Come molti viaggiatori ho visto più di quanto ricordi e ricordo più di quanto ho visto.
(Benjamin Disraeli)
di: Marisa Mattei
Dove eravamo rimasti?
Precisamente a Galway, con la fine della prima parte del mio viaggio di ritorno in Irlanda post pandemia, nell’ottobre del 2021.
Logica impone che a quel pezzo seguisse una parte seconda, conclusiva, ma poi è successa una cosa che si chiama PROCRASTINAZIONE e quindi eccoci arrivati a luglio 2022.
Quasi un anno di silenzio, che per quanto mi riguarda è sempre preferibile allo scrivere male o a scrivere stronzate.
Dunque, cosa ho fatto in questi mesi magari lo scriverò un pò più in la ma adesso voglio scrivere e raccontare una cosa bella, fresca fresca.
Dopo due anni di pessimismo, fastidi e rinvii è tornato il Firenze Rock, una ventata di aria fresca che aspettavamo tutti come un acquazzone estivo quando fuori ci sono 40 gradi.
La mia sveglia suona alle 5 di giovedì 16 Giugno e mentre faccio colazione guardo dalla finestra di casa mia l’Etna che fuma.
Si, vivo a Ragusa ma sto all’ultimo piano di un condominio nella zona più “alta”, pertanto nelle giornate di cielo limpido e sereno riesco a toccare l’Etna con il dito della mia fantasia.
Il mio volo è in partenza da Catania per le nove quindi so che dovrò fare un’ora e mezza di strada per arrivare in aeroporto con un margine di tempo che non metta ansia, la vita amara di chi vive e vuole viaggiare da e verso quest’angolo di Sicilia “babba”.
Per strada nessuno problema, nessuna deviazione neanche troppi mezzi pensanti che rallentano il traffico: arrivo a Catania, lascio la macchina e la navetta mi accompagna in aeroporto.
Volo in perfetto orario, le condizioni meteo sono ottimali, arrivo a Pisa e da li mi sposto a Firenze in treno.
In Toscana ho vissuto due anni, quando ero una giovane studentessa di belle speranze e nessuna esperienza, la combinazione vincente per il fallimento.
Infatti, alla fine, non mi sono mai laureata.
Conosco bene Firenze e appena arrivata vado a prendere possesso del mio posto letto in un ostello vicino alla stazione centrale.
Due sono le cose certe a questo mondo: la morte e il caldo umido dell’estate Toscana. Fuori la temperatura non è elevata ma il tasso di umidità fa percepire una calura che è prossima all’inferno.
Decido quindi di recuperare le forze, vista l’alzataccia, e passare il pomeriggio al fresco della mia camera.
Dopo il pisolino ristoratore sono pronta per affrontare il caldo, esco e mi dirigo verso le Cascine, all’Arena del Visarno.
Per strada in questi giorni è facile identificare il popolo del rock, c’è chi passerà l’intero fine settimana in città per godersi le quattro serate di Festival per intero o chi, come me, ha a disposizione una sola sera… ma se la godrà.
La linea 1 del tram ci porta dalla Stazione Centrale fino alle Cascine, da li si prosegue a piedi verso gli ingressi di colore diversi in base al biglietto: servizio d’ordine e controlli filano lisci ed entriamo senza problemi.
La moltitudine di partecipanti è eterogenea: ci sono famiglie, ragazzini, e persone non più “di primo pelo” come me.
Siamo tutti tatuati, colorati e accaldati ma siamo felicissimi di stare insieme, all’aperto e senza restrizioni. Qualcuno indossa la mascherina ma solo per, legittima, scelta personale.
Il caldo è asfissiante, ci sono molte postazione della Croce Rossa, della Misericordia e del servizio d’ordine interno, dislocate in vari punti per l’assistenza al pubblico: i colpi di calore vengono combattuti a colpi di idrante e getti di aria nebulizzata.
Finalmente, verso le 20, il caldo inizia a dare tregua e sul palco salgono i Weezer, gruppo Losangelino in auge negli anni 2000.
Sono loro a scaldare gli animi, anche quelli della Generazione Z, con tutto il repertorio di vecchi successi, da “Hash Pipe” a “ Island in the Sun”, e nel mezzo buttano pure qualche cover ben fatta come “Africa” dei Toto.
Suonano per circa un’oretta, salutano il pubblico a vanno via.
I Green Day, il “Main Event” che tutti stiamo aspettando, salgono sul palco alle 21:50 in punto come da programma e tirano dritti come un treno per un’ora e trenta.
I tre cinquantenni Californiani sono in splendida forma, la scaletta è una perla di successi dopo l’altro.
Billie Joe Armostrong, dal palco saluta l’Italia e Firenze: “Finalmente siamo qui, abbiamo aspettato due anni!” – dice rivolgendosi al pubblico – “Grazie per la vostra pazienza!”.
E poi è una carrellata, da American Idiot, Holiday, e Boulevard of Broken Dreams fino alle più vecchie ma sempre “croccanti” Longview, Basket Case e Hitchin’ a Ride, pezzi che hanno trent’anni e ne dimostrano la metà.
Due fortunati tra il pubblico realizzano il sogno di tutti, salire sul palco e cantare insieme a Billie che è un vulcano, uno dei due si porterà a casa pure una chitarra, almeno per lui UNA GIOIA.
Verso la fine, arriva l’immancabile “Wake me up when September ends”, dedicata al padre, cantata con la voce rotta e gli occhi lucidi e per chiudere la bellissima e sempre verde Good Riddance (Time of Your Life).
Siamo tutti sudati, impolverati e puzziamo di rock e birra ma siamo felici da fare schifo: loro ringraziano il pubblico a fine serata mentre i fuochi d’artificio esplodono dietro il palco e illuminano la notte di Firenze.
Adesso dovrei raccontarvi della parte del ritorno a casa ma mi limito a dire che il giorno dopo, Venerdì 17 Giugno, è sciopero nazionale dei trasporti pubblici.
Ora, quante Divinità e quanti Santi conoscete? Vi assicuro che io ne ho nominati più di voi.
Ma alla fine cielò fatta: Missione per conto del Rock, portata a casa!