"Ledi emotional day" è la rubrica del ledi diario di bordo in una giornata gheriglio. Dentro è scatola delle meraviglie, non sai mai cosa aspettarti ma qualcosa è sempre lì a tremare nell'ombra.
di: leda gheriglio
Quel che resta del giorno è il canto delle cicale. Non resta niente nella testa deperita di una donna scarnificata fino alla bambina che non si è mai evoluta, ma che ha vissuto una vita come in un sogno e dal sogno è stata rilanciata indietro, a calci, in un’infanzia che non ricorda affatto ma dalla quale non si è spostata. Cambiano tante cose nel corpo, ma quel buco nero acquisisce voragini spropositate e si potrebbero avere anche più di cinquant’anni, poco importa, sempre bambina rimani. Arrivano smagliature? Arrivano alluci valghi? Arriva un mutamento progressivo e inarrestabile della voce e non solo per via delle sigarette? Non importa, c’è sempre quell’avanguardia che spinge. Le mani tengono tutto, eppure restano leggere, mentre i piedi che non sanno dove andare seguono l’avanguardia e conducono quindi alla distruzione. E c’è una fatica che deforma il corpo che dovrebbe essere sacro, ma organico è. E adesso, come in altri momenti, chiamo Antonino e seguo la sua voce letteralmente copiando passo passo pagina 463 e pagina 464 di “Succubi e Supplizi” di Antonin Artaud (Adelphi):
Al di sopra della coscienza c’è il corpo, uno stato del corpo che è uno stato, e uno stato che non ne è più uno, e di fronte al corpo, ma dall’altro lato, parallelo a esso, ma dall’altro lato, sussulta ancora la coscienza, come il membro di un essere dimenticato,
e la coscienza è un teatro, dove un giorno ci fu qualcosa, e quando lo si guardava, non si vedeva più qualcosa, si sentiva, credo che si sentisse, come il membro teso di un essere al parossismo del massimo,
ma la testa è andata via da lì, non c’è più testa o essere, e né parossismo né massimo, e di fronte, ma dall’altro lato, parallelo a essa, così come essa fu parallela a lui, non si ritrova più che il corpo, spoglio della coscienza, tanto più vivo che è morto, e il corpo non appartiene più all’uomo, non più alla coscienza,
ma alla massa di tutti i corpi
perché questa idea di massa agisce, e la massa senza idea agisce e non c’è idea di massa, ma una sorda, sordida magia, massa elettrica che non si lega, ha la pretesa di venir fuori qui, di venir fuori qui oggi.
Ma quanto tutto ciò è detto male per la massa dei filosofi dialettici che mi perseguita,
e se fossi anche la massa, io, se fossi, io, io solo, il corpo, la massa oscura di ogni corpo,
se fossi, io, ogni corpo, senza spirito, io che so che non c’é spirito,
ma corpo che un’ombra segue a rallentatore, e quest’ombra si chiama lo spirito. io che so che non c’è ombra attorno al corpo, né l’eco dei gesti prodotti, e i gesti non sono più prodotti, non ci sono più gesti qui, dove un gesto potrebbe iscriversi nella muraglia personale, di questo suo corpo personale,
troppo personale per essere preso nella legge del bollo registro, nello svolgersi sinistro del nastro del tempo che fugge sullo spazio che non è, esso,
quanto al suo proprio spazio, preso tra la testa e l’incendio delle dieci dita dei piedi in calura che l’orrore di vivere soffoca, e che fugge, come corpo ridotto al puro sporo di se stesso salta fuori dal cerchio dello spirito.
Anch’io, questa massa inerte mi dà prurito,
io anche, espello la mia vita,
da me,
salvo rimuginarla in tromba,
a ghermirla su ogni tomba corporale
contro la quale urta il mio corpo,
nel risalire il corso del vuoto.
Grazie Antonino sempre per i tuoi interventi a me interni. Riprendo la scrittura del ledi emotional day provando a carezzare questo mio io rospo velenoso, questa creatura che abito e che ha un sorriso gradevole e dei modi gentili, ma che sotto la sua pelle cela anche altro, immonda zozzura che i miei simili rifuggono per vergogna o per invidia? Ci sono cose che non posso capire e se per qualche ragione ho provato a capirle io ora cesso, il tempo fugge, il corpo annaspa, la lingua guaspa raspa lasca. Gonfiore che avevo, mi manchi perché potresti spiegarmi tante cose e saziarmi. Al contrario sono asciutta, leggera ed ebbra di vuoto.
