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Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

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Livore #13. Lo stato dovrei essere io.

di:

Pattern. Riconoscerli ovunque i maledettissimi schemi comportamentali degli umani in genere ma soprattutto negli addicted di cocaina che vanno dallo psichiatra.

Identificano un problema e obbediscono ad altri pattern comportamentali nell’eterna rincorsa alla redenzione o salvezza spicciola quotidiana. 

Per esistere senza resistere. Per resistere senza desistere.

Gesti vuoti, quasi rituali a volte, tra uno struggimento e l’altro nell’apparire migliori di sé e dei simili.

Psicotici seri che pensano che gli psicotici siano gli altri, che la psicosi sia altro forse.

Gusti vuoti, quasi futili a volte, tra uno spacchiamento e l’altro nel tentativo disperato di darsi un tono per giustificare la maledettissima esistenza.

Il socialismo di Gesù negli status whatsapp, Coelho tra le letture da cesso, tra portariviste pieni di muffa e mobili anni ‘70.

Praticamente è come suonare le cover in una tribute band: non divertirsi ma riscuotere consenso.

Senza il piacere di dire nulla, per fare contenti i locatari, per obbedire alla camera di commercio, per compiacere le società di collecting?

Forse, non lo so, non lo capisco. Non lo voglio capire, odio la terapia, odio chi canta io sono la terapia, odio la cassazione e il doppio cognome, i fioretti, i polarizzati, i polaretti Dolfin, il patriarcato, il matriarcato, tutti gli -ismi e gli -arcati, i musicisti che fanno 3 concerti e parlano del loro pubblico, odio le droghe scadenti, i 5 stelle, i qualunquisti, gli stronzi interventisti, gli stronzi Orsiniani, Marco Travaglio.

Ci fotte la guerra che armi non ha

Ci fotte la pace che ammazza qua e là

Ci fottono i preti, i pope, i mullah

L’ONU, la NATO, la civiltà

Ah, c’è una novità: i preti siete voi.

Dottrine a confronto, lotta perpetua sui social, il problema è che se aderisci al populismo sei un pretino. Pretino fa rima con? Si, esatto.

Socialdemocrazia utopica, presentazioni di dischi in playback. 

Decadenza, redenzione immorale, drogati in terapia, l’erba ti fa male se la fumi senza stile, mascherine per i denti, Milano da bere, rock italiano a pagamento, una volta si facevano i live per fare i dischi ora si fanno i dischi per fare i live: no, è una frase di ieri oggi si fanno solo dei singoli. Nella speranza di fare hype.

Wow, che bello non avere niente da dire.

Com’è misera la vita negli abusi di podere. Mah o bah? Il bi e il ba.

E allora l’esoterismo? E allora l’estremismo? E allora ‘sto cazzo?

E allora l’allora.

Amo, io amo. Fausto, anche io amo, solo che il 99% percento delle volte non sono corrisposto e non corrispondo.

Siamo nati per stare soli? No, siamo nati per scassare la minchia e in questo preciso momento storico per celebrare il nulla.

Non mi piace il presente, se io fossi lo stato non lascerei il diluvio dopo di me, lascerei il welfare.

Il maledetto welfare che nessuno dei partiti che votate contempla.

I stand with Ukraine, ovvio, sempre dalla parte degli aggrediti e mai con gli aggressori. Si può solidarizzare senza essere interventisti, ma tanto le sfumature non le capiamo (volevo scrivere non le capite ma poi qualcuno mi scrive che sono un servo del regime).

Facebook fa schifo, è roba per teste di cazzo che sembrano livorose ma in realtà sono solo cretine. Un livore è per sempre, fino a quando non cambia la realtà.

Chissà se al caporedattore piacerà questo articolo, chissà quante me ne dirà Enrica per non celebrare la cassazione (perdonami ma qua a Catania già sono pronti con nomi tipo Shantal Cucuzza Sapuppo o Kevini Patanè Cutuli).

I conti non tornano. Le politiche del lavoro non contano.

La guerra è un fenomeno di costume.

Sono verboso, mi piace.

Non ascolto mediamente la merda che ascoltano i miei ex amici, cerco casa, cerco compagna, cerco sballo, cerco film che mi facciano pensare, cerco lavoro poco impegnativo, cerco guai, cerco tra i linguaggi, cerco tra i linciaggi, cerco tra i lignaggi.

Lignano Sabbiadoro: la plaja di Catania ma meglio attrezzata.

Andate a ballare, che non pensare è meglio.

Vorrei essere te, godere nel mostrare i seni sui social.

Vorrei poter non avere voglia di avere qualcosa da dire.

Io sono vivo, voi siete morti.

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.