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"Ledi emotional day" è la rubrica del ledi diario di bordo in una giornata gheriglio. Dentro è scatola delle meraviglie, non sai mai cosa aspettarti ma qualcosa è sempre lì a tremare nell'ombra.

Ledi Emotional Day #20

di:

Sta finendo, finisce finalmente questo stritolante patto con la sopravvivenza, temporaneamente. L’estate tra le tue braccia è stata e ci sarà ancora. Io però sono felice solo quando i felini mi guardano negli occhi e allora prendo loro da mangiare e apro le finestre dello studio e metto loro acqua e cibo. Il fine settimana che è passato perché oggi è mercoledì è stato meraviglioso. Il mio corpo ha trovato pace e forza, tutto quello che mi serve, le cose che devo avere sempre, le cose a cui non posso rinunciare. Voglio uccidere. Voglio uccidere. Oggi sono stata presa per il collo, strozzata e spinta a terra. Ho poi pensato per tutto il giorno alla prima volta che è accaduta una cosa simile nella mia vita. Avevo 12 o 13 anni e mi trovavo in spiaggia, alla quinta strada e Francesco N. della comunità mi stava baciando o voleva baciarmi e non ricordo niente, ad un certo punto mi ha presa per il collo stringendo forte e mi ha sollevata da terra. Ricordo che le punte dei miei piedi sfioravano il suolo e io avevo le stelle sopra di me ma anche dentro di me. Credo che non mi sia dispiaciuto. Non so se mi è piaciuto, ma ricordo che in quel momento sentivo solo la natura ed ero lì e in nessun altro posto e non erano presenti pensieri definiti. Era presente solo il mio corpo e io solo questo voglio. Sono stata indotta a vergognarmi per via dei piccoli tagli che facevo sul mio corpo, quando sono modi efficaci per guidarlo nel suo naturale funzionamento. Forse da fuori sembra strano, lo capisco perché so cosa si deve e cosa non si deve fare. Vorrei soltanto essere lasciata in pace. Ci sono le nuvole nel mio caffè dice quella che canta che sei SO VAIN, le mie nuvole sono sui miei seni e solo quelli non sento perché sono leggeri. Non sento nemmeno i gomiti e cosa dire del resto. Ogni parte la sento a sé e per lo più sono fastidi e scomodità e dolori. Tutto favolosamente sopportabile, ma resta il fatto che sono una persona intollerante. Soprattutto sono i suoni che emettono le persone. Scelgo sempre le persone in base alla voce e al modo di vociare. È vitale per me, tutti pensiamo alla pellaccia e io penso alla mia. Devo andare in un’altra vita, ma devo capire quando.

Nel frattempo quando Anna mi ha truccata e pettinata come una regina io mi sono sentita una diva. Indossare i tappeti sotto i piedi, indossare felini negli occhi, indossare me stessa. E che sollievo quei fornelli inaccessibili perché ricoperti di libri impilati. Che sollievo non sentirmi denudata dalle mie piume, che sollievo essere un uccello lucente e non un volatile spennacchiato e vilipeso. Voglio la ghigliottina. Voglio la ghigliottina. Sembra il nome di una torta, la torta ghigliottina. E allora i posti della quiete sono quelli dei contatti infantili, quelli che consentivano un contatto di cellule lubrificate da chimiche insondabili e se fossero pure sondabili io non lo voglio sapere. Quando ci fu l’allarme bomba a scuola, alle elementari, siamo corse via fuori con gli altri bambini e le maestre. E Titti e Tenerino? Poi si segue un desiderio che ingombra e che detiene cosa e cose con prepotenza. E lo seguo; adesso voglio però che mi segua, voglio invertire il flusso canalizzatore.

