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"Ledi emotional day" è la rubrica del ledi diario di bordo in una giornata gheriglio. Dentro è scatola delle meraviglie, non sai mai cosa aspettarti ma qualcosa è sempre lì a tremare nell'ombra.

Ledi Emotional Day #6

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C’erano i fiori quelli a campanella color giallo evidenziatore di cui ricordo la suzione e ora vado su internet e scopro dopo venticinque anni che il nome di questo fiore è Acetosella. Erano ovunque sia dentro il cortile della scuola che fuori, nelle aiuole. Mi ricordo che cessai presto di ciucciarli perché qualcuno mi disse che i gambi tiravano su dalla terra pure il piscio dei cani. Chiaramente non ho mai indagato sulla cosa, mi sono ciecamente fidata e ho smesso di succhiare l’Acetosella.

Nella scuola c’era una maestra, la maestra Amata che non mi ha insegnato un granché sulla punteggiatura ma ha favorito altre cose. Sto parlando della “biblioteca” delle elementari. La maestra infatti aveva chiesto a ognuno di noi di portare un proprio libro da casa e metterlo a disposizione degli altri per leggere durante l’ora di sessanta minuti dedicata a tale attività. Non ricordo quali libri lessi, né quale portai io. Di certo conoscendomi posso immaginare che avrò certamente provato gelosia e determinato possesso per il mio libro, ma so anche che da brava bimba remissiva avrò obbedito di buon grado al gesto necessario per partecipare a qualcosa cui non potevo non partecipare e a cui comunque desideravo molto partecipare. Ho sempre amato leggere. Da quando ho scoperto il codice alfabetico e tutte le sue possibilità compositive non ho mai smesso di nuotare nelle parole.

Pochi mesi fa mi sono improvvisamente ritrovata in una classe di bambini di 11 anni dopo aver abitato una scuola solo nel ruolo dell’alunna. Sono rimasta molto colpita dai cambiamenti. La tecnologia si è avvinghiata in burocratiche spire stritolanti alla scuola, generando costrizioni d’operato senza senso. I bambini sanno leggere a stento e le loro competenze lessicali semantiche e sintattiche sono scadenti in modo apparentemente già irreparabile. C’è una lavagna elettronica che legge pure per loro i testi di antologia e nessuno è in grado di realizzare un riassunto o un discorso di comprensione del testo. Non ho mai creduto nell’insegnamento organizzato, ma non sono un’alternativa frikkettona fuori contesto: per intenderci, molte derive di tal fatta sono caratterizzate dalle tristi sette matriarcali fanatiche del metodo Montessori considerato avanguardia (per fare solo uno dei tanti esilaranti esempi possibili). Io subisco tutto quello che riguarda la mia specie e il sistema della scuola e dello studio e dell’educazione è una delle tante velleità umane cui dobbiamo attenerci.

Per quello che riguarda me, il mio essere alternativa è più vicino a varie apologie di reato che non a altri modi per “cambiare il mondo” (!) ed essere migliori (!). Dal momento che esiste e che presto mi ci troverò dentro, mi trovo a dire la mia e non necessariamente nella posizione nostalgica da adulta che manipola il proprio “bambino interiore”, ma da essere pensante che ritiene insufficiente e gravemente grave quello che caratterizza oggi il sistema scolastico. Andremo avanti comunque, non dovremo preoccuparci di nulla, non importa quali siano le resistenze degli umani adulti rispetto ai cambiamenti continui e strutturali degli umani più giovani.

Ammesso che sia così. In questo mese mi sono trovata con del tempo interessante, con delle parole che confermano ogni cosa del mio assetto mentale e nelle mie convinzioni. Tuttavia, mi trovo sempre ad adattarmi alle circostanze e questo determina alterazioni di comportamento che successivamente incidono anche nel mio pensiero creando pericolosi (?) precedenti: come se fossi stata mai attenta alla coerenza. L’odio è forte e aiuta a procedere nella nebulosa strada che spesso è l’esistenza quotidiana che si reitera e che soffoca. Ogni sorso d’aria è libidinoso dopo il soffocamento. È necessario soffrire, è necessario aggredire. Le mie resistenze alle droghe sono rimaste, ma l’assunzione delle stesse è inarrestabile e continua da undici anni. Qui parlano delle opportunità del web e sparano cazzate. Mentre scrivo mi trovo in un’aula con un centinaio di persone che non usano TikTok e che parlano dei contenuti che fruiscono gli adolescenti in modo distaccato e superiore. Io non sono questo, io sono la scema che sta su TikTok. Vorrei che i miei ricordi dell’infanzia fossero più nitidi per avere maggiore controllo su me stessa e riuscirmi a trovarmi consapevole del mio funzionamento. Detesto stare con queste persone che perseguono come me un’occupazione complessa e discutibile. Io qui devo mentire e mi riesce faticoso stare nel senso di tutto questo.

