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Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

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Livori Quotidiani-L’appendice romanzata 3

di:

C’è una differenza sostanziale tra il rinunciare a quello che si vuole, non potendolo ottenere, e il manipolare il prossimo per ottenere ciò che si vuole. E poi, avete mai veramente capito il significato di manipolare? 

Non si direbbe visto che nemmeno conosciamo, nel gergo comune, il significato di una parola come giudicare, che non vuol dire quello a cui state pensando, no, non ha quell’accezione negativa.

GIUDICARE SIGNIFICA UNA COSA SOLA: ESPRIMERE UNA OPINIONE.

Ma per voi caproni vuol dire altro. E poi non vi devo dire che siete dei ritardati mentali. Mah.

Ma continuiamo con le follie della mia mente.

Volere, non potendo ottenere, logicamente porta alla rinuncia. Quindi niente manipolazione.

Annullamento del desiderio, perdita; si potrebbe definire come cazzo ci pare eh, ma se si è essere senzienti, dotati di logica, e si ha familiarità e accettazione del significato della parola fine, nel linguaggio gergale diremmo “il mettere un punto”, insomma farla finita con qualcuno o con qualcosa, finalmente.

C’è chi non si arrende. Non perché ribelle o altro, forse neanche per ostinazione o per ossessione, semplicemente perché brama di ottenere solo per vivere il brivido dell’esercizio del fare (o del potere), in un modo o nell’altro.

Chiamiamolo tornaconto, capiamo che c’è chi è disposto a tutto pur di ottenerlo, anche fingere; lo stile nel farlo ovviamente è un optional costoso come i sedili termoriscaldati sulle berline anni ‘80. Il problema è che mi sento circondato da mediocrità, sempre.

Il problema è che qualcuno di noi dà senza ricevere nulla in cambio.

Al massimo ci restituiscono uno ceffone, a volte solo morale, a volte fisico.

A volte solo perché sei abituato a manifestarlo quest’affetto.

Niente di arguto ‘sto mese, solo un po’ di soddisfazione, mi sono tolto dal cazzo nell’ordine:  Sant’Agata, Sanremo e il carnevale.

Coordinate spazio temporali: la notte tra il 28 febbraio e quella del 6 di marzo.

Sono in ritardo con la consegna di questo livore. Dovevo farlo il 25 febbraio ma ho vissuto lontano da casa, da bravo nomade digitale, tra eventi e accampamenti, tra dubbi e sentenze, tra mancanze e solitudini, tra la voglia di fare sesso e sentirsi rifiutati.

La mancanza di empatia verso i migranti (sapevano e hanno ignorato, le merde), un anno quasi puntuale dallo scoppio della guerra in Ucraina, due rassegne musicali che son partite e che mi vedono tra gli organizzatori (che responsabilità, io vorrei solo stare in sala prove con gli ampli a volumi a palla) e la primavera che incombe inesorabile.

Arriverà anche l’estate e quel caldo torrido di merda e umido che contraddistingue le estati in Sicilia. Che schifo. Che merda. Il caldo fa cagare, anche se andare a mare è emozionante, occhiali da sole per non dare nell’occhio quando si scruta il seno o il fondoschiena della vicina d’ombrellone che si fa l’ennesimo selfie che vedrà in inverno per ricordare quanto era felice.

Ci vorrebbe la patente per usare gli oggetti tecnologici.

Il denaro virtuale, gli investimenti, le carte smagnetizzate. L’INPS che risponde, il conto che non funziona.

Musica nuova? Uguale alla vecchia, ma gli sciocchi hanno bisogno di miti.

Wakanda Forever? Mah.

Quantumsbrecchensbrang da vedere.

Fatture non pagate, pezzenti moderni.

Sedicenti grafici figli di papà che rubano – o tentano – di rubare il lavoro ad altri.

Scrocconi patentati.

Euphoria fa cagare.

Le serie tv netflix sono tutte uguali.

Nomadi digitali, idioti transazionali.

Scadenze, virtù, poveri idioti che cercano lustro scrivendo commenti sulle pagine pubbliche di facebook.

Sfigati, sfigati ovunque a perdita d’occhio.

