lui continuò a tacere. E tacendo prese le sue mani tra le sue e, sempre in silenzio, si guardarono per la prima volta.

– Lo sai che ci faremo male, vero? – disse lei.

– Lo so. 

– E allora, perché?

– Perché tutte le cose vere e non ordinarie valgono il rischio che viverle comporta.

E si alzarono insieme dal bordo del fiume e non si lasciarono più e non smisero più di guardarsi come se fosse sempre la loro prima volta.

E così, Gerardo e i suoi seguaci e Gerardina si spostarono di città in città, parlando nelle piazze della bellezza di un Cielo che non era ancora stato misurato e raccontando di mondi sconosciuti. 

– Ma perché dobbiamo continuare a spostarci? Perché non restiamo qui?

– Ci spostiamo così da poter sempre guardare il Cielo da una nuova prospettiva.

E così, di città in città e di nazione in nazione, sempre da est verso ovest così da seguire il tramonto, il Gerardide Gerardo prese a scrivere poesie, canzoni, a parlare alla luna Nannar col cuore in mano, a guardare negli occhi i gerardidi geometri e a leggerne l’anima nascosta sotto lo strato di calcoli, misure, occhi bassi e parole nascoste da infiniti silenzi.

E la gente accorreva per sentirlo parlare, per ascoltare i suoi tormenti, per sognare in sella alle sue iperboli e, inaspettatamente, tutti quelli che gli stavano intorno iniziarono a scoprire le lacrime e i baci. I sentimenti, lentamente, iniziarono a fare breccia tra le menti grigiopensanti dei gerardidi del pianeta né troppo grande né troppo piccolo e nemmeno troppo medio, e iniziarono a sentirsi le risate tra i discorsi della quotidianità e le autorità si allarmarono, e allarmate elaborarono un piano, e attesero.

E così, durante i giorni della grande e sobria festa del Postulato Geometrico, il Gerardide Gerardo, i suoi seguaci e Gerardina entrarono nella geometrica città di Elekh, fatta di cubi vagamente grigi e con strade di carta millimetrata e con semafori sempre fissi sull’arancione spento, e al loro ingresso una folla di gerardidi festanti e tristi al tempo stesso si accalcarono intorno al Gerardide Gerardo.

– Gerardide Gerardo, parlaci del Cielo! Raccontaci di Nannar! Dicci delle stelle al di là delle stelle!

E salito in piedi su di una panchina di legno ai margini di Piazza del Dodecaedro, calò il silenzio.

– Gerardidi geometri, non è la geometria che ha cambiato la mia vita ma l’amore improvviso e corrisposto della notte con i suoi misteri fragili sopra le nostre teste. Ho smesso di contare, ho smesso di misurare e adesso vivo negli infiniti mondi del possibile. Cambiate prospettiva, guardate con tenerezza all’altro da voi e il sistema che vi vuole piegati ad un individualismo nascosto dietro fredde formule abbattetelo con una risata e un bacio sulla guancia. Gerardidi geometri, guardate sempre il cielo e non odiate mai nessuno.

A quel punto, però, intervennero le autorità. La piazza fu invasa da geometri poliziotti in tenuta antisommossa. Panico, fuggi fuggi generale e un minuto dopo, senza violenza, il Gerardide Gerardo, circondato, giudicato e ammanettato, fu portato al Quadrato Inscritto in una Circonferenza, sede del potere temporale, spirituale e geometrico planetario.

– Fate entrare il prigioniero – disse con tono basso e pacato il Grande Geometra Generale rivolgendosi ai due geometri guardie sull’attenti alla porta che, immediatamente e in silenzio, eseguirono l’ordine impartito.

– Sei tu quello che i gerardidi chiamano Gerardide Gerardo, Figlio di Gerardo, poeta del Cielo e amante della luna Nannar?

– Tu lo dici.

– E così sia. Sei stato arrestato per volere unanime di questo Gran Consiglio Geometrico perché la tua scriteriata poetica del nulla misurabile, la tua degenerata filosofia delle infinite possibilità  stanno mettendo a rischio il fragile ecosistema di questo pianeta improbabile…

– Un sistema rigido che impedisce la quo…

– Taci, non ho finito. Noi siamo, nella molteplicità degli universi, un’anomalia nata dall’incontro dell’assurdo con l’ironia di qualche dio a noi sconosciuto, e questo, Noi, Grandi Gerontocrati Geometri, lo sappiamo da millenni. Ora, come anche tu saprai, la nostra atmosfera è composta al 50% da ossigeno e al 50% da sentimenti e tu, con il tuo predicare sovversivo, stai causando scompensi climatici gravissimi perché, quando un gerardide prova un’emozione, assorbe sentimenti dall’aria e, come prodotto di scarto, emette anidride carbonica, tristezza e altri gas. Una situazione che, se non fermata in tempo, trasformerà questo pianeta in un geoide qualunque, privo di vita e alla deriva nello spazio…

– Io veramente…

– Taci, non ho finito. Noi, Grandi Gerontocrati Geometri, custodi della vita planetaria non possiamo permettere che qualcosa o qualcuno ci conduca all’estinzione. Noi, quindi, per l’autorità conferitaci dal Primo Articolo del Postulato Geometrico Definitivo, ti condanniamo all’esilio dal pianeta per un numero di anni pari alla somma dei numeri dopo la virgola del pi greco.

– …

– Adesso puoi parlare, ho finito.

