...

Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

...

Livore #18. Dell’avvento dell’autunno.

di:

Ma il numero precedente? Siamo passati dal 16 direttamente al 18? Siamo in Italia, quel numero non esiste nemmeno sugli aerei figuratevi su un articolo di una rubrica anarchica (esclusivamente a livelli di contenuti) di una blogzine antiautoritaria.

Prendersela con sé stessi per raccontare le vicende di una popolazione di ottusi arroganti: i Siciliani.

Un popolo di bestie isolane e isolate convinte che la loro dieta e la loro terra siano le migliori del mondo.

Un popolo di ciechi che non vede manco lo schifo che scorre tra le proprie strade, l’immondizia che sta per diventare percolato, l’asfalto che cede, il piscio sugli asfalti degli sfigati che non riescono ad andare al cesso. Pochissimi non possono sottrarsi caro lettore, ma se sei un individuo il cui primo pensiero è credere che me la prendo con chi è più sfortunato ti illudi.

Sei sensibile caro lettore, ma sei più stupido di un poveretto col quoziente intellettivo pari a 86 (è una citazione da un film, chissà chi la coglierà).

Ho vagato molto tra tre provincie nelle ultime settimane, per fare le prove, celebrare la vita (leggi matrimonio) e altre avventure minori di cui probabilmente poco importa a chiunque, tra funerali e incidenti stradali, in questa isola ritardata. 

Il fatto è che celebriamo la vita nella sua continua sfiga in base al sistema che assecondiamo.

Dire cose stupide per attaccare bottone. Questa è la cifra della nostra specie, figurati del sottoinsieme dei siculi.

Dopo 41 anni in questo pianeta, a questa latitudine, ho capito che i siciliani sono bravi solo a predicare la bellezza di una terra che alla fine manco se li caga, dove i più stupidi sono i primi e guarda caso figli del notabile di turno. Dal cantautore impegnato che alla fine emigra, al figlio del palazzinaro che si erge in cattedra sentendosi ribelle.
Roba da ridefinire il concetto di decenza. 

Spacchio e pirita: Catania definisce così un individuo che parla tanto ma che conclude poco, esattamente come i circa 6 milioni di abitanti di quest’isola di merda.

Io li definisco limitati, seppur dotati di titoli accademici, interessati soltanto ad accoppiarsi e a vivere non da soli in un mondo lastricato di bugie e di calotte craniche infrante ai cigli delle strade. Esseri paranoidi convinti che la loro vita sia di qualche peso per l’intera realtà, vinti dalle paure e sconfitti dalle ossessioni: il sole, il mare, la granita. I Malasfoglia.

Votano a destra perchè non capiscono cos’è il sociale, come diceva quello lì sono in costante escalation col vicino, spendono spandono e tutto quel che hanno ostentano.

Fanno foto a donne che non gliela daranno mai cercando di darsi un tono sui social per non sembrare gli sfigati che solo le seguono, le inseguono, le idolatrano e si azzerbinano.

Un qualcuno mi disse un giorno: “Lo vedi quello? Ha una posizione, ha i soldi, ma gli manca tutto il resto”.

Il 90 per cento della gente che mi attornia in quest’isola di merda è esattamente così: gente a cui manca tutto il resto.

Si sentono sani, migliori, efficienti, centrati nell’avere la loro posizione e alla fine sono solo degli scunghiuruti dell’hinterland che postano foto delle loro vacanze per non cedere alla voragine interiore: “ma io a cosa servo in questa vita?”

A nulla testa di cazzo.

Come se le loro vite fossero fondamentali in questo cosmo sterminato.

“Io non penso all’universo, troppo grande per me”.

Beh, la verità è che non c’è altro a cui pensare o perlomeno se ti rimane solo da pensare a cose piccole piccole come te, beh, allora è giusto che io ti dia del ritardato. 

I grandi quesiti portano alle grandi verità o perlomeno possono aiutarti a truffare il prossimo fondando una religione cucita ad hoc per questi tempi molesti.

Tutti bravi, tutti meravigliosi, tutti indispensabili, tutti profondamente innamorati di se stessi e dei propri averi.

Si, possedere è bello, ma non basta.

Si, andare al party è bello, ma non basta. 

Meglio avere qualcosa da dire, meglio sparare in testa alla polizia morale.

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.