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Raccomandazioni #13: Ti ricordi il lockdown? Eravamo una Self Isolation Family

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Pensa, cosa stavi facendo un anno fa e mezzo fa? Abbiamo vissuto un periodo unico in cui tutti sapevamo dove eravamo, a casa. C’era chi lavorava da remoto, chi era sospeso nel nulla cosmico non sapendo cosa fare, chi magari era già bloccato a casa con i propri mostri. In quel momento la musica live si è fermata, ma la musica non si è mai fermata. Mangiare, respirare, ascoltare o suonare, che differenza fa? Nessuna, ciò che è un bisogno non si ferma mai. In questo contesto è nata, parafrasando i Self Defence Family, la Self Isolation Family. Una manna dal cielo, un obiettivo in un periodo vuoto. Più di 30 persone dal mondo (Italia, Spagna, Colombia, Argentina, Germania, Romania, Regno Unito, Messico, USA, Macedonia del Nord e Lituania) si sono radunate attorno ad un focolare digitale per mettere su un disco. Il punto di partenza sono stati gli Øjne (Milano) che hanno buttato giù sei tracce di basso o di chitarra. Dopo una chiamata sui social, assembrati all’interno di un gruppo Facebook, ognuno ha scelto la traccia su cui lavorare. In qualche mese, registrando a casa o in studio per chi poteva, sono emerse le tracce finali.

Cosa viene fuori? Diciamolo chiaramente, quasi tutti i partecipanti non avevano mai suonato insieme e c’era tutto il margine perché venisse una cagata. Non è stato così. Alcune tracce sono davvero belle e non sarebbero mai nate senza questa unione di menti altrimenti distanti.
La direzione è quella del post-hardcore, ma le deviazioni sono molteplici. Basta guardare gli strumenti, tutte le canzoni hanno 3 chitarre, basso e batteria, a questi si aggiungono synth, droni, flicorno soprano (tipo una tromba), dulcimer e campionamenti vari. Ogni tanto ci sono pure due batteristi. La Self Isolation Family è stata anche un momento di sperimentazione DIY attorno ad un genere che in certe nazioni si sta lentamente spegnendo (un canto del cigno?).
Chi si è occupato della voce l’ha fatto nella lingua che più si sentiva, e così ci sono pezzi in italiano, spagnolo, inglese, russo e tedesco. A volte più lingue si avvicendano (Song #4, Song #5). Le voci affrontano il tema dell’isolamento (fisico e mentale), della distanza, dell’affetto. “Questa stanza è il mio regno” (Song #1), “lasciami correre lasciami andare” (Song #2), “tu cammini con i miei piedi io vedo con i tuoi occhi” (Song #3), “tutto ciò che brucia ora” (Song #4), “va bene rompere cose rotte ma cosa succede se erano fatte per essere rotte?” (Song #5), “mi fai a pezzi per costruirmi” (Song #6).

Il disco si apre con rumori di folla, gente che parla. Sono i suoni che ci sono mancati. Nella Song #1 abbiamo un post-hardcore/screamo in piena regola. I toni sono più cupi nella Song #2 e Song #3 aiutati dallo scream e ritmi/suoni ripetuti. Si arriva così al cuore del disco. Le tracce hanno mantenuto l’ordine e i nomi con cui erano state proposte dagli Øjne e per puro caso Song #4 e Song #5 sono davvero il nucleo pulsante di questo EP. Probabilmente le tracce più riuscite, certamente le più ricche. Un violino ci fa entrare nella Song #4 mentre una poesia viene letta nella prima metà del pezzo. Il beat serrato che entra è accompagnato da voci che si avvicendano urlando in tedesco e italiano e portano alla chiusura del pezzo. Siamo alla Song #5, la mia preferita. La chitarra si fa presto dolce e l’urlato in russo è accompagnato da suoni sognanti. Poi al minuto 2:16 l’atmosfera più riflessiva è dominata da un giro di basso semplice e devastante. Trascina il tuo cuore giù sul pavimento, poi si movimenta e vieni lanciato in cielo per poi esplodere in aria.
Questa famiglia non è stata molto considerata, eppure è la famiglia che tutti vorremmo. Lo spazio libero di sperimentare, dove si trovano i gusti di tutti e per cui sei sempre adatto. Tutti i proventi dell’EP andranno a Mediterranea Saving Humans.

PS: Devo ammetterlo, in un brano ho suonato anche io. Ma voi fate finta di niente, per favore.