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Silent Reading Party o Ho un libro vedi? Sto leggendo

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Ovvero: organizziamo una festa, ognuno porta un libro, ognuno legge per sé. In silenzio.
È questa la moda dell’anno, del momento o almeno di fine maggio scorso. Importata dagli Stati Uniti, pare muoversi agile anche in Italia, dove ci sono collettivi che organizzano incontri del genere.
Ma cos’è, nello specifico, un Silent Reading Party?

Avete presente quando siete in stazione, il vostro treno è in ritardo di 200 mila minuti, ma avete un libro con voi e allora leggete?
E magari accanto a voi c’è qualcuno, il cui treno è in ritardo di 200 mila minuti, ma ha un libro con sé e allora legge?
E così siete uno accanto all’altro, state facendo la stessa cosa, ma vi ignorate amabilmente perché, amabilmente, avete imparato a stare soli e a godere dei momenti di solitudine, di sconforto o di generica pausa, approfittando per fare quello che vi piace fare?

Ecco: questo NON è un Silent Reading Party. Apparentemente sì, ma invece no, perché manca la componente fondamentale, ovvero l’etichetta.
Manca la pubblicità funzionale a rendere evidente il fatto di essere qualcuno che legge, insieme a qualcun altro che legge e che ha bisogno di dire a tutti che lo sta facendo, per potersi concentrare davvero.

“Ehy, io sono un lettore, vedi questo libro? Sto leggendo”.

E giuro, io ci provo sempre a trovare il lato positivo, a calarmi nei panni degli altri.
L’ho fatto anche nei confronti della moda di scrivere nei bar.
Pratica non diffusissima in Italia, ma sicuramente più sdoganata di prima.
Come ci si può davvero concentrare in un bar? Il dubbio che sia una roba da poser può venire. Finché non scopri che scrivere significa molto spesso rileggere, correggere, costringerti al pc per sistemare paragrafi, note e altre cose noiose, che se sei a casa riesci a procrastinare. Magicamente ti ricordi di dover avviare la lavatrice, stendere i panni, magari dare una pulita al bagno e in effetti anche la libreria che non spolveri dal 2012 meriterebbe una ripassatina.
E perché non avviare il pranzo? E la cena? E forse potrei fare un dolce per domani a colazione! Ma tu fai la colazione salata! Beh allora posso preparare un rustico. E anche un dolce.
E questo è solo un esempio. Più banalmente, magari hai un monolocale che affaccia sulla cucina del ristorante thailandese e scrivere con zaffate periodiche di odori e rumori di spadellamenti vari non è il massimo.
Magari convivi ma sei separato in casa. E pure quella non è esattamente un passegiata di salute.
Al bar ci se solo tu, il pc, magari una cosa da bere e un discreto caos esteriore che però, se siete abbastanza incasinati dentro, non vi scalfirà.
Infatti ho frequentato quasi quotidianamente un bar affollatissimo h24, con orde di ragazzini usicti da scuola nel pomeriggio, pensionati allegrissimi o arrabbiatissimi e una palylist a tratti piacevole, ma molto spesso discutibile, sparata a volumi che riuscivano a oltrepassare senza problemi la barriera della pazienza.
Ebbene in questo ci ho scritto il mio primo romanzo, la metà di un saggio e svariati articoli.
Dunque mai giudicare troppo in fretta.

Ma il Silent Reading Party mi fa sorgere altri dubbi. Voglio dire, leggere per fatti nostri, non è qualcosa che semplicemente facciamo già da secoli con più o meno successo, nei parchi, nelle biblioteche, nelle metro, negli aeroporti, con il partner, in spiaggia?
Per quale ragione adesso sarebbe diventata una moda?
Per osannare la necessità di saper essere soli con un libro?
Ma non lo facciamo già abbastanza? Non siamo già eternamente connessi e soli, dietro i vari schermi, cellulari, chat e tutto il resto? Non è che dire Vado a un Silent Reading Party, serve solo a incastrarci nell’essima cornice, alla quale sentiamo tanto il bisogno di aggrapparci, perché sguazziamo in uno stato di indefinizione che ci fa cagare letteralmente addosso, e allora ci sta bene pure, soprattutto, ribadire l’ovvio?
Io il dubbio, per ora, ce l’ho.