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Appunti sparsi su qualunque argomento che potresti aver scritto anche tu. Ma, purtroppo per me, li scrivo io e li dedico a chi affronta la vita con un White Russian in mano sognando un mondo migliore. Ma poi ci ripensa perchè tanto, alla fine, il mondo è di chi si fa la foto sorreggendo la Torre di Pisa. E va bene così.

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Ristorante Pandemia

di:

Fulgenzio Anonimo era un povero diavolo. Letteralmente. Fulgenzio Anonimo era un diavolo di basso rango, con contratto a tempo determinato e assunto tramite un’agenzia interinale. Ed era anche povero, perché tra l’affitto da pagare, e il mantenimento della ex moglie, e tutto il resto, riusciva a mettere da parte ben poco del suo già magro stipendio. Anzi, a dire il vero, nulla. Anzi, a dire il vero aveva parecchi debiti con degli strozzini assai poco raccomandabili del clan degli Arcangeli.

Comunque, Fulgenzio Anonimo era un povero diavolo di basso rango, addetto al controllo ed al monitoraggio delle reazioni negative sui social. Un lavoro noioso, di basso profilo e privo di concrete possibilità di crescita e di avanzamento di carriera. Il diavolo Fulgenzio pensava forse a tutto questo, o forse pensava che prima o poi si sarebbe dovuto decidere a portare la macchina dall’elettrauto per far sostituire la freccia non funzionante già da mesi. Si, beccarsi anche una multa dalla stradale non sarebbe stato il massimo. E anche perdere tre punti dalla patente non sarebbe stata una cosa tanto simpatica. Che poi in realtà, a ben pensarci, avrebbe dovuto anche far sostituire i freni. E magari lavarla. E forse anche comprarla nuova. Forse pensava a tutte queste cose o forse, semplicemente, non pensava a nulla quando un bliip al cellulare lo informò di un nuovo messaggio in arrivo. Era il suo Capo Area, un soggetto abbastanza fastidioso (come tutti i capi di questo e dell’altro mondo), che gli comunicava di aver deciso di anticipare di tre mesi la consegna del report annuale sui trend delle negatività social.

Il diavolo Fulgenzio sbuffò, pensò che forse era giunto il momento di dare le dimissioni, ma poi si ricordò del suo conto in banca, e sospirò. Era comunque quasi l’ora della pausa pranzo e, proprio là vicino, nel vicolo “Al lazzaretto di San Rocco” c’era uno dei suoi ristoranti preferiti, il “Ristorante Pandemia”. Tanto valeva fermarsi e mettere qualcosa di caldo nello stomaco.

  • Salve dottò, un tavolo per uno?
  • Si si, grazie.
  • Perfetto dottò, si metta qua.
  • Grazie.
  • Dunque dottò, oggi il menù prevede un antipasto ai morti in mare, come primo gnocchi con crema di gorgonzola e spolverata di malaria e come secondo abbiamo braciole al sugo di covid con contorno di dpcm alla salsa tonnata.
  • Perfetto, grazie.
  • Da bere, dottò?
  • Un disagio medio alla spina, grazie.
  • Molto bene dottò, la servo immantinente.

Il diavolo Fulgenzio già pregustava il pranzo, un menù fisso da pochi euro che l’avrebbe tenuto lontano, almeno per la durata della pausa pranzo, dalle richieste del Capo Area, dal pensiero degli strozzini del clan degli Arcangeli, dalla petulante ex moglie, da un lavoro che non lo appagava e, in definitiva, anche da sé stesso. 

  • Mi scusi dottò, purtroppo dalla cucina mi comunicano che il contorno di dpcm alla salsa tonnata era nel menù di ieri, se però lo gradisce le posso portare il dpcm saltato al lockdown.
  • Si certo, non c’è problema.

Il cameriere portò il disagio medio alla spina. E subito dopo l’antipasto ai morti in mare. E poi gli gnocchi con crema di gorgonzola e spolverata di malaria, un primo delizioso, pensò Fulgenzio. E poi arrivarono le braciole al sugo sfumato al covid con contorno di dpcm saltato al lockdown. Le braciole erano tenerissime, pensò Fulgenzio, e il sugo sfumato al covid esaltava al meglio il sapore della carne. E poi assaggiò il dpcm saltato al lockdown. Fulgenzio non lo aveva mai assaggiato prima. Strana consistenza, croccante, mandorlato, con note di limone e… e poi, improvvisamente, si fermò tutto. Si fermò il tempo, lo spazio, si fermò anche la gocciolina di sugo che dalla forchetta alzata a mezz’aria aveva iniziato la sua caduta verso il bordo del piatto e che, in condizioni fisiche normali, sarebbe esplosa in uno schizzo ostile che avrebbe imperturbabilmente macchiato la camicia di Fulgenzio. E invece la goccia di sugo era lì, immobile, sospesa nell’aria. E così pure il cameriere, bloccato nell’istante che precede il tentativo di mantenere in equilibrio un piatto e quello che ne vede la rovinosa caduta, e così anche gli altri clienti, tutti congelati nei loro ultimi gesti, espressioni e anche pensieri avuti un attimo prima che il lockdown contenuto nel dpcm, masticato da Fulgenzio, sprigionasse tutto il suo sapore. Il diavolo Fulgenzio provò ad alzarsi per toccare con mano quella bizzarria, ma anche lui si vide costretto, inevitabilmente, all’immobilità. E anche i pensieri persero gradualmente nitidezza. Tutto, anche nella sua testa, iniziò a rallentare e a spegnersi come tante candeline tristi. E infine fu il buio. Il diavolo Fulgenzio si ritrovò immerso nel buio e nel silenzio. E poi, da un punto imprecisato, un ronzio, e una luce, prima flebile, iniziò a danzare e a prendere la forma, sempre più concreta, di un enorme palcoscenico.

