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Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

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Livore #14. Il tempo, l’educazione e il diazepam.

di:

  1. Il tempo per/nel/dell’arte per te, me e per chi va al liceo artistico

Non so bene se sto scrivendo qualcosa che riassuma l’esperienza fatta con le classi di Alessandro e Daniela o se è solo voglia di parlare di qualche male interiore in questa rubrica che mi serve a risparmiare la tariffa dell’analista.

Una cosa è certa, la pandemia ha cambiato la mia percezione del tempo durante il lockdown 2020, mi ha fatto accettare che possa esistere la spiritualità e mi ha dato una consapevolezza in più in alcuni contesti, soprattutto quelli socio politici sui social per cui gente improvvisata e dai titoli di studio più disparati (università della strada o della vita o presso sé stessi) si cimenta in analisi o avalla tesi disastrose con alterne sfortune.

Se avessimo più tempo a disposizione per educare la mente forse questo pianeta sarebbe un posto migliore.

Il tempo. 

Di questo ho parlato con degli adolescenti e dei post adolescenti.

Del tempo per l’arte, nell’arte, per l’arte.

Poco importa si parli delle sfumature dorate di Klimt o dei “quadratini” di Kandinsky o delle performance (che odio) della Abramovic: il tempo è la quarta dimensione e pur compiacendo certo materialismo dialettico a cui non dovrei strizzare l’occhio, nel mezzo del cammin di nostra vita (l’età in cui mi trovo ora) ho capito che bisogna diffidare fortissimo da coloro che affermano che il tempo non esiste o che è una banale unità di misura.

Il tempo esiste e credo che la possibilità di colloquiare assieme a una classe di esseri umani che esistono da meno tempo di me sia stato preziosissimo.

A volte mi sento dire che sono antiquato. Non me la prendo, li lascio dire, tanto è tutta gente che ha vissuto molto meno intensamente di me.

Forse sono un po’ indietro coi termini della gioventù più nerd, ma sto cazzo, quando chiedo a costoro di parlarmi di politica sento solo analisi raffazzonate, imprecise, ignoranza, lacune roba che alla fine dici “bah”.

Ho ancora 15 anni.

Ma il mio sistema nervoso risente del decadimento cellulare.

Ho pure scoperto il diazepam: la cura migliore per gli attacchi di panico.

Dicevo: IL TEMPO PER L’ARTE, IL TEMPO NELL’ARTE, IL TEMPO DELL’ARTE.

Ne ho parlato coi ragazzi e sono uscite fuori le esperienze più disparate, ma anche riflessioni.

In una vita “social” che è diventata performance (manco Debord se lo sarebbe immaginato come è ora) dove i “comuni mortali” sono più performer di chi su un palco ci sta per davvero e dove le attività di questi ultimi viene in generale ridimensionata se fanno arte deviante se non riconducibili a format televisivi (complice quel coglione di Manuel Agnelli ad X Factor per rimanere nel tema musicale) e rapportandosi con degli studenti del liceo artistico, fauna sociale che penso sia più sensibile di un fighetto del classico (sarcasmo, si chiama sarcasmo questo), non potevo non chiedergli come hanno vissuto il loro tempo diverso, nel periodo pandemico, e come questo poteva aver influito nel loro sviluppo artistico.

Io ho esordito raccontandogli che avevo coronato un mio sogno: riuscire a finire un disco solista. 

Mattinata interessante in compagnia di Francesco (CineMaAltro) ed Enrica (Rubricosa).

Ovviamente la casistica era la più diversa: in molti mi hanno detto che ne hanno approfittato per disegnare, in alcuni momenti però mi sentivo Tyler Durden alle finte sedute degli alcolisti anonimi.

Per un attimo non c‘erano limiti di età, abbiamo trasversalmente impattato tutti con una realtà un po’ troppo presente.

In molti hanno detto che avevano “creato”, altrettanti che si sono depressi (nell’accezione gergale del termine).

Alla fine ho avuto la mia riflessione: “Non tutti sono cretini, ma in molti non ci credono più”.

In cosa? Cos’è che mi ha portato a credere che c’è chi non crede?

Cosa accomuna Platone, Arrigo Boito, Wittgenstein, Philip K. Dick, Gene Roddenberry e Michelangelo?

La capacità di andare oltre i limiti della conoscenza e superarli per approdare a un elaborato più ampio e che faccia la differenza nella realtà che subiamo.

Non sei d’accordo lettore? E anche ‘sticazzi (pazienza), vai a guardare le socie di Mindy_Night933 su Instagram. CIAO.

Dicevo: superarsi per superare. Ma in un mondo dominato dalle masse informi il cui Q.I. porta non solo ad abboccare ma a diventare evangelisti della propaganda delle fake news, cosa è cambiato?

