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Raccomandazioni #28: Iceboy Violet – The Vanity Project

di:

He said beauty is pain

And you look a real killer

He was looking at my figure

I was looking at his figures

Whispered in my ear

Down my spine sent a shiver

He said “Why don’t you come

And f*ck with a real n*gga

È la strofa che apre Vanity, primo singolo da “The Vanity Project” di Iceboy Violet. Seduzione brutale che si snoda in un’atmosfera ambigua: il machismo hip-hop strappato via dalla sua eteronormatività. Un attimo dopo Iceboy comincia a declamare la parola “vanity”, a corto di fiato, come se fosse una preghiera disperata. Tutto The Vanity Project, in un modo o in un altro, è così: ambiguo, minaccioso e disperato.

Abbiamo sentito il flow di Iceboy Violet nei due dischi di musica elettronica più belli usciti dall’Inghilterra nel 2021: “Reflection” di Loraine James e “im hole” di aya. “The Vanity Project” è il suo mixtape di debutto: cresciut* come MC nella scena underground di Manchester, facendosi le ossa con mille show al the White Hotel (autentico incubatore delle sperimentazioni cittadine), Iceboy si fa produrre queste sette tracce da un parterre di ospiti: pesi massimi di Manchester come Space Afrika e la stessa aya (sotto il suo pseudonimo LOFT), ma anche gente come il produttore floridiano Nick Leon, il kenyota Slikback e il finlandese Exploited Body.

Un sacco di anime musicali diverse per un prodotto estremamente coeso, che vede il suo spirito comune nell’ambiguità di cui parlavo sopra. La musica su cui Iceboy rappa è una lontana memoria del grime, ridotto a ferraglie taglienti. Ma sono macerie che appaiono lontane e opache, come attraverso una caligine di fumo densissimo, come attraverso un dolore che anestetizza. Di tanto in tanto il fumo si dissolve e scariche di rumore ti lacerano la pelle, all’improvviso. Il campione vocale sotto Urban Ambience è quasi un fantasma di UK drill, ma sussurra da lontano, sotto percussioni distorte e cataclismi di un istante. Lilith parte come un arpeggio di Lee Gamble per sfociare in un oceano di sincopi decostruite, una versione sporchissima della sopracitata Loraine James, mentre l’ospite Blackhaine è a un passo dal mettersi a urlare. DEATHDRIVE è un industrial/grime rumorosissimo su cui Iceboy scandisce il suo flow sull’orlo della disperazione (e meno male che grida “I’m still alive”).

Il rap di Iceboy Violet è fatto per metà di monologhi che ricordano le spoken vocals sull’album di aya, e per l’altra metà di metriche contorte, anch’esse oscillanti tra vulnerabilità e abrasione, tra rabbia e stordimento da sonnambulo. è un’altra faccia dell’hardcore continuum britannico, la stessa che si sentiva quindici anni fa nella metropoli onirica di Burial: lo sporco della città filtrato attraverso un riverbero innaturale – Urban Ambience, per dirla con Iceboy.

“The Vanity Project” è uscito per 2 B Real e potete ascoltarlo qui.