E si apre il sipario ed entrano in scena nuvole bianchissime che assumono le forme più strane. Quella di un bambino. Quel bambino è lui, non c’è dubbio. Lo vede tirare calci ad un vecchio pallone, e poi seduto ai piedi di un melograno ad accarezzare un cagnolino, e poi altre nuvole, altre forme, altre scene, un lui ragazzo impaurito mentre stringeva le mani al suo primo grande amore, andato poi a male come i diritti dei lavoratori. E poi la scena lo trasportò nel mezzo di una manifestazione contro la guerra, e su di un palco a parlare di rivoluzione e di classi sociali… e mentre era tutto buio, la bandiera rossa in fiamme. A terra rimaneva solo un mucchietto di impalpabile cenere, subito soffiato via da una fredda raffica di vento indifferente. Indifferente come era lui adesso mentre osservava l’infinita parata dei suoi infiniti istanti.

Poi il sipario si chiude, il palcoscenico si dissolve e qualcuno lo fa sedere su di una poltrona fatta di nuda roccia, posto d’onore in una tribuna tutta blu e argento. Intorno a lui amori passati e altri che invece non erano mai stati, amici d’infanzia, compagni di banco, compagni di vita e compagni in generale, colleghi, vicini, conoscenti e amici inghiottiti dalle nebbie della vita; tutti lì, seduti intorno a lui con gli occhi chiusi e un fiore in mano. Poi tutto si dissolve in un turbolento vortice liquido che sa di limone e di cuori infranti e si ritrova sott’acqua, sbattuto infine a riva dalle onde.

È notte e fa freddo e la spiaggia umida è occupata solo da una coppia che si abbraccia tra un morso di pizza e un sorso di Bjorne. Si avvicina, si riconosce. Quel ragazzo è ancora lui. Prova a chiamarli, a toccarli, ma nessuno lo vede, nessuno lo sente. E allora si siede accanto al lui del passato e lo ascolta mentre con aria sognante racconta all’infreddolita ragazza la storia delle stelle e dei pianeti… Decide di allontanarsi, il lui del passato ancora non lo sa ma quelle sarebbero state le sue ultime ore in compagnia di quella ragazza. Guarda la coppia per un’ultima volta e poi si incammina, senza più voltarsi indietro, verso un albero di melograno. Ai piedi del tronco c’è un pagliaccio morto, con un sorriso sereno e con una rosa in mano. Passa oltre, fino ad una vecchia barca abbandonata su quella spiaggia dimenticata da tutti. Lì si siede, spalle contro il relitto e piedi in acqua, chiude gli occhi e inspira a pieni polmoni il profumo della notte. Ripensa a sua madre… quanti anni erano passati? Tanti, probabilmente, tanti.

Resta così per un tempo indefinito lungo quanto la vita dell’universo e breve quanto il flash di un pensiero, quando un suono simile a campane lontane lo riassorbono nel buio del sonno e, lentissimo, apre gli occhi. È sveglio, con la bocca amara e incapace di capire ora e luogo del tempo attuale. La nebbia si dissolve. Il ristorante. I clienti, il cameriere, il tempo e lo spazio sono ancora bloccati, immobili. Poi, d’un tratto, la goccia di sugo cade, si infrange sul bordo del piatto e, come prevedibile, si tramuta in schizzo che va ad infrangersi sulla camicia di Fulgenzio.

E il tempo riparte. I clienti tornano in vita, il cameriere non riesce a mantenere in equilibrio il piatto che cade trasformandosi in mille schegge, il brusio della vita riparte là da dove si era interrotto. Il sapore del lockdown era finito. Fulgenzio pagò il conto, prese il cellulare. Tre messaggi e due chiamate. Lo spense e uscì dal locale. E di lui non si seppe più nulla, anche se qualcuno dice di averlo visto in riva al mare a tirare calci ad un pallone. Finalmente col sorriso.