La paura come al solito non è quella di morire ma quella di non esistere. E c’è chi è disposto a tutto pur di esistere: anche auto sabotarsi per un pugno di like in più.

Guardare in prospettiva, ma quanto è difficile?

Fallo un altro balletto su tik tok dai.

Ho vissuto anche un compleanno senza selfie. Ci siamo divertiti senza ostentare felicità sui social. Sta venendo a noia il concetto di mostrarsi. Narcisisti, siete solo dei pezzenti dei sentimenti.

Datti quel tono da idiota quando chiedi un tonqueray tonic e crepa.

Truffatori, approfittatori in schiere e circondato inoltre da pusillanimi con la sindrome del cazzo piccolo. 

Dice che la frase le regole sono fatte per essere infrante non serve a darci un tono ma se bazzichi l’arte come fai a non infrangere le regole perché se non infrangi le regole facendo arte fai pop e se fai pop sei mainstream e se fai mainstream praticamente sei un impiegato: ergo fai musica demmerda.

Sono stanco, molto stanco di avere a che fare sempre con persone che non riescono a non pensare allo spirito comunitario ma riescono soltanto ad essere egoisti. Forse è l’affanno del dimostrare qualcosa a se stessi o la paura di non esistere  – come dicevo prima –  o la voglia di esistere persino troppo. Oggi ho  visto Gaber fare un discorso del genere su una paginetta motivazionale su Instagram eh si, lo so che le paginette motivazionali su Instagram sono una mezza puttanata però p**** p****** il discorso di Gaber è incredibilmente semplice: semplicemente affermava di riprendersi la vita e non di affannarsi nella ricerca del miglioramento della propria posizione economica. Il capitalismo – senza mezzi termini – fa cagare e vi rende persone di m**** perché non è che se hai di più sei migliore, semplicemente diventi uno che non aspira più a migliorarsi. Vi piace la censura? Gli asterischini del piffero?

Per chi vive così: ma non vi fate cagare quando vi guardate allo specchio ogni mattina?

La mia piccola patria dietro la linea gotica sa mettersi da parte.

Segue la mia piccola telenovela piemontese.

ROMANZO D’APPENDICE PARTE III: 

Giada si svegliò sofferente. Ian non capiva ma dopo aver fatto per l’ennesima volta il caffè, questa volta pensando più a quello versato nella sua di tazza, pensando al perfezionamento della sua ricetta mattutina e fottendosene altamente di quel caffè lunghissimo che cercava lei, si accorse che era molto pallida in viso.

  • Ce l’hai un termometro?

Chiese irrompendo nella fredda e umida stanza da letto poco illuminata.

  • Si, prendilo, è di là!

Rispose Giada con tono lamentoso.

  • Di là dove?
  • Nel mobile, l’unico mobile che c’è di là.
  • Ooook.

Rispose Ian cercando di capire a quale cazzo di mobile si riferisse.

Alla fine aprì diversi cassetti e lo trovò: grazie a dio era del tipo digitale e non di quello a mercurio.

Giada si misurò la febbre: 39.3. Era indubbiamente alta.

Ian cominciò a preoccuparsi, lei aveva la febbre alta e non si capiva cosa cazzo avesse in realtà, visto che non manifestava nessun sintomo influenzale. Digitò il numero delle emergenze sul cellulare e bloccò lo schermo. Pensò che in tal caso sarebbe stato pronto a qualsiasi emergenza si fosse presentata. 

La vide imbottirsi di farmaci e rinunciare alla giornata lavorativa, l’arrendersi di lei alla malattia lo fece stare meglio anche se alla fine sapeva che avrebbe passato tutta la giornata in tensione sapendola in quelle condizioni. SI fece una doccia, si vestì, la salutò mentre era morticcia a letto e uscì di casa.

Passò una terribile giornata al lavoro, ovviamente in apprensione, ma alla fine anche quel supplizio finì. Ebbe il tempo di passare da un supermercato e comprare la cena.

Giada mangiò tutto, videro un film in tivù e alla fine la Tachipirina fece il suo effetto e lei stramazzò a letto ronfando di gusto. Ian la seguì tra le braccia di Morfeo di lì a breve.

