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Recensione – YTI⅃AƎЯ  Bill Callahan- 2022

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Una miniera di suoni, parole, calore e ironia

Se anche voi siete stanchi delle inutili abbuffate di classifiche di fine anno (“i numeri non si possono amare”), vorrei parlarvi dell’album a cui ho riservato un posto speciale nel mio cuore, pubblicato nella seconda metà del 2022. 

No, non è l’album dell’anno, nè il “mio album dell’anno”, ma semplicemente un disco uscito nel 2022 con cui farò i conti a lungo.

In primo luogo, perchè è stato uno degli album simbolo della mia “rinascita” musicale, di cui forse, se avrò voglia – e sempre che a qualcuno interessi tutto ciò – prima o poi vi scriverò.

In secondo luogo, perchè è un album (si vabèè ma ce lo dirai il titolo prima o poi? – E un attimo!) che concilia musica, poesia, arte, avanguardia e tradizione.

In ultimo luogo, perché ha una copertina meravigliosa.

Arriviamo al dunque: l’album in questione è  YTILAER di Bill Callahan. La realtà specchiata dal folk-americana singer, classe 1966, è una miniera di emozioni che andremo a scavare con ordine. 

Breve discorso sull’autore

Bill Callahan è un cantautore e musicista statunitense, conosciuto anche con lo pseudonimo di Smog. Ha iniziato la sua carriera nella scena indie rock degli anni ’90, pubblicando numerosi album sotto il nome di Smog e guadagnandosi una reputazione come artista di culto. 

Nel corso degli anni, la sua musica ha subito un cambiamento di stile, spostandosi verso un suono più tranquillo e introspettivo, con testi profondi e introversi. 

L’esperienza con l’ascolto di Callahan è qualcosa di unico nel panorama attuale, è necessario un approccio sinestetico per coniugare l’ascolto, il suono delle parole, la costruzione dei testi, il calore della voce baritonale, la composizione stessa delle liriche, i colori delle copertine, come quella del suo ultimo lavoro.

Ma parliamo di Realtà allo specchio

YTI⅃AƎR è il terzo album solista di Callahan in altrettanti anni. Stando alle parole dello stesso cantautore, l’approccio compositivo aveva come scopo quello di riportare la realtà al centro del villaggio, andando a “risvegliare gli ascoltatori dal torpore pandemico per far conoscere i fondamenti della vita: comunità, pazienza, sentimenti profondi”.

E tutto l’album ci trascina in questo mondo caldo, fatto di gesti artistici apparentemente semplici, ma ricordatevi che il disco è una miniera, un dungeon pieno di tesori, nascosti dietro porte invisibili fatte di tradizione americana (in senso lato), radici, contenuti e ironia.

Traccia per traccia

First Bird è l’araldo che ci aspetta in quella dimensione fra sogno e realtà messa in piedi da Callahan, novello Virgilio che col suo canto (proprio come l’autore) ci trascina attraverso queste due dimensioni. Delicatamente, come le immagini dipinte dalle ombre di quelli che, probabilmente sono i figli che Callahan vede al suo risveglio ogni mattina.

Everyway, introdotta da un caldo fingerpicking, racconta attraverso una melodia e un canto balsamici, la riscoperta del rapporto fra uomo e natura attraverso un particolare rito di sangue (bellissima l’immagine descritta: “sto sentendo che mi arriva qualcosa, una malattia o forse una canzone).

Bowevil è un meraviglioso blues di frontiera. Ma a chi verrebbe mai l’idea di dedicare una canzone ad un pericolosissimo parassita delle piantagioni del Texas, che tanti guai procurò in tempi passati? E sfruttare questa storia per farne una metafora di una delle (tante) cause del razzismo statunitense?

Partition inizia con una intro strumentale che è forse fra le migliori in tutto l’album, chitarre e fiato in sottofondo a scandire l’esigenza di trovare velocemente la strada per “capire, conoscere, toccare THE PICTURE”. Il brano procede col suo groove incessante fino alla fine, martella, risveglia, ci invita a darci una mossa per capire e sentire.

Lily è una meravigliosa poesia scandita e accompagnata da voce e chitarra, intrisa di vita, amore, passione e, soprattutto, morte.

“I started writing your death song

Long before you were gone

You could’ve had a life

Not under my pen”

Gioco, partita, incontro.

In Naked Souls, Callahan si diverte a offrire, sempre attraverso parole e suoni rarefatti e poetici, una descrizione insolita di chi ha terrore delle anime nude (in primis, della propria); per colpa di questa sua disabilità emotiva, si rinchiude dietro uno schermo chiedendo a Dio di spazzarle via. L’arrivo della preghiera è scandito dalla presenza di fiati, cori e un crescendo armonico che fa di questo brano un capolavoro di arrangiamenti.

Coyotes, ballata con chiari rimandi all’intimità di Pink Moon, è stato il primo singolo estratto, il brano certamente più carico emotivamente e in grado di incuriosire chiunque sulle potenzialità dell’album. Gli animali selvatici descritti dalla canzone, sembrano minare il quadretto emotivamente perfetto della famiglia costruita da Callahan in questi ultimi anni. Riflessione pacata (accompagnata da interessanti cambi melodici che non permettono all’ascoltatore di stancarsi), sulla mentalità dell’uomo scissa fra il desiderio di tranquillità familiare, e il richiamo del branco e della foresta. Unico rimedio, la consapevolezza che solo l’amore può ammansire la bestia e rendere fecondo il rapporto fra uomo e natura.

In Drainface Callahan sembra essere più ermetico, viene costruita quella che potrebbe sembrare una murder song che ci conduce verso il prosciugamento del cuore dell’uomo, fino all’ultimo battito cardiaco.

Tornano ritmo e buon umore nella quasi ossessiva ripetitività di Natural Information, un gioviale blues apparentemente innocente e sbarazzino. Ma attraversando lo specchio della realtà semplificata da Callahan, finiamo sommersi nella teoria semantica di Paul Grice. Secondo questo filosofo del linguaggio, occorre fare distinzione fra significato naturale e non naturale di una frase.

Si tratta della distinzione tra ciò che significano le parole (mean) e ciò che vogliono dire i parlanti; tra ciò che viene detto (said) e ciò che viene solamente fatto intendere (implied)

Ecco, dietro 2 parole ripetute fino all’esaurimento, Callahan costruisce, in 5 minuti, una mini-teoria sul significato e sulla composizione di una canzone attraverso l’osservazione della realtà circostante (e della ATLAER al di là di essa).

Torna nella poetica di Callahan The Horse, (quello in cui, all’inizio dell’album, abbiamo immerso le mani?) animale guida fra questo mondo e il sogno, fra la realtà e il suo contrario, fra la natura e l’umanità. Basta chinare le nostre teste per entrare o uscire da quello che stiamo vivendo.

L’album si scioglie in preghiera, finendo il suo corso fra rime contemplative e melodie salmodianti, ripetitive ma seguendo un senso a spirale, mai uguale a se stesso. “Siamo stati rinnovati per una seconda stagione”, ci assicura in The Planet.

Nella traccia finale di Last one at the party torna il buon umore, in un clima generale di sarcasmo rivolto a chi non se la sente proprio di abbandonare la festa, anche fosse la vita stessa, per ultimo.

Bene, giunti finalmente alla conclusione di questa recensione, spero di avervi incuriosito e di avervi invogliato a sedervi comodamente, accendere una qualsiasi forma di tabacco, aprire le orecchie e godervi questo balsamo per anima e corpo.