Che superarsi non serve a un cazzo. Poco, molto poco importa se tu studente del liceo di Bologna, o adulto catanese artistoide, ti fai in quattro per realizzare idee, tanto quella ragazza che si porta la testa su Instagram e che ancora annuncia un singolo inedito dopo 2 anni in cui ci ha mostrato tutto tranne il bacio del culo farà sempre più like (leggi: riscuoterà più consensi) e no, non è da boomer ‘sta cosa, lo dovete capire, è la fattualità, il concreto, che si scontra contro un meccanismo di performance vacuo, in cui non è importante l’opera d’arte e il tempo vissuto per crearla, conta di più una foto di un autore che non ha ancora creato nulla.

In un mondo che ha abolito da sé il tempo per l’arte, cosa vi aspettate?

Il tempo era l’unica dimensione che qualificava il vissuto, semplicemente ora non più.

Il consenso non è sull’opera ma sull’operatore.

Si, è pornografia.

No, non tutti siamo d’accordo con questa tendenza a prescindere dalla fascia di età.

Si, è come esce quella cagata di serie di zerocalcare dove tutti diventano i Morandini di sto cazzo.

No, non tutti siamo d’accordo su l’instant review di ogni cazzo di cosa che ci consentono i social.

Si, anche in questo caso non conta l’età.

La differenza la fa la materia grigia, l’analfabetismo funzionale, la paura di restare da soli, la necessità di attirare attenzioni e quel senso di superiorità che sentono le menti meno brillanti che non sono capaci di tacere neanche per un momento.

In un mondo (probabilmente) sbagliato, perché sottrarsi all’”errore” di essere sé stessi?

(Jim Abramovic)

Per paura di restare soli, appunto.

Il tempo esiste e dovrebbe essere al centro di ogni riflessione, sia esso incentrato sull’arte o sulla ricetta del Gulash. È la qualifica, il valore aggiunto, la co-ricetta che serve a far funzionare meglio qualsiasi atto creativo. A volte il tempo ci prende anche un po’ per il culo come diceva un cantautore catanese, ma non sempre.

E invece no, tutti li a tollerare un aggressore che parla di denazificare. Bah.

Soundtrack: “Time Waits For No One” – Freddie Mercury

Time  waits for no body

Time waits for no one

We’ve got tuo built tris world together

Or we’ll have no more future at all

Sono un socialdemocratico semplice, credo nella democrazia e nell’istruzione e nella possibilità di ridurre il divario in maniera quasi assoluta tra i più ricchi e i più poveri, e mi sono rotto abbondantemente il cazzo di chi ha un botto di soldi e di anarchismo non ci ha capito un cazzo.

Strambo, ma ho visto un po’ di speranza.

L’idiocrazia alla fine prevarrà, ma questo non vuol dire che non possiamo dargli un po’ di filo da torcere. 

  1. Il tempo per gli altri

Birra dello stretto? 

SI.

Leggere nella stessa notizia Coachella, Damiano, guerra, Ucraina? 

NO.

(Provo un deciso imbarazzo) 

Suonare garage rock and roll dopo i 40 anni? 

UN PO’ SI UN PO NO.

(però è divertente) 

Scrivere un po’ a cazzo invettive e riflessioni (cioè lamentele) per combattere la solitudine? 

VERO.

Sentirsi soli e basta sbattendosene se si è incompresi? 

CERTAMENTE .

Ciclo del sonno sballato? 

MA CERTO CHE SI.

Avere paura di aprire Facebook a causa di opinioni non molto solidali con persone in difficoltà? 

CRISTIDDIO.

Rendersi conto che devi scrivere post come questo e pubblicarli a una certa ora per raccogliere più consenso?

VE POSSINO.

Azzardare teorie sul radicale cambiamento di Giovanni Lindo Ferretti variando l’ordine dei brani di Divergenze Fra Il Compagno Togliatti E Noi Del Conseguimento Della Maggiore Età”? 

SI, E SO DI AVERE RAGIONE.

Immaginarsi da soli, vecchi e decrepiti? 

NO, ED È PRIMAVERA QUINDI  VAI A GIURARE AMORE ETERNO A QUALCUNA CHE TI PERMETTA DI FARE IL CASALINGO MENTRE LEI VA A LAVORARE. 

(così si combatte il patriarcato) 

Realizzare che non parli di questo o quel pittore o di quella mostra lì con qualcuno da mesi? 

PURTROPPO VANNO DI MODA SOLO I PARTY.

Desiderare l’ascetismo causa lo stress del vivere in società e delle relative condotte che sarebbe più appropriato adottare? 

CHE DUE COGLIONI. 

Non sapere se ci sono ancora gruppi garage rock in attività in Italia? 

AHIA .

(Ad lib.)