– Io, prima della partenza, vorrei avere un momento per dire addio a…

– A chi? Ai tuoi seguaci? Si sono dileguati all’arrivo dei geometri poliziotti e ora, da quello che mi dicono, si affrettano a giurare e a spergiurare di non averti mai conosciuto.

– … Gerardina…?

– Lei non ti ha abbandonato, è sfuggita all’arresto ma si è presentata qui spontaneamente supplicando di vederti.

– … e posso vederla per un’ultima volta?

– Certo, Gerardide Gerardo, non siamo malvagi come ci dipingi nei tuoi attacchi al sistema anzi, è giusto che tu sappia che Noi, Grandi Gerontocrati Geometri, abbiamo in somma stima la tua capacità di intuire autonomamente la tremenda verità che nulla è misurabile. Comunque sia, fate entrare Gerardina.

I due geometri guardie sull’attenti alla porta, immediatamente e in silenzio, eseguirono l’ordine impartito.

– Avete cinque minuti.

E nella sala del Gran Consiglio Geometrico rimasero solo i due innamorati, mani nelle mani. E i primi tre minuti li passarono dicendosi tutto quello che c’era da dirsi in silenzio. E il quarto minuto lui lo passò annusando i capelli di lei che avevano l’odore buono di fiume. 

– Saremo separati dal Tempo e dallo Spazio e per decisione non presa da noi, ma il tuo nome sarà l’ultima cosa che dirò prima della fine.

E non ci fu più tempo per dire altro.

– Basta così, portate il prigioniero alla procedura di esilio. E tu, Gerardina, dimenticalo. Possa la Geometria indicarti la strada da seguire. E adesso vai via.

E Gerardo fu trascinato oltre la porta che si richiuse alle sue spalle, poi in un lungo corridoio e in fondo a destra l’Ufficio Esilio, una enorme stanza piramidale con al centro una grande sfera di vetro liquido perfettamente trasparente.

– Ti starai chiedendo cos’è questa sfera, immagino – disse con fare pacato un gerardide col camice bianco.

– Questa sfera – proseguì senza attendere la risposta di Gerardo – è il trasmutatore di mondi fantasiosi ad inversione sentimentale.

– …?

– Si, hai ragione, il nome non è un granché esplicativo. Allora, in poche parole, dopo secoli di studi e di teorie, i nostri migliori scienziati hanno costruito questa sfera di anti-antimateria in grado di generare realtà solide a partire dai micro-impulsi elettrici di alcuni neuroni che lavorano a determinate frequenze; inoltre, grazie ad un motore in grado di assorbire le tracce chimiche rilasciate dalle forti emozioni trasformandole in velocità di pensiero, la sfera è in grado di andare ovunque a velocità infinita.

– Quindi…

– Quindi, se tu immagini un luogo qualunque diverso da questo pianeta e un tempo qualunque diverso dal tuo la sfera ti ci porterà, e più saranno forti le tue emozioni più veloce sarà il viaggio. E adesso entra, è arrivato il momento. Addio.

E Gerardo entrò nella sfera di vetro liquido.

– Ecco, bene, adesso inserisci la mano nel vano con il gel mitocondriale e… sii sincero con te stesso.

E Gerardo pensò a Gerardina e fu subito buio e un secondo dopo di nuovo luce e si ritrovò in un altrove fatto di enormi montagne e di  oceani rossi e con pioggia di cristalli musicali, e poi chiuse gli occhi e pensò ancora e fu di nuovo un altro pianeta, e poi un altro ancora e un altro ancora e cosi ancora infinite volte, e poi si ritrovò in un luogo dove il tempo si raggomitolava fino a formare un filo bianco passante attraverso la cruna di un ago, e poi visitò  l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande e l’infinitamente nullo, e poi la sfera lo portò all’interno di un mondo morente all’interno di una nota musicale, e poi un mondo fatto di oro liquido e un altro illuminato solo dalle esplosioni vulcaniche e un altro dove pioveva polvere di stelle, e andò avanti così per ore, o forse decenni, o secoli. Nessuno può dirlo. Poi la sfera lo portò su di un pianeta con oceani, e terre emerse, e vegetazione, e una luna abbastanza vicina da rendere meno buia la notte. E, sebbene la sfera indicasse una composizione atmosferica totalmente diversa da quella del pianeta Ghera Rd questa veniva indicata come respirabile. Incuriosito, Gerardo uscì dalla sfera e, posato il primo piede a terra, improvvisamente si scoprì vecchio, vecchissimo, e ad ogni passo invecchiava sempre di più fino a quando, ormai allo stremo, si lasciò andare con la schiena contro l’enorme tronco di un albero più alto delle più alte piramidi del suo pianeta, e alzando gli occhi verso i rami più alti vide, poco prima che la vista gli si annebbiasse, delle strane creature simili a scimmie che lo osservavano. Una di queste strane creature, un po’ più curiosa delle altre, scese dal suo alto ramo e si avvicinò allo strano animale disteso alla base del suo albero. Gerardo respirò con sofferenza e una lacrima scese lungo il solco tracciato da precedenti lacrime ormai secche, e la strana scimmia gli annusò i capelli e lo accarezzò. Gerardo alzò la mano verso il cielo e con  il dito indicò la luna, poi fece per respirare ma l’unico suono che uscì dalla sua gola fu “Gerardina”. E in quel preciso istante, dall’altro lato di uno dei tanti lati di un qualunque universo, Gerardina si mise a piangere, e Gerardo smise di essere. E la strana scimmia, che aveva seguito il dito, si mise a guardare la Luna.

E in quel preciso istante diventò Uomo.

Artwork di Alessandro La Cognata.