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Raccomandazioni #45: brakence – “hypochondriac”. Musica dell’ansia e del desiderio.

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L’edonismo è sempre stato al centro della cultura pop giovanile, ma ha preso forme diversissime lungo la sua storia. Negli anni 60 è stato celebrato come un grimaldello per scardinare l’ordine politico della società – esplorazioni psichedeliche, rivoluzione sessuale eccetera. Negli 80 è stato raccontato come l’esatto contrario: il godimento yuppie diventa abbraccio dello status quo. E nell’epoca degli zoomer? L’edonismo sembra adesso un proxy per l’ansia, un abbandonarsi a piaceri materiali che però non fanno altro che perpetuare uno stato di disastro emotivo. Lo si vede in serie come Euphoria, e pervade l’angoscia sbrillucicante di TikTok. Se le cose stanno così, la musica di brakence è la rappresentazione plastica di quel disastro.

brakence è un ragazzo di 21 anni, che si ossessiona sui synth e i beat sin da quando era un bambino. Ha fatto uscire un po’ di EP e un album che gli ha guadagnato un seguito affezionato di ragazzini emozionabili e nerd del beatmaking. “hypochondriac”, uscito a fine 2022, è probabilmente il disco che lo farà esplodere definitivamente.

L’album è un ottovolante emotivo, un continuo sbandare tra le vanterie dei peggiori rapper e l’abisso dell’auto-deprecazione. brakence prende un sacco di droghe, che però lo fanno solo stare peggio. Si vanta delle sue abilità di scrittura e composizione, ma un attimo dopo sente che la carriera musicale lo sta intrappolando, e che non vorrebbe essere vivo. Coltiva ossessioni amorose e sessuali verso ragazze e ragazzi, ma nel verso successivo non vuole avere un cazzo a che spartire con nessun*.

La musica che innerva le sue ossessioni e ipocondrie, che scorre come corrente elettrica dentro un caos di citazioni da nerd e sample presi da internet, è esattamente incasinata come (presumiamo) la vita di brakence. Sulla carta è un mischione di emo rock, trap e frenesie hyperpop – quel tipo di marasma sonoro che è cresciuto inesorabilmente dentro le camerette degli americani negli ultimi dieci anni, il flusso digitale in cui gli American Football emergono fuori dalla stessa corrente che ti infila nelle orecchie SOPHIE e Mac Miller. Questo mischione è però incessantemente modulato, scosso e devastato. Tutto glitcha, la voce cambia pitch istericamente, le percussioni si contorcono e un attimo dopo si strappano. brakence è un virtuoso della composizione e della produzione – che si tratti di suonare intricate linee di chitarra emo-math, o tirare fuori batterie che suonano come una creatura aliena (parole sue).

Tutto questo, però, suona incredibilmente pop – e probabilmente “hypochondriac” è il disco con più appeal “commerciale” che io abbia mai raccomandato in queste pagine. Che sia la frenesia ossessiva di caffeine, l’emocore del futuro di intellectual greed o il capolavoro venus fly trap, ogni traccia di brakence riesce a colpire tanto l’immaginazione artistica quanto gli organi molli del bisogno di pop.

Nella seconda metà di hypochondriac brakence ha un po’ scoperto le carte: il senso di sorpresa è minore e la qualità delle canzoni forse ne risente un po’. Il suo frenetico malessere può tranquillamente irritare – Anthony Fantano ha un po’ distrutto il disco proprio perché malsopportava i testi. Resta che hypochondriac mi ha colpito tantissimo e pure un po’ ossessionato. È musica che suona “futura”, irrequieta, che trasmette disagio tossico e allo stesso tempo richiama il desiderio. Una rappresentazione dell’edonismo oggi, appunto.