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Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

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Quinto Livore. Ma quanto fa schifo l’amore.

di:

Parte Prima: “Della lunga estate caldissima”

“Un ferragosto, più ferro che agosto”, citazione illustrissima di Calogero Incandela tratta dal primo ep prodotto dal cantautore siculo, prodotto ovviamente dalla Doremillaro [sb]Recs (le autosviolinate non sono il mio forte, ma la citazione era perfetta), e da chi se no?

Le etichette patinate con cui cantautori scrivono robe criptiche e senza senso? No, dai non scherziamo siamo nella rubrica dell’idiocrazia, nel blog di uno che scrive invettive contro le idiocrazie.

Ferrapposto non fa ridere. Ve lo volevo dire. Nulla di personale è solo che se scrivi una cosa del genere non mi piace perché rientri nella categoria sociale di cui parlerò tra poco, ma in questo ferragosto sempre più ferro che agosto i temi sono tanti e complicati.

Continua la guerra di trincea no vax (dei suprematisti bianchi di merda in fondo) versus pro vax. 

A prescindere dal buon senso che abbiamo smarrito, dovremmo pensare a tutelare la comunità, ergo se la soluzione è vaccinarsi l’unico gesto civile è farlo senza lamentarsi troppo, inoltre in questa estate sempre più calda ma che speriamo finisca presto troviamo dei morti illustri che dividono e che fanno tornare il mantra del “ti spalo merda in vita per poi osannarti quando crepi così posso esistere pure io”. Lasciando stare la polarizzazione da coronavirus, prima di continuare qualche precisazione su ciò che si intende per satira.

So che non siete amici dei dizionari, ma nonostante questa rubrica sia scritta in forma diaristica ,che per chi non lo sapesse – per citare la definizione dell’enciclopedia Treccani online – trattasi di “Genere letterario comprendente memorie personali e testimonianze storiche e sociali. Con il Romanticismo divenne un vero e proprio genere narrativo, e il suo carattere autobiografico, insieme alla caratteristica dimensione cronologica, il punto di partenza per un’introspezione sentimentale.” [Introspezione sentimentale. Io, capito? No, perché per voi il pensiero complesso non esiste.]

Aggiungo che nella sua golden age aveva anche carattere aulico, cosa che per noi contemporanei è impossibile visto che la tecnologia ha trasformato il diario in blog. Per me, inoltre, se si tratta di satira diaristica è quindi è più incline allo scherno e alle invettive. Si un’invettiva è comunque satira. Si, c’è scritto sul vocabolario. Adesso potete ammazzarvi metaforicamente, quindi nel senso di non esistere più come fenomeno (per me) di grattuggiamento testicolare continuo? GRAZIE.

Roba da boomer la satira? No, non è roba da boomer, è la parte della letteratura più sacra che esista, solo che oggi scrivere invettive contro fenomeni di costume è visto come una roba da vecchi, perché ci dobbiamo accollare ogni singolo hashtag del cazzo che il trend odierno di (s)costume ci venga proposto. Perché? Perché così è più semplice esistere, perché così posso parlare alla cam, e anche se sono completamente cretino avere una platea virtuale, che non esiste, non sia mai mi possano criticare e/o possa mancare l’applauso.

La piaga di chi ha bisogno del consenso social. Una piaga vera e propria, non solo le cretinette cosce-wurstel ma tutto il resto, dal vecchio cantautore tardone che non capisce manco come funzionano i social al dentista di paese che riempie le sue pagine di foto del cazzo.

Cristo, la satira. Ciccio ma l’hai  studiata la letteratura? Capisco, non hai fatto manco il liceo, ti perdono, anzi no. No, non ti perdono (repetita iuvant), dilettarsi nella satira serve dalle origini di questa fottuta civiltà occidentale per criticare, contrastare, far riflettere tramite esasperazione ed estremizzazione (la mia attività preferita) di qualsiasi vicenda, fatto, ripeto fenomeno di costume esista per capire se quella idea sia sana o meno, se possa giovare o no. Ferocemente o no. Meglio ferocemente, le parole devono stordire, fare male, cambiare le cose.

Hai sette follower nella tua rubrica di costume che dire che sia peggio della vita in diretta è un eufemismo e vieni da me a dirmi che millenni di letteratura satirica non servono a niente e che io non li conosco? Io magari non sarò degno di fare satira, ma sicuramente tu non sei degna neanche di nominarla visto che manco hai cognizione di causa di quello che dici, è che vuoi essere riconosciuta. Col cazzo. 