Pochi giorni fa mi trovavo su una spiaggia a Tarquinia, passeggiavo in pausa pranzo con la truccatrice del servizio fotografico. Non scattavo nudo da più di un anno e per me mettermi su un aereo, viaggiare di nuovo sull’autostrada, attraversare Termini a Roma è stato come tornare indietro soltanto con più cellulite e l’intestino mezzo pieno, non mezzo vuoto. Per intenderci, ogni slancio soppresso nella vita che trova forma in un necessario compromesso trasforma ogni cosa e sorprendentemente la restituisce ai desideri originari e intimi. È un gioco strano che la mente propone e ripropone nel corso dell’esistenza perché dobbiamo sapercela raccontare per restare in vita per restare nel mondo con una quantità di serotonina sufficiente a campare. La truccatrice mi ha parlato come se stesse parlando allo specchio e io le ho restituito il servizio. È magnifico trovarsi a parlare con una persona praticamente sconosciuta ma familiare per un tempo limitato e in uno stato di sobrietà. È come se con lei avessi un appuntamento all’anno e in quell’incontro ci fosse il potenziale di una cascata e al tempo stesso il nulla.

Il mio ledi emotional day numero 6 è sospinto da onde pigre di non pervenuta estasi. Ho quindi deciso di virare verso altri trastulli. Vi butto qui, a crudo, un raccontino per concedervi uno stacco da questa logorrea scritta e vuota e noiosa. È un racconto di matrimonio, un racconto di progetti di vita digitali. È la storia di Fina, una donna che mette a capitale i figli che ha intenzione di mettere al mondo. I figli che sono costretti a nascere per soddisfare impure libidini malcelate dal perbenismo neoliberista o della posa ideologica di turno accettata convenzionalmente dalla società che non vuole poterti considerare una brutta persona perché lo è stata prima di te o lo sarà dopo. Fina è una brava persona. Come voi. Eccoci quindi in un paese immaginario della Sicilia o di ovunque, alle prese con le tradizioni in via di sparizione. Certi mafiosetti paesanazzi sono buffi e le famiglie che ne vengono fuori ancora di più, soprattutto quando tentano in modo goffo di emanciparsi da ciò che sono e cioè da dove vengono; per questo è necessario capire bene il significato della parola “classismo” e rispettarne le regole senza sentirsi inutilmente in colpa. Alcune esotiche commistioni sono grottesche e pericolose, ma implodono grazie all’intervento della comunità che esclude e non perdona: in questo modo il danno è arginato e resta fine a se stesso. Il nuovo nucleo contaminato non ha possibilità di mimetizzarsi e ascendere a ciò cui mira. Insomma sempre mafiosetto buffo di paese e di campagna sarai, ma con l’aggravante illusorio di essere meglio perché avendo sfiorato le altre classi, ti sei travestito da cittadino opinionista o artista o qualcosa che ti racconti e non potrà mai nascondere le macchie di unto che hai sui vestiti e la povertà di spirito che appartiene a chi conosce solo la debolezza del vivere illegalmente e come bestia. I falsi accessi alla comunità cui vorresti appartenere sono necessarie e trascurabili conseguenze del sistema economico e politico in cui viviamo: ulteriori abbagli per te, che non potrai mai riconoscere perché non sai usare gli strumenti di classe. Ed ecco quindi, la storia di Fina!


