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Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

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Settimo Livore. Della verità e della ipocrisia ovvero del perché non farla finita una volta per tutte?

di:

La parola più importante in questa rubrichetta è refuso.

Si perché ne produco a bizzeffe mentre scrivo, complice Pages del Mac che non è performante come Word per Windows a detta di Mauro, ma gli voglio bene perché se non scriverà il pezzo più anacronistico, anzi anacronistica nel senso di ribellione al cronista, nel senso di colui che parla di cronaca sincronica e antagonista e anatronista di questa webzine, non potrà più fare osservazioni.

La riunione di redazione amici, la riunione mi ha cambiato. Più sentivo la parola refuso (per carità sacrosanta la riflessione, ma qui dentro per chi ha letto le puntate precedenti) si sarà capita che non vige regola ferma né rilettura meditata.
Un livore è un livore, e se è vero che in modus est rebus, la totale sinergia sintetica iper antani è la cifra stessa di unione tra téchne e intenzione.
Parole sparate a cazzo, come sempre, ma con quel dubbio di fondo.

Brutti i dubbi, l’anticamera della paura che è madre di ogni violenza (cit. del mio gruppo italiano preferito) di questi tempi no vax e teste di minchia negazioniste ci hanno messo su un establishment pesantissimo fatto di dissonanze cognitive a gò gò.

Dicevo sento questa parola volteggiare su google meet e capisco subito che posso smontarla per averne una forma più congeniale al sottoscritto e ai suoi disturbi alimentari: RE FUSO.
Il re dissoluto, pazzo, cretino.
Mi viene giù per lì o su per qua di pensare a Giovanni Senzaterra come figurante perfetto dell’idea di un altro significato di un Re Fuso, cioè assimilato alla follia vera, ovvero fare incazzare tutti (ci riuscì appieno con il suo governo teocratico) o al compromesso storico (ovvero al riavvicinamento dei rapporti tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista in Italia, correva il 1977) dove due re diversi, ma che per potenza mediatica antica mi ricordavano lui, il Silvio nazionale. Re Fuso.
Quello che è ogni cittadino di questo pianeta quando è in posizione di netto vantaggio. Si fonde col tutto e se ne sente il demiurgo, ma al tempo stesso è fuso in quell’altro senso perché non capisce che il delirio di onnipotenza è una grande minchiata.
Berlinguer la tua stretta di mano con Aldo Moro portò nefaste conseguenze.
La storia ti ha perdonato ma alcuni compagni no.
Quando per la prima volta ho sentito parlare di te, caro Berlinguer, tu non c’eri più ma se al liceo avessi tradito la tua memoria per criticarti mi avrebbe azzannato alla gola. Ma io sono socialista e un pizzico democratico, lo sai, ci vogliamo bene, però, no dai, non fare quella faccia.

Il welfare importa più di ogni altra cosa oggi, lo sai che il capitalismo digitale ci sta frantumando le natiche e, ok lottare, ma ora è il momento di terminare la partita. Abbasso i re fusi.

Chi parla male pensa male e vive male. Bravo Nanni che mi giochi sull’Einstein perché hai più ragione te che Albert quando scrive “chi parla bene pensa bene ed agisce anche meglio.”
Chi vive male agisce malissimo, il capitalismo ce lo ricorda ogni giorno.
Ma dobbiamo fare volare i progetti, anche ‘sta webzine deve impennare un attimo, che se no ce la discutiamo tra la cadenza mensile e le uscite scaglionate.
Scaglione, come quello militare.

Volevo confessarmi: non ho mai fatto il servizio di leva, non perché mi sono rifiutato consapevolmente, preferendo il servizio civile, cioè agendo da persona che sta pensando bene e agendo meglio, ma semplicemente in un momento preciso della mia storia ovvero quella dell’ennesimo rinvio per motivi di studio quando ero giovane (facevo un bel po’ di concerti e andavo all’università) e un tizio in uniforme dietro al bancone mi disse: “Tornatene a casa e tieni sto pezzo di carta”.

Sul momento non capii e quindi con sentimento colpevole chiesi: “cosa ho fatto?”

La risposta non tardò “Hai un culo quanto una casa, sei congedato per esubero, nel tuo scaglione è stata raggiunta la quota massima”.
Scaglione.

In sala giochi gli amici mi avrebbero bullizzato linguisticamente dicendo EHY FA RIMA CON COGLIONE.

Invece no, tutti gli altri poveri stronzi a fare rinvio e io a 24 anni libero. Congedato.