Il malcostume è l’ignoranza, quella che dilaga senza fermarsi, quella che imperversa e invade la realtà come una pandemia peggiore del coronavirus, della mia verbosità, che porta chiunque a criticare il prossimo perché oramai esistere sta solo nel gridare “Maria non sono d’accordo”. Me ne fotto che non sei d’accordo, se sei scema, dato che non sai manco parlare se non per dire che sei meglio, che sei più intelligente.

Citazione da canzone nazionalpopolare d’obbligo:

Tu ti vesti da fotomodella,

Di quelle di Vogue tu ti credi più bella.

Passi le ore allo specchio del bagno

Trucco indelebile il tuo grande sogno.

Credi di essere intelligente, anche se parli da vera demente,

Perché impegnandoti al massimo

Riesci a dire se il toro sta bene coi pesci.

Cammini cammini cammini – mini

Facevi prima ad uscire in bikini.

Si vede tutto, di tutto e di più, e tu che tiri la gonna più su.

Però tu vuoi fare la donna all’antica,

Quella che ti fa vedere la AUS.

Ma poi si tira indietro: non voglio,

Prima do un occhio al tuo portafoglio.

Cioè lo capite che per deridervi basta prendere un testo di una canzone di Massimo Pezzali? Non provate vergogna?

Non vali un cazzo lo sai? Sei più offensiva di quell’altra testa di cazzo di una giornalista che da dell’ignorante a me per tagliare corto perché poi chissà cosa pensano quelli che gli mettono like. Bah.

Cantautori, giornalisti, teste di cazzo, simpatici umoristi over 35 siete bloccati come idioti nella battaglia dei like per sentirvi ogni giorno più vivi mentre state perdendo pezzettino dopo pezzettino la dignità pur di non scontentare la platea. Non fatelo sui social, tornate a farlo nelle aree che vi competono. I social sono la terra dell’idiocrazia, dove il semidio like ci permette di avere culi che sbucano dalle acque, cosce che sbucano dalle sdraio, pettorali pieni di tatuaggi senza senso che esprimono virilità (secondo loro), ostriche come se fossero il cibo per scalare la società e figli di puttana che insultano un morto illustre che ha salvato vite mentre loro al massimo hanno salvato sto cazzo.

Illustri sconosciuti, masturbatori professionisti, topi di fogna da tastiera. Conduttori di vite di merda e solitarie che esprimono la rivalsa grazie a un meccanismo castrante. Gli applausi sono una stronzata, ma non preferirli ai like lo è di più. I fischi vi fanno crescere, il compagno bullo che ti rubava la merendina a scuola o il conoscente tossico brillante che ti chiede un ventino che non ce la fa. Non ce la farà più. Non ce la faremo.

L’incapacità è davanti ai nostri occhi. Fedez, Salmo, la musica, la jam session con gli amici in campagna. La musica è farla, non ascoltarla.

Un amico ha scritto qualche giorno fa che gli dispiace per quelli che praticano la musica solo per sperare nella svolta, perché quando suoni una cosa che non ti piace ti perdi quel benessere fisico reale che ti fa stare bene, felice, non c’è meditazione che basti, non c’è filosofia orientale del cazzo che possa servire. Se suoni qualcosa che ti piace ti pervade un benessere psicofisico. Io la chiamo felicità.

Perché questa digressione? Serve solo a far capire che fare è meglio e fa esporre alle critiche, ma assecondare un fenomeno di costume è da idioti smarriti, ansiosi patologici, narcisi del piffero, che vogliono partecipare al banchetto mediatico a tutti i cazzo di costi purché qualcuno gli dica “ommioddio come sei bella e brava”. 

I prosumer, la classe disagiata, Raffaele Alberto Ventura leggetelo che ha analizzato bene anzi benissimo questa farsa dell’accumulazione del capitale simbolico e della ricerca del riconoscimento.

Non fa male non esistere (il mio auspicio  ad ammazzarvi) a volte, paga le tasse, lotta per un mondo migliore, ricordati che sono passati vent’anni da Genova, lì dove ti hanno iniziato a togliere tutto e tu che neanche ti ricordi di Carlo Giuliani per un minuto e spali merda su Gino Strada senza aver capito un cazzo. Chiunque scende a compromessi, embè? Se salvi vite umana, fino a una certa per me va bene.

Vuoi analizzare tutto nel dettaglio? Si? Ma di cosa ti occupi? Sei filosofa, politologa, vuoi mostrarci le tue doti di eccellente statista? Bah. L’unica cosa che posso dirti caro o cara testa di cazzo è che non vali niente se vivi così, perché il valore dell’altrui riconoscimento è perfettamente vacuo. Wow, che bel mondo mi create.