O forse scrivo di una volontà che è arrivata dopo l’esito di un intento che era prima informe e ignaro. Facile dire cosa si vuole dopo che il voluto è già arrivato da tempo. Ma questo, bambina mia, è solo noia e fuffa. Alla fine chiacchierare con lo spacciatore diventa la cosa più piacevole della giornata e pure spiegargli che no, al momento, non compro. E lui ride e mi dice che va bene, forza Catania. Mi dice sempre cosi, urlando, a Palermo. I catanesi sono dei cornuti e io lo so, ma preciso che dirlo è privilegio del catanese e di nessun altro. Allora. Le brutte storie sono storie come le altre e davvero mi piacerebbe debellare per sempre gli aggettivi dalla mia esistenza e da quella che apparentemente mi avvolge. Ce la farò e gli altri ce la faranno, perché io esisto solo negli altri e gli altri esistono solo in me. Se l’aggettivo sparisse, sparisce. Susi e la sua mobilità dei bulbi oculari, così fiduciosa ma anche così diffidente. E per forza, il cibo che le do non sancisce il legame di fiducia. Non c’è da fidarsi, ma lei esitante e instancabile sbircia sempre tra i vetri delle finestre dello studio lo spazio che non sa se potrebbe immaginare come casa. Vede però divani, poltrone e nido. Ci sono delle persone dentro e tanti oggetti e le persone emettono suoni continui e gesti che si ripetono, ma potendo vivere solo l’oggi rappresentano sempre l’agire dell’imprevisto. Troppi spunti di pericolo perciò, necessario più tempo per valutare la situazione.

Di Graziano Mazza, (Vacue scuse, Edizioni Ensemble, 2024):

La verità è ch’io di grandi temi

non so interessarmi. Formo e disfo opinioni

mentre ascolto canzoni in radio,

rimango interdetto dalle notizie pigre

che passano e non vivo nei dialoghi. Mi perplime

il commosso, l’austero, il giudice e il giudicato,

di lingue parlo molto nei sogni, ma restano

nelle pieghe delle braccia di chi mi dorme accanto.

Rimane il fatto compiuto di un passo lento

giù dalla montagna di cotone che ci avvolge.

Scendere le scale a due a due per l’ultima

copia gratuita mette al riparo la mia confessione.

Di quel grande sferracchiare gracco dei

bitumieri per la strada, ne prendo il suono

muto, lo stesso che riconosco nelle cene svogliate.

Il tuo ricordo per me è un dolcissimo freddo.

Della bellezza che affiora e appare e riappare posso farmene quanto della bruttezza che abbraccia e dispone. Indosso dei pantaloncini di cotone con fantasia mimetica tutti attillati e sto comoda ma in imbarazzo e quindi mi piace. Mi annoio, oggi ho provato vari fastidi rispetto alle parole degli altri, ma non ve le racconto perché preferisco celare e non rivelare tutto ciò che dall’esterno arriva e non mi piace. Porto avanti solo quello che per me va bene, il resto non deve essere riportato, altrimenti gli si offre la possibilità di esistere nei pensieri nelle parole e nella condivisione. Nel bel mezzo della strada fino al castello dell’installazione Petrotta ho letto il libro e ne ho letto un bel pò, come fossi a letto. Mi porto dietro pure quello di Britney Spears, ma ancora non ho avuto tempo e modo per entrarci dentro e fare una passeggiata. Vorrei andare al mare a questo punto e vorrei parlare con nessuno. Piccola ricaduta con scivolamento e mal di pancia risolto con una camminata lunga e morbida che distende ogni processo chimico interno e favorisce qualcosa che mi fa pensare che sto curando bene la manutenzione del mio organico. Bugia, ma il compromesso è sempre sulla soglia e non schioda mai.

Non avere tempo per sguazzare nel passato e nei ricordi, essere sempre stanca, mi permette una certa serenità che ha l’ovvio sapore della procrastinazione e ci sta. Quei noti nodi al pettine sono rimasti su pettini che non ho mai usato o che ho occultato e bruciato. Bleah, che puzza come quella dei peli del naso bruciati quando la sigaretta da accendere è a una distanza fin troppo confidenziale. Sono le 19:29 della domenica che è lontana dal mercoledì in cui ho iniziato a scrivere il ledi emotional. Mi ero fermata alla poesia di Graziano e ho ripreso adesso, passando dallo studio dove avevo lasciato il pc e prima di passare da casa a prendere il borsone per la piscina di domani dato che oggi non dormo a casa mia. E’ tutto molto affaticante e ingarbugliato, ma ci si fa l’abitudine e si impara a smollare e sottrarre. Allora adesso sento musica e preferirò ballare. Scrittura, basta. Non posso più tenermi seduta a scrivere, è arrivato l’arrotino. No, volevo scrivere che è altro è giunto qui. ALTRO.

[Scatti di Celeste Giuffrida]