Senza onore o disonore, senza rimpiazzo, senza obblighi di sorta.
Non fare un cazzo.

Se c’è qualcuno che mi legge che è cresciuto senza la coscrizione, beh, ragazzi non datemi del boomer ho vent’anni in meno e me la sono spassata alla grande come voi.

Le parole sono importanti.
Ne basta una per darti un’emozione, scrivere su un blog meno blog più rubrica, si cioè insomma questa rubrica, per dare del tu a personaggi carichi di spessore grazie al loro durissimo lavoro artistico. No, non ne sono sicuro.

Domani (oggi è già il 14 settembre 2021) dovevo andare a sentire la conferenza Boss Dom o come cazzo si scrive, si quello che fa le robe con Achille Lauro, che è troppo guitar hero (a me sembra mediamente più scarso dei chitarristi endorser delle sponsorizzate dei pedalini su instagram) turbo producer (come se oggi non siamo tutti producer, tzè, basta vedere un tutorial di  logic pro per fare instant music e spacchiarcela da morire con le nostre grossissime cappelle sonore).

Ah, la Apple. Oramai famosi per quella minchia di telefono mentre mi hanno dato un computer con cui basta trascinare un file a cazzo sulla timeline di Logic Pro X per dire “Ehy ma senti che sound”.

Sia lodata la apple, il peccato originale la mela mozzicata, l’alluminio dell’unibody e sia dannata al tempo stesso per sempre. Mi dovete permettere di cambiarmi da solo l’hard disk, maledetti.

Le parole sono importanti, i sistemi operativi sono importanti, i vaccini sono importanti, ma non ce ne fotte un cazzo.
Dobbiamo esistere.

Il consenso è esistenza, ma per avere consenso come dobbiamo parlare? Bene? Male?

È questo il punto dei livori quotidiani: non è più importante pensare bene o male, non è importante parlare bene o male, bisogna solo ripetere quello che è meglio per il trend.

Esaspera, commenta le pagine più importanti di aziende famose sui social, poco importa eticamente se è un quotidiano nazionale che tende al clickbait o una fabbrica di pasta accusata di fascismo, se cavalchi la polarizzazione (senza necessità di uno psicologo) è fatta: puoi esistere anche tu. C’è gente che ci crea su famiglie così.
Di sicuro è un universo conturbante.

Paure che non vanno via:

Archiviata – o quasi – l’estate sembrano scomparire le foto di cui vi parlavo nei mie precedenti livori?

Manco per il cazzo, ora è il momento della nostalgia.
Quindi foto dell’estate andata via (come il Maestro) in attesa delle foto coi collant di natale (categorie stockings & pantyhose).

Nuova microrubrica (confesso che Carlo durante la riunione mi ha ricordato di una cosuccia successa in questi giorni) ovvero IL ROMPICOGLIONI PEZZENTE:

MORGAN HAI ROTTO I COGLIONI. Basta compare, ma veramente ti stai portando la minchia.

Ma ti sembra normale un post su cosa cazzo deve essere scritto sulla lapide di Franco Battiato.
Oh, sveglia, ma sei scemo? E basta, mollala sta pipa col crack, ma li lasciamo in pace i morti?
Manco il social media manager di Taffo (ah si sta aprendo al franchise) sarebbe giunto a tanto.
Hai rotto il cazzo.

Voli pindarici tra attualità, malcostume e amarezza.
Tanta amarezza.

Troppa.

Basta col livore/non essere feroce/torna da me/vedremo l’alba insieme.

Potrebbe sembrare un verso di Calcutta e invece.

Ci siamo già dimenticati di Morgan. 

A chi tocca?

Ah, a Morisi.

Vabbè era questione di tempo.

Fine settembre, ancora umidità, caldo, pessimismo, fastidio, umidità, sovranisti, rimozione coatta di soggetti no vax dai vari social, farmaci anti acidità, un disco completato che doveva essere una passeggiata ma sono passati 7 mesi, bandiere che girano, prima si poi no poi vediamo poi non è colpa mia poi te la ritrovi in quel posto: ROUTINE.

Il tempo è sprecato, la solitudine è in disavanzo, l’unica speranza è l’eremitaggio.

Domani è ottobre, il mese più corto dell’anno, poi arriverà novembre, IL mese dell’anno.

Speranza, inverno, stillicidio, errori, madrigali, uncinetto.

Ah, lo schwa è una cagata pazzesca.

Chi parla male, pensa male e vive male.

Pagine da riempire, da riempire da riempire.

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.