Era il giorno del lavaggio del corredo per Fina Marino e sua madre Caterina stava sistemando per strada, sotto casa, le tinozze di legno per fare il bucato. Aveva invitato tutte le donne con legami di parentela e le vicine di casa e le amiche, per procedere insieme al lavaggio della biancheria per le nozze di sua figlia. Fina stava sistemando le ultime cose per la diretta su TikTok: aveva promesso ai suoi followers di mostrare ogni passaggio che l’avrebbe portata al suo matrimonio. Le migliaia di sostenitori avevano grande desiderio di partecipare a distanza alla vita di Fina. L’avevano conosciuta tutti grazie alle dirette streaming di ASMR, Fina cullava e vegliava il sonno di tantissime persone in tutto il mondo e voleva fare tanti figli soltanto per addormentarli e riaddormentarli se nuovamente svegli. Il corredo per le nozze era già candido, ma come da tradizione i capi sarebbero stati candeggiati al sole e al sereno, ovvero sarebbero stati stesi senza risciacquo su dei fili e lasciati almeno 24 ore esposti all’azione del sole e dell’umidità notturna.

A Fina importava poco di cotanto candidume, nessuno sapeva infatti che dopo ogni pipì lasciava sempre i suoi peli gocciolare sul cotone delle mutandine bianche, per ingiallirle di proposito. Le piaceva uscire, soprattutto d’estate e sorprendersi insieme ad altri della dispersione dei propri intimi effluvi nell’aria, a espansione e condivisione muta. Scorgeva subito con occhio allenato chi delle persone intorno avvertisse con olfatto sopraffino l’acre e umido odore che faceva poi intimamente nitrire la loro lussuria interiore. A Fina piaceva credere di aver portato del bene nella loro vita. Fantasticava infatti di immaginarli rientrare a casa e scopare forsennatamente, stimolati da quel profumino di urina e fica e sudore e stagnetto caldo in calore.

Sua madre e le altre pensavano a sbiancare. Fina aveva deciso di sposare un uomo molto più giovane di lei, un diciottenne, giusto per non commettere reato. Fina aveva promesso a Raffaele fedeltà assoluta e lui in cambio avrebbe dovuto donarle il suo seme ogni volta che lei lo desiderasse. Fina aveva deciso di mettere al mondo un figlio all’anno per realizzare una batteria da polli ASMR casalinga e Raffaele sarebbe stato il suo contatto con il mondo esterno, una sorta di maggiordomo e socio. Fina sapeva che poteva fidarsi solo del padre dei suoi figli perché ogni uomo venera la propria sborra e sente forte la proprietà sessuale e mentale su tutte le conseguenze solide generate dalle incontinenze fisiche. Raffaele si preparava a studiare medicina e aveva una discreta passione per l’informatica; aveva conosciuto @saledimarefinafina su TikTok ed era rimasto catturato dalla sua dolcezza. Nei dodici mesi prima di conoscerla dal vivo le aveva fatto così tante donazioni da non passare inosservato. Le famiglie di entrambi, i parenti, gli amici e i followers avevano raccolto soldi su soldi per permettere ai futuri sposi l’acquisto di una casa con venti stanze e una sala immensa, quella a cui stavano lavorando architetti, ingegneri del suono muratori ed elettricisti. C’era vento e Fina lo sentiva tra i capelli. Tutto sarebbe stato perfetto, nessun imprevisto, nessun effetto collaterale le avrebbe impedito di soffrire a modo suo e tra pochissimo, avrebbe avuto un condottiero al proprio fianco, l’unica persona di cui potersi fidare, a cui poter dire ogni segreto e con cui poter gestire qualsiasi cosa senza inganno e senza trucchi. Si sentiva forte. Fine della storia di Fina che avrebbe dovuto amare la cocaina per avere le guance rosse come raccomandava Freud alla fidanzata.


Acetosella, ogni tanto la scorgo negli autogrill o in giro a caso per strada. Ricordo il sapore e ricordo che non avevo piacere a succhiarla, ma lo facevano tutti e così mi trovavo a farlo per compiacere, cosa che continuo a fare in modo instancabile e detestabile. Mi piacerebbe conoscere le conseguenze delle azioni che mi avvicinerebbero il più possibile alla mia vera natura o a quella che avrei attribuito a me stessa ascoltandomi e vivendomi e sentendomi vivere. Ma questo implicherebbe tante azioni illegali per dirla breve e inevitabilmente donare un’immagine stereotipata e banale di una me stessa potenziale. O forse quello che io credo più vicino a me stessa è solo una costruzione, certo che si. E mi tengo i modi per non bastarmi perché vivere nella mancanza fomenta i desideri e le ossessioni. Ma vorrei mangiare fiocchi di neve mentre guardo le alte fiamme della casa di chi odio innalzarsi verso il cielo e illuminare il paesaggio riempendo l’aria di carne bruciata.