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Il pensiero laterale di Fabio Magnasciutti

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Caro, Barthes, questo benedetto punctum, lo devo trovare.

Lo cerco ovunque intorno a me, da quando ho letto i tuoi saggi sulla fotografia. Maledizione! Nella realtà ci entro come una macchia di Rorschach, alterandomi dentro lo spazio e il tempo alla ricerca della giusta prospettiva per poter ammirare da vicino idee e personalità fuori da un cliché. Questa volta poso attentamente il mio sguardo su Fabio Magnasciutti, lui emerge con la sua spietata franchezza. Beviamo un caffè seduti sul ventre di Trastevere, accanto alla scuola d’illustrazione che lui stesso ha creato, officina  B5. Parliamo!

Eccolo il puncutum di questo pezzo: tutto quel che verrà fuori da questa intervista sarà la foto di un uomo, un illustratore, un vignettista straordinariamente efficace in grado di passare attraverso il pensiero collettivo, anche il più inflessibile, usando entrate alternative mai scorciatoie prepotenti. Come lui stesso sottolinea: “il mio è un approccio laterale, mai frontale.”

Mi racconta di un’infanzia segnata da particolari problemi di salute. Non dice quali. Non permette ad alcuna sfumatura di emergere. Ed ecco che la Signora Nevrosi Fobica appare alle mie spalle, sento il suo fiato sul collo. L’educazione è sempre stata dentro di me e come una creatura famelica, anche in questo caso, tira fuori i denti per sbranare la mia curiosità. Dunque, mi fermo non posso chiedere di più. 

Si sposta il mio pensiero verso Victor Turner, ci siamo conosciuti all’Università, lui ritorna sempre  e vive attraverso la sua incomparabile definizione di crisi e drammi, momenti fondamentali per via dei quali emergerebbero nuove unioni simboliche utili a ridisegnare la realtà, che sia la propria o quella della collettività.

Qui, fra questi confini, quasi sempre nasce l’arte. Fabio infatti, durante una “crisi” inizia a disegnare. Apre la porta al suo Io accompagnandolo verso la cura, regalandogli l’espressione di sé, permettendogli la disobbedienza al mutismo. L’arte lo aiuta a scomporre e ricomporre sulla carta: pulsioni, paure, angoscia ed idee che altrimenti resterebbero lì a dargli del filo da torcere. Nella sua cameretta posizionata all’ingresso del Paradiso privato, sulla cima del Purgatorio, c’è un bambino che inizia a creare molto presto, perché è necessario. Si sente sicuro in quel luogo. Lì, infatti, non c’è l’oblio, c’è la calda luminosità scatenata dell’apprendimento sociale, dalle esperienze e della memoria che muove la voglia di creare. Punto!

Spesso, mentre la sua fantasia è in moto, suonano i Joy Division, i Bahuaus… La musica emblema della feconda immaginazione è così importante per Fabio da esserci sempre stata nella sua vita. Ha formato un gruppo, “Her Pillow”, ha nutrito mente e corpo con la musica. Ci tiene infatti a dirmi che: “i suoi studenti li spinge continuamente alla ricerca di un forte senso di appartenenza al di là del quale non potrebbero esistere veramente, e se nulla di quello che circola in giro attira la loro attenzione, allora dovrebbero subito provare a creare qualcosa. “Non ti piace la musica che c’è, allora devi farne una tua” e aggiunge “questo vale in ogni settore…”.

Chiedo se la satira può agire  in maniera diretta scarnificando l’epidermide di due mali sociali: l’indifferenza e la cattiva educazione?

Risponde che: “il meccanismo non è così semplice in quanto nessuna satira al mondo potrebbe aiutare a scardinare la mancanza di empatia. Educare le nuove generazioni è la soluzione reale. Solo così potrà svanire l’indifferenza che ormai sembra avere una certa posizione alla base della collettività. L’indifferenza così nociva. Si tratta di una posizione particolare perché è proprio da lì che possono scaturire certi comportamenti sociali negativi, gli stessi che diventeranno determinanti per la società.

Quando disegni rispondi ad impellenti necessità dettate dalla realtà, da quello che senti e vedi intorno a te, dal tuo bagaglio di esperienze interiorizzate. Questo viene fuori dal tuo racconto… 

“Sì, succede esattamente così. Parto da una parola o da un’immagine senza avere mai uno schema preciso. Può essere, ad esempio, una richiesta di aiuto a suscitare la mia reazione. Non posso girare la testa dall’altra parