di: Enrica Orlando
Come quando mangi una fetta di panettone al cioccolato e scopri che quei chicchi marroncini in realtà sono uvetta.
Come quando quei chicchi non sono uvetta, ma canditi andati a male -“ma da dove l’hai tirato fuori ‘sto panettone, ma basta, che le feste sono finite…”
Come quando: “Oh no, quei chicchi marroncini mi sa che non erano neanche canditi …”
La realtà non è mai come sembra.
Di solito è peggio.
Ma qualche volta può essere meglio. E per meglio non intendo necessariamente bello, ma sorprendente.
Che spesso è anche preferibile.
E così, quella volta che ti capita la storia che, come una matrioska, ti mostra una realtà, dentro una realtà, dentro un’altra realtà, fino alla perla generatrice di meraviglia, non ti resta che portarla con te nel nuovo anno, conservarla in borsa come una pepita magica e tramandarla di generazione in generazione.
Ebbene sì, sto parlando di una banale zuffa social, che così banale, ovviamente, non è.
Sto parlando del botta e risposta tra Andrew Tate e Greta Thunberg, che sembrava solo un troll & blast -tipo Twist and Shout, sì – in realtà è molto di più: è, soprattutto, un bellissimo esempio di vittoria sul machismo.
E così, anche se si è sviluppato tutto a fine dicembre, voglio sceglierla come una delle cose preziose da portare nel nuovo anno, insieme alle colazioni all’alba, alla corsa e alla voglia di sorprendersi.
La storia è presto detta.
Andrew Kent, ex kickboxer e noto influencer, è famoso per le sue esternazioni misogine, razziste e violente, a causa delle quali è stato bannato dai social e da un’edizione del Grande Fratello britannico.
Tuttavia, grazie alle stesse esternazioni si è conquistato il favore di un nutrito numero di follower, tutti fan, neanche a dirlo, degli ideali della destra più conservatrice. Le magie dei social.
“Le vittime di stupro devono assumersi le loro responsabilità”, “se una donna mi tradisce la aggredisco con un machete”, “le donne devono stare in casa”: insomma cose così, tra Trump e Pillon, con una spolverata di Meloni, un assaggio di Salvini, un richiamo a Orban e un retrogusto talebano che evoca quella sensazione di destra ultrareazionaria, ma spogliata di “diplomazia” per restare nuda, a mostrare un po’ di muscoli e qualche auto di lusso.
Infatti Tate, noto anche per essere un negazionista della crisi climatica, ha pensato di taggare Greta Thunberg, attivista che non ha bisogno di presentazioni, in un post in cui elenca le emissioni di CO2 delle sue 33 auto di lusso.
Greta ha risposto per le rime, chiedendogli di inviare tutto a smalldickenergy@getalife.com.
Non pago, Tate si è filmato per insultare Greta.
Nel video fuma un sigaro, mentre ha davanti a sé il cartone di una pizza che, dice, non riciclerà affatto.
Il cartone è di una pizzeria romena.
Grazie al logo della pizzeria e alle scritte sul cartone, le autorità riescono ad individuare Tate e il fratello, ricercati da aprile con l’accusa di traffico di esseri umani, sfruttamento della prostituzione e costituzione di un gruppo criminale organizzato, volto a reclutare e costringere donne a creare contenuti pornografici per siti a pagamento.
(Le autorità avrebbero poi smentito, la missione non sarebbe riuscita semplicemente grazie ai cartoni di pizza, ma insomma, nel dubbio, teniamoci la favola)
I due fratelli sono stati arrestati.
Greta ha risposto: “vedi che succede a non riciclare i cartoni?”.
Ecco, senza esagerazioni, penso che questa sia la storia da raccontare ai bambini come favola della buonanotte.
È la nuova Cappuccetto Green, L’ attivista e l’Era digitale, Biancaneve e i sette blast, non lo so, troviamo un titolo da favola e inseriamola nei capolavori eterni.
La parte migliore di queste beghe social, oltre alla loro poderosa ma imponderabile capacità di sconfinare in quella che continuiamo ingenuamente a chiamare realtà, è il contorno, che spesso è meglio della portata prinicpale -è una delle mie rare ma solide certezze.
Io ho già il mio podio di contorni:
-Terzo posto: quelli che si scoprono difensori di ogni sensibilità, ma -concedetemi una sintesi poco poetica di inizio anno- solo quando si tratta della sensibilità di persone famose per essere stronze, magari uomini, meglio bianchi, meglio cis. Meglio ricchi.
Cioè sono quelli che hanno titillato le loro tastiere in difesa della virilità inelegantemente ferita di Tate. Perché insomma, “che volgarità parlare di peni piccoli”.
Cioè sono quelli che non vedono sessismo negli atteggiamenti e nelle frasi di uno che sostiene, tra le altre cose, di cercare solo donne giovani, per poter lasciare su di loro un’impronta; uno che fa l’elenco di auto che ha potuto acquistare, grazie a frasi come quella citata e grazie alle sue attività criminali.
No, loro sono quelli che vedono il sessismo nella frase smalldickenergy. Perché chiaramente loro sono anche quelli che non ne hanno capito il senso. Il che ci porta dritti al secondo posto sul podio.
-Secondo posto: la superficialità con cui i media hanno tradotto l’espressione smalldickenergy.
Perché smalldickenergy non va tradotto in senso letterale, è un’espressione utilizzata per riferirsi a un’idea di mascolinità tossica, che è quella cosa che ti fa venir voglia di taggare un’attivista, per dirle che sei figo e potente perché hai tante auto costose, che consumano tantotanto, e inquinano tantotantotanto.
In sintesi, Greta non ha detto “ce l’hai piccolo”, ma “ce l’hai fragile”. L’ego.
Perché uno che, per mostrarsi figo, mette in mostra la dimensione dei suoi grandi muscoli, dei suoi grandi sigari, delle sue grandi auto, del suo grande portafogli e persino della sua grande capacità di inquinare, ha la convinzione che la virilità si fondi su questi standard. Quindi la sua virilità è fragile.
E quindi sta chiaramente compensando una carenza legata al suo ego.
-Oro assoluto per il primo posto sul mio podio a Elon Musk.
Dice “che c’entra Elon Musk?” Ebbene, sempre utilizzando la metafora della matrioska, è Musk la perla generatrice di machismo social e non.
Sì, perché Andrew Tate era stato giustamente bannato da Twitter.
Ma Musk, al suo arrivo nel regno dei cinguettii, lo ha reintegrato.
Musk, come un Robin Hood dei bannati, che conquista i social per restituirli alla feccia.
Musk, sì, che infatti aveva reintegrato anche Trump. Non un esempio di fulgido di rispetto dei diritti umani, ecco.
Però Trump ha deciso di restare sull’altra piattaforma, Truth. Trump e Truth. Certo. Trump&Truth come Twist and Shout o Troll&Blast.
Potrebbe tranquillamente essere il titolo di una commedia demenziale, tipo: Trump&Truth, la strana coppia.
Ma la matrioska non è finita qui. Nel 2020 Greta, per commentare la reazione “leggermente” poco sportiva del presidente americano all’esito delle elezioni, usò le stesse parole che Trump scrisse su di lei tempo prima, cambiando solo il soggetto, da Greta a Donald: “Così ridicolo. Donald deve lavorare sul suo problema di controllo della rabbia e andare a vedere un buon vecchio film con un amico. Rilassati, Donald, rilassati!”.
Che meraviglia. A unire i puntini, torna tutto.
Uno scambio banale, di quelli che potrebbero essere definiti solo trollate, poggia in realtà su montagna scivolosissima di m…achismo, dalle dimensioni, e qui sì che contano, gargantuesche.
“Mi è sempre piaciuto il termine gargantuesco, succede raramente di poterlo usare in una frase”
(sì, sto citando Kill Bill e il suo splendido e cruento modo di essere femminista)