...
...

Abbiamo la risposta: coriaceo, sensibile e dilaniante, Heavenly Blue

di:

Un nome che da serenità, che rilassa, ti fa immaginare cieli luminosi e pacifici. Questo sarebbe l’ “azzurro celestiale” se poi non fosse anche il nome degli Heavenly Blue (o Heavenly Blue Intl.). Band dal Michigan la cui ultima uscita fornisce più turbamento che relax, ma se si chiudono gli occhi è possibile vivere quelle degli Heavenly Blue come delle acque in cui farsi trasportare.

Una rara formazione a sette, con tre chitarre, un basso, una batteria e due voci. Con Chun (chitarra) e Riley (basso) provenienti dalla precedente esperienza degli Youth Novel. Il titolo del disco è un affemazione chiara We Have The Answer. Bisogna porre l’accento su noi per avvertirne il senso, la risposta forse non la conosciamo davvero ma sta nel fatto che la possiediamo noi e non i singoli che creano questa collettività. Ed è così che si sviluppa We Have The Answer, un lavoro di scrittura collettiva, unione e condivisione tra i membri della formazione, da intendere come una comunità. Forse anche qualcosa in cui credere, come può evocare il rito in copertina e la croce che lo affianca.

 Screamo in senso lato, perché la tendenza al post-hardcore, con parecchi breakdown qua e là, e suono catartico e rumoroso posizionano questa uscita in uno spazio a sé. Complice anche la cura del suono, con le chitarre e basso tiratissime tra distorsione e riverbero. La batteria che non riposa mai. Come definiscono i membri stessi, hanno cercato di fare “Qualcosa di forte e di esplosivo, ma che dia speranza e sia viscerale”. Il primo singolo Certain Distance, pubblicato per una compilation dell’etichetta Secret Voice, guidata da Jeremy Bolm dei Touchè Amorè, mostra tutto questa definizione. Inizio esplosivo, poco dopo l’incipit si apre ad un momento di stasi, le chitarre si arrampicano su una salita e poi l’inevitabile esplosione. Ma nulla è mai scontato, ogni brano mostra un elevata dinamica e raramente si fa in tempo ad abituarsi a ciò che si sta ascoltando. Gli esempi sono lungo l’intero album di 11 canzoni, come Davos con cui si apre il disco, Pando da cui emergono anche chitarre dai suoni più crdi ed esili che ricordano le sonorità dello screamo anni ‘90. Ecco, questo è un riferimento chiaro della band, di cui Static Voice Speaks to Static Me è un esempio pronto ad essere cantato nel mezzo di una folla in agitazione. Il riferimento alla vecchia scuola è presente, anche se ampliato dalle possibilità di una formazione così ampia e la cui espressività è potenziata dalla presenza delle due voci. Elemento non trascurabile del disco è proprio l’alternanza delle cantanti Juno e Mel, dai due timbri radicalmente diversi, forniscono sfrenatezza e struttura all’ascolto e coprono uno spettro di emozioni degno di anni di sedute dallo psicologo.

Heavenly blue mostra tutta la maturità delle idee chiare, tutta la forza di chi è nel pieno degli anni e delle forze (commento da vecchio, lo ammetto). Non puoi attravesarlo senza esserne intaccato.