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Dell’imprendibilità: raccomandazioni di metà anno

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Da buon segaiolo qual sono, spesso mi fermo a riflettere su cosa renda certa musica più attraente alle mie orecchie: perché torno di continuo a certi dischi, mentre altri, che pure mi piacciono, finiscono presto nel mio dimenticatoio?

Nella mia storia di ascoltatore ricordo svariati esempi di album che suonavano respingenti alle mie orecchie, ma che per qualche ragione mi chiedevano di tornare ad ascoltare. Uno di questi ricordi ha a che fare con la prima volta che ho ascoltato Depressione Caspica dei CCCP (avrò avuto 13 anni): mi faceva schifo, ma avevo voglia di rimetterlo su, riprovare quella sensazione aliena, finché non ho finito per innamorarmene.

L’imprendibilità, a conti fatti, è una delle cose che cerco nella musica: la qualità di un disco che non si fa contenere dalla mia attenzione, su cui non riesco a mettere il dito. Il modo in cui certa musica sembra continuamente puntare a direzioni altre, lontano dalla mia esperienza. Nel mondo dello streaming, va detto, l’imprendibilità ha anche dei rischi: finisco per entrare in mille tane del bianconiglio, mosso unicamente dalla curiosità, e perdo un po’ la voglia di ascoltare musica per “sentirmi bene”. Quest’anno sta andando un po’ così.

Comunque sia, oggi parlerò di un po’ di dischi che ho ascoltato negli ultimi mesi e che, in modi differenti, sono accomunati proprio dall’imprendibilità.

Comincio da “Baleine à Boss”, esordio di Violence Gratuite. Artista multimediale franco-camerunense, Violence esce su Hakuna Kulala (di cui parlo spesso, a proposito e sproposito) con un disco che, a quanto dice la sua bio, è stato prodotto dopo poche settimane di uso dei software musicali – altra cosa che, per inciso, mi fa rizzare le antenne quando cerco musica nuova. Non so se sta cosa sia vera, ma il suo album suona effettivamente molto naif e, allo stesso, tempo, intelligente e penetrante – la musica di una persona che non conosce bene i mezzi ma che ha idee chiarissime. “Baleine à Boss” è una raccolta di canzoni/filastrocche sospese tra elettronica povera, richiami folk (soprattutto nelle percussioni e nei cori), sporcizia post-punk e grande sensibilità pop: ne viene fuori roba come Iséo, che al momento è la mia canzone del 2024.

Dai richiami al Camerun ci spostiamo in Sud Africa, nella fiorentissima scena di Cape Town, per parlare del nuovo album di Ange Madame, prima d’ora nota come Angel-Ho. Parliamo di una musicista più esperiente, fondatrice del collettivo NON e autrice del bellissimo “Death Becomes Her” qualche anno fa.

Questo nuovo disco, simbolicamente chiamato “Birth Becomes Her” segue un altro album uscito ad Aprile, “Stain”, del quale è il gemello, ehm, ancora più imprendibile. Si tratta sempre di un tentativo di schiacciare un casino di cose diverse – suoni, rumori, beat “da club” con mille virgolette – dentro una confezione di pop addirittura ballabile. È un disco che, ascoltato distrattamente, dà il mal di testa, ma che contiene canzoni memorabili, dal trip-hop narcotico e imparentato al folk di Like Water all’esaltante synth punk di Bug.

Il disco esce per Jacomina e potete comprarlo qui.

Anche “Sentir que no sabes” di Mabe Fratti alle mie orecchie è “tanto”: è pieno di cose, che vengono usate per costruire “canzoni” in qualche modo standard, ma dalle quali tracimano continuamente pezzi, idee e spunti: nelle note al disco, Fratti parla, non a caso, di “superimposition”. La violoncellista/cantante/tantealtrecose messicana porta le sue influenze classiche e sperimentali dentro una raccolta di canzoni che, in tutta la loro ricchezza ed eccentricità, riscaldano comunque il cuore. Magari per voi non c’entra un cazzo, ma a me dà sensazioni simili all’ultimo celebrato Beth Gibbons – solo che mentre la complessità orchestrale di quel disco mi dà sentimenti difficili da digerire, Mabe Fratti riesce a darmi emozioni più positive. “Sentir que no sabes” esce per Tin Angel Records, Meat Machine e Unheard of Hope, e potete comprarlo qui.

Per gli ultimi due dischi di questo mese torno qui in Sicilia, dove mi sciolgo dal caldo e rubo lo stipendio già da un mese al momento della scrittura. I lavori scritti di getto in risposta al genocidio palestinese sono ormai tanti, uno dei fenomeni più vitali della scena musicale del 2024. Cesare Basile ha contribuito con un disco obliquo, per niente ovvio né didascalico. “Saracena” è una quasi una suite, composta da brani diversi che però costituiscono un flusso continuo e spettrale. Tanto nella musica quanto nelle parole c’è un continuo tenere insieme il folk di questo e di quel Mediterraneo: C’è na casa rutta a Notu rilegge l’esperienza della Nakba alla luce della cacciata degli Arabi dalla Sicilia. Sopra, ho usato spettrale non a caso: dentro le atmosfere del disco si prova un senso di perdita e di sospensione che un hipster potrebbe definire hauntologico, ma che non guarda a tempi scomparsi che persistono, quanto piuttosto alla realtà dell’esilio e – parola che ritorna nel disco – della spartenza. Esce per Viceversa e potete comprarlo qui.

Termino con un album anch’esso pieno di temi pesanti, ma dal suono più positivo e rinvigorente. “Undeclinable Ways” dei miei concittadini Partinico Rose sta facendo parlare un po’, a partire dalla sua uscita per Earache fino alla sua, ehm, raccomandazione nel programma radio di Iggy Pop. È un album che cerca di discostarsi dal trend neo-neo-neo post-punk (che è anche il retroterra dei Partinico) a colpi di chitarroni grunge – quel grunge dalle radici più punk, spogliato da influenze hard rock classiche (loro citano Tad e Mudhoney, ma io ho pensato anche ai Nirvana). Rimane una voce dall’emotività figlia di Robert Smith, che convive bene con lo sporco viscerale delle chitarre. Potete comprarlo qui.

Per questo mese, finisco di raccomandare dischi e raccomando al Signore la mia anima e la mia sopravvivenza al riscaldamento globale, che qui pare proceda 5 volte più velocemente della media. Buona estate, e che l’imprendibilità vi salvi dalle mail lavorative.