Quindi non ti lamentare delle teste di cazzo svirilizzate (semiautocitazione: maschio europeo svirilizzato le ss del precariato) che ti mandano le foto del pendolino (rido) che stanno male, malissimo, ma stanno male tanto quanto te solo che sono rozzi e brutali perché non capiscono, perché vogliono attenzioni, perché pensano di esistere solo attraverso i genitali che, Iddio ci salvi ,speriamo non fecondino mai nessuno.

Luglio-agosto, quanta morte attorno a me, da amici/conoscenti alle morti illustri che infiammano i web e i leoni da tastiera. Io non ce la faccio più, sfigati, idioti, teste di cazzo sbucano ovunque, proliferano sul social network dei vecchi in maniera esponenziale, è incredibile. Ogni atto del mio prossimo è egoismo.

Ah, leggo solo adesso, è caduta Kabul.

L’America ha perso una guerra. Avverso la guerra, se non quella letteraria, verbale, dialettica, retorica, sarcastica, la satira appunto; ah no, la satira me lo devi spiegare tu cos’è. Pensare che serviva per fini politici. 

Oggi l’omologazione e questa sorta di allenamento dell’opinione delle masse verso il pensiero unico mi rallenta, mi preoccupa, mi mette ansia.

Ieri una persona mi ha detto che in musica è importante collaborare. Certo, ma solo con chi mi piace a me. Sembra quasi un obbligo morale. Fare musica insieme è un atto di amore, mica un lavoro o un dovere. Suona con me invece di spiegarmi come funziona, perdonami non è superbia ma un minimo di esperienza la ho, perché devo piallarla solo per farti un piacere? Perché se ne so qualcosina in più devo comunque fare finta di niente perché poi ti incazzi che sei cretina e mi dai dell’ignorante? Ah sì, ignorante, sessista, alfiere del patriarcato.

Certo, intanto non riesco a distogliere il pensiero da un post Instagram di Mark Hamill in cui si analizza il personaggio di Luke Skywalker. Alt, per chi non avesse mai visto Star Wars trattasi del personaggio che Hamill interpreta nella saga di Star Wars appunto.

Riassume così la saga e il protagonista della saga:

STAR WARS:

THE STORY OF AN ORPHANED BOY WHO BECOMES RADICALIZED AFTER A MILITARY STRIKE KILLS HIS FAMILY. HE IS INDOCTRINATED INTO AN ANCIENT RELIGION, JOINS BAND OF REBEL INSURGENTS, AND CARRIES OUT A TERRORIST ATTACK KILLING 300,000 PEOPLE.

Chi è l’impero adesso? Cosa è il lato oscuro esattamente? Idiocracy non è un film, è un documentario sul futuro. Siamo pronti a immaginare il peggior scenario possibile? Si, un QI medio di 46 e il mondo che va improvvisando. Niente socialismo utopico alla star trek, bensì ipercapitalismo intergalattico alla star wars. Il declino è davanti a noi, ma io lo chiamo dissesto cognitivo.

Leggetelo un libro invece di uscire di casa ogni sera per scolarvi mezza bottiglia di vino perché andare avanti è dura. Lo capisco, ma puoi fare di meglio. Ognuno di noi può fare di meglio.

NB: Per chi mi segue dal primo livore, lo so ritratto sempre gli stessi argomenti ma verranno sviscerati puntata dopo puntata. Non è ripetizione è una tattica inutile, ma mi piace.

Ps: L’unica musa buona è quella che viene mandata a quel paese.

Seconda Parte:

“Dei maschietti che mandano le foto del pisello”

Premessa: Il maestro Iannicelli ancora una volta mi regala una sua tavola per la mia rubrica, sono onoratissimo e inoltre scopro che oltre pregiatissimo illustrato è finissimo batteraio metal. Una collaborazione perfetta.

Non passa giorni in cui il sottoscritto (quando in fase preparatoria per redarre questa rubrica) non faccia scrolling in maniera incessante per capire meglio i soggetti da social. Possibilmente non i più giovani, è un’attività che è meglio lasciare ai boomer del social network blu e poi non mi fanno impazzire balletti e coreografie a casa, preferisco stare a guardare più da vicino quelli delle mia generazione e limitrofi.

Superate le polemiche verso le ragazzette dal selfie facile con le meravigliose coscette würstel in bella mostra è ora di analizzare meglio uno dei loro protagonisti, il maschio becero abbastanza rincoglionito odierno malatissimo di esibizionismo, ricco di patologie e anche un po’ ritardato.