Quel che resta del giorno sono gli amici, quelle strane appendici fatte di gocce concentrate di amore e cinismo, di sostegno e di sadismo, di conoscenza e di stupore nella rassegnazione. Con gli amici puoi fare ed essere tutto, tanto loro smontano e abbracciano tutto. E non c’é un per sempre che tenga, perché l’eternità è nell’attimo, poi tutto si trasforma. Ma puntiamo i piedi, puntiamo i piedi perché il barlume del cosiddetto io, desidera assidui testimoni della propria esistenza, fedeli alla coerenza di una narrazione della vita che altrimenti sarebbe il caos fuori misura, pura azione, sgretolamento del pensiero, puro desiderio e schema improntato alla sopravvivenza. Ecco perché ho scelto il falso mestiere della scrittura, perché intessere storie mi tiene nel terreno del mio io vigliacco e romantico, nel disgusto di ciò che non è vero. Inventando possiamo creare anche la verità e cosa c’è di più slealmente vero della scrittura?
Ho scritto senza respirare, o meglio, le mie dita hanno scritto senza respirare fidandosi di seguire la mente a mitraglia e in questo sarò coerente, non rileggerò ciò che ho scritto nelle ultime 15 righe circa. Mi fermo, ho preparato un piatto di pasta a Vera e a Teo a Bologna, qualche giorno fa. Cucinare mi mette sempre una certa agitazione. Oggi ho preparato un altro piatto di pasta per me e mio padre. Il resto della famiglia è sparso sulle sabbie del mare. Mia madre e mia sorella sulla costa messinese, mia sorella con amica sulla costa catanese, mia sorella e suo marito sulla costa siracusana. Padre verso otorino, figlia, me, figlia del padre e figlia della madre, al computer, a casa. Scrivo questo ledi emotional e ho altre finestre aperte su cose sgradevoli che non volete sapere. Più tardi raggiungo gli amici, quei maledetti amici e ne stanno arrivando a frotte in questi giorni, anche quelli lontani. E nel vedere quei fufiti funfiosi io tremo e ritorno alla vita che avevo scelto senza sceglierla, naturalmente. Ma è il demone che comanda, tutto. E bisogna seguirlo. Vorrei poterci discutere per scendere a compromessi ragionevoli. Io devo pur vivere e non solo di lacrime e non solo di bieco godimento. Vivere per sentirmi addosso l’odore della morte quando arriverà e non tutti i giorni quando ancora non è arrivata. Che poi non so nemmeno di cosa sto parlando perché non è arrivata e quando starà arrivando forse non potrò parlarne o non sarà parlabile.
Perché vi ho già detto basta con tutte queste parole? Mi piace il rapporto sessuale lungo, mi piace la masturbazione lunga, mi piace scialacquare il mio tempo sapendo di farlo. E ora penso con irritazione che non ho rispettato tutti gli “a capo” del testo di Antonino, ma sticazzi, oggi mi girava così e tornare indietro a sistemare è seccatura che non voglio affrontare. Non so più che farmene delle cose quando in qualsiasi momento è sempre meglio dormire. Ho partecipato a una call di poesia e la mia pigrizia mi ha indotta a mandare pezzi di ledi emotional sparsi: mi hanno presa. E ho fatto una strepitosa impressione per cui stasera andrò a conoscere queste poetesse e poi il 3 agosto parteciperò a qualcosa di poetico a Ortigia. Oggi è 31 luglio, lo scrivo per me, così quando uscirà questo pezzo avrò cognizione del tempo che sarà passato da ora a quell’altro ora lì ancora più avanti, dove solo il mio immaginario può arrivare e sempre in modo sordido. Oh, che volete, son fatta così. E tutti i miei difetti, o meglio, ciò che per convenzione e comodità mi giudicate e mi inducete e a giudicare come difetti, mi servono. Tutti.
Frequentando i social ho notato una concentrazione di parossismi psicotici rispetto ai tipi che potremmo essere: il/la narcisista va tantissimo di moda e pare che sia pure semplice cucire addosso quest’abito anche a persone che potrebbero non esserlo, perché le caratteristiche di questo carattere patologico sono caratteristiche umane; ma nel momento in cui esiste un regime del dover essere, tutto si conforma e muta verso certi canoni sempre più condivisi dal momento che ci propiniamo specchi riflessi continui che arrivano come proposta dagli schermini accesi. Non voglio fare politica da bancarella sfigatella, è che forse dovrei pronunciarmi una volta tanto sulle cose perché scrivere sempre questi ledi emotional omettendo tutto ciò che volubilmente o stabilmente mi attraversa la mente forse non mi fa bene e soprattutto ne sopravvaluto l’importanza pensando che certi argomenti e certe posizioni possano intaccare l’io che decido di comunicare all’esterno, in quanto emittente del niente. Vabbè, qua siamo sempre nelle solite note fuffe truffe. Vorrei meno sentimenti e più cieli spenti sotto cui femmine feconde e gravide formano un centrotavola in movimento purulento e lucido, avete presente la colla di pesce? Sto immaginando un dolce, mi piaceva prima fare i dolci.
Immagini di Giuseppe Vizzini.