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Raccomandazioni #21 : i Floatie e il math morbido

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Un quartetto di amici di Chicago nel 2018 ha deciso di essere molto di più e formare una band. Il loro nome descrive come ti senti ascoltando il loro disco, fluttuante, sospeso, un galleggiante. Eppure dietro i testi, ricchi di ripetizioni come le musiche, qualcosa di reale e terreno sembra esserci. Dai loro social sono trovi collegamenti ad testi di introduzione al socialismo libertario, a identità e colonizzazione. Concetti morbidamente veicolati dentro il loro primo EP. I Floatie si sono sollevati dal loro galleggiare con il loro primo LP a marzo del 2021, Voyage Out, uscito per Exploding in Sound Records.

Inizia subito con il loro caratteristico ritmo singhiozzante in Shiny, parti ritmate si alternano ad aperture con chitarre sognanti. La voce pacata è quasi coperta dalle chitarre. Segue gli accenti, sembra uno strumento come gli altri. Fa da principio unificante fra i vari suoni. Infatti, mentre le chitarre, la batteria e il basso si inseguono, si alternano, si fanno l’eco in un botta e risposta continuo ma gentile, la voce riempie tra gli strumenti e da continuità.

In The Night al minuto 2:01 con due note ti introduce in un ambiente caldo e confortevole. È come sprofondare in un bagno caldo, per poco più di un minuto ci si ritrova in un atmosfera ovattata e accogliente che circonda la tua mente. Poi gli strumenti intrecciano di nuovo, il charleston in levare di questo finale mi ricorda un pezzo dei Diane and The Shell (bei tempi).

Il risultato è una sorta di smooth math, un ascolto piacevole ma probabilmente di esecuzione non semplice. Anche se loro preferiscono chiamarlo frog rock o frogressive. In effetti le chitarre hanno qualcosa del gracidare delle rane, lo stesso ritmo saltellante ha qualcosa di ranesco.

Il testo di Voyage out, che da il titolo al disco, è perfetto per un album di debutto. Si parla di buttarsi in acque aperte, cercare appigli, paure. Ma di certo i Floatie sanno bene dove stanno andando, almeno quando sono insieme.

Castleman sembra una serenata, una canzone da cantare sotto le stelle. Ogni tanto però la cuffia fa interferenza con un canale di valzer che subentra bruscamente. Ah no, sono sempre loro. Poi si conclude in continuità con l’intermezzo Ode to Shackleton.

Note piccole e precise scandiscono l’intero disco. L’unione vale molto più delle singole parti e, stratificandosi una sull’altra, l’efficacia è massima. Ascolto dopo ascolto Floatie con il suo suono fluttuante prende sempre di più. Con un ritmo ben battuto e mai banale, Voyage Out è un buon compagno di viaggio. Almeno per me lo è stato nella lunga traversata dal Nord a Sud Italia. Difficilmente un disco d’esordio sarebbe potuto essere migliore.