Si, quello che vi manda le foto della minchia come l’espediente migliore per fare innamorare qualcuna. Magari che va pure in palestra, che ha quella roba della tartaruga e tutte quelle derive estetiche e narcisistiche che morendo un benemerito coglione. Per te non auspico la morte per te auspico la bobbittizzazione. Che è una forma di morte, che noi maschi senza minchia è come se non esistessimo.

Ve la ricordate Lorena Bobbit? Si quella che evirò il marito perché troppo molesto. Ma vi prego scrivetemi e parlatemi del pendolino che avete in mezzo alle gambe perché dobbiamo capire bene in cosa consiste questo gesto idiota, inutile, volgare e completamente da dissesto cognitivo che è il mandare foto del proprio pene, soprattutto se non richiesta. Si, parlatemi del vostro pisello, devo capire quanto siete scemi.

Cos’è? Ti senti bono e credi che guardandoti ogni donna cada ai tuoi piedi o meglio la realtà si trasformi improvvisamente in un film porno? Sono belli i pornazzi, forse proprio perché impossibili.

Ma non ti puoi segare come fanno tutti? Ma perché non ti casca quella cosa? Ma perché devi scrivere a una tizia cercando di sedurla con la foto della tua minchia moscia? Possibilmente fatta male e col tuo telefono sfocato? E poi, nell’immaginario collettivo, porno i peli sono passati di moda dagli anni ’90, inutile mandare ‘ste foto orribili di minchie ancora più orribili.

Ommioddio che schifo, le ho viste, ho chiesto a un paio di amiche di inoltrarle e beh, seguono numerose riflessioni e relative invettive. Ma che schifo, a parte avere delle minchie brutte ed essere bruttissimi voi, ma veramente pensate che una donna normale possa essere interessata ad un’altra persona grazie a una foto della minchia?

Ma siete ritardati mentali o avete bisogno di un tso perché non riuscite la distinguere realtà dalla pornografia. Lo so che vi ammazzate di seghe senza sosta perché avete voglia di scopare, è uno status fisiologico normale, ma dato che nessuno vi da il diritto di mandare foto della minchia, cortesemente, andate da uno psichiatra perché ne avete profondamente bisogno.

VEDRAI LA MIA MINCHIA E CADRAI AI MIEI PIEDI! SI, PER L’ORRORE.

Cristo di un dio con le rotelle fuori posto, ma che cazzo avete nella testa? La segatura? Ma veramente pensate di essere stimati per le dimensioni del vostro pene? Ma avete mai sperimentato quella cosa chiamata seduzione? È un momento affascinante delle nostre esistenze e nonché bisogno di trasformarsi in un gigolò per sperimentare. È divertente affrontare la conosce di un’altra persona e basta.

Ah, mi scuseranno gli amici e amiche non etero ma per esigenze letterarie mi viene meglio parlarne in questa dimensione sessuale qui, ovviamente vale per tutti i gusti sessuali o anche per il contrario, anche se credo sia un caso statistico minore quello delle donne che mandano foto di vagina. Ah, me se volete mandate tette e culi, male che vada ci scrivo un articolo per questa sezione.

Dicevo, quanta merda hai nel cervello per pensare che la realtà è come quella dei pornazzi? Poi non vi lamentate se, a ragione, quelle fanno screenshot e vi deridono pubblicamente. O forse è quello che volete?

Uhm, non sono uno psichiatra ma anche questa strada potrebbe essere percorribile, magari avete solo voglia di farvi sbendare perché ne traete godimento. Siete oltre il patetico, siete praticamente da tso, perché è totalmente fuori dalla realtà che qualcuna si possa interessare a voi per una foto del pinnolino. Non voglio insultarvi ancora perché il tutto si commenta da sé, ma state male molto male.

Potete tagliarla e buttarla nel cesso e poi anche voi buttarvi dal balcone? Perché la violenza vi meritate, come quella che applicate alle povere disgraziate del caso. La mia solita frase da morte metaforica, ricordate è solo un auspicio per il rinnovamento interiore e del mondo che ci circonda. Tu chiamalo se vuoi UPGRADE.

Dicevo, cioè chattate con una sconosciuta e tutto sommato vi va anche bene perché potrebbe non cagarvi completamente, a voi omuncoli privi di tratti distintivi, se non per quella fantasia del pendolino di prima, e per giunta appena utilizzate toni aggressivi con la poveretta in questione in difficoltà, trovate l’ardire di abbassarvi i pantaloni e farvi una foto? 

Vorrei un mech a forma di Lorena Bobbit che vi stani casa per casa e applicasse il metodo Bobbit, tagliarvi quella inutile appendice che vi fa compiere gesti per cui aumenta il divario della disuguaglianza.

Maledetti disagiati, vi meritate il peggio. Tutti.

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.