Quella notte Ian fece un sogno abbastanza particolare, sembrava un remake di Harry Potter misto a The Attack Of Titans, Fringe e Stranger Things: una scuola dentro un castello sul mare per individui diversi, chi con poteri come telecinesi o altre meraviglie, i giganti buoni passeggiavano di fronte al bastione e salutando la gente affacciata alle balconate, mentre il sole splendeva su questa magnifica baia e nelle aule si insegnava come difendersi dal bullismo. Parcheggi riservati per macchine tradizionali anche se c’era un tappeto volante che svolazzava all’orizzonte. Sembrava Doven ma con qualche traccia mediterranea. Nel sogno qualcuno disse a Ian “Benvenuto nella Cornovaglia delle Isole Eolie”.

Nel sogno continuò ad esplorare il castello, c’erano cassetti di sicurezza microscopiche che riuscivano a rimpicciolirsi facendoti entrare dentro e teletrasportandoti in altre stanze del castello.

Scale che davano su stanze immense adibite a mo’ di palestre e terrazze con tavoli perennemente imbanditi di frutta e e cibi succulenti.

C’era pochissima ombra e il sole splendeva, disse. Ad un tratto Ian realizzò che si trattava di un sogno e desiderò ardentemente di non svegliarsi e non abbandonare quel luogo magico. Appena formulò questo pensiero e fu consapevole di essere dentro un sogno si svegliò.

Giada era raggomitolata nelle coperte, lui era madido di sudore e la maglietta zuppa e maleodorante.

Da quella finestra non capiva che ore fossero perché il sole non batteva mai in quella casa, a nessuna ora, le mura davano proprio – e sempre – le spalle al sole durante tutto l’arco della giornata.

Cerco a tentoni l’orologio sul comodino, forse non si sarebbe dovuto alzare subito dal letto per affrontare un’altra giornata di merda in cui avrebbe procrastinato perché costretto a lavorare e a mettere da parte sempre i suoi desideri perché doveva riflettere su quelli altrui. Si, quel tipo di giornata stava per iniziare. Una classica giornata di merda di un occidentale del cazzo che odia la coscrizione a cui il capitalismo ci porta: la schiavitù moderna, la quota per stare a galla.

Trovò il bicchiere con l’acqua e ne bevve un lungo sorso finché non ci fu più liquido nel bicchiere e si stiracchiò. L’idillio del periodo onirico era finito, cominciava la realtà di quel mondo dove è così facile diventare miserabili come tutti gli altri.

Prima di alzarsi e andare via i soliti pensieri gli attraversavano la testa, se era giusto il trascurare i suoi interessi pur di stare con lei, consapevole che molto probabilmente non ricambiava i suoi sentimenti dato che faceva solo battute acide per tutto il tempo.

Prese il telefono mentre finiva di vestirsi e annotò qualche frase che gli era passata per la mente mentre era sdraiato accanto a lei e che avrebbe utilizzato sui social o sul suo blog:

Era così innamorato di lei che avrebbe scritto poesie per lei ogni giorno, ma la sua musa non era interessata a farsi ispirare.

L’amore non corrisposto è come un fiore che sboccia nel deserto, bello ma destinato a seccare senza nutrimento.

Poi ricordò una frase che le aveva scritto tempo fa un’amica mettendolo in guardia da chi, come una tizia in passato, aveva detto che non sapeva quello che voleva da lui e che era concentrata su sé stessa e che questa era l’unica cosa che contava.

Quando scopri che stai cavalcando un cavallo morto, la migliore cosa da fare è scendere.

La frase lo lasciò di stucco perché aveva capito esattamente cosa significava: abbandonare la nave prima che sia tardi. 

Rabbia, delusione e tutta la gamma possibile di emozioni negative legate a vicende simili gli risalirono dallo stomaco e gli si piazzarono nel petto. Ian avvertì il colpo e si affrettò ad ultimare i preparativi per uscire da quella casa, sapeva che le prossime ore sarebbero state terribili. Lanciò un’ultima occhiata a Giada febbricitante a letto. “Eppure è così calma a volte!” pensò prima di correre verso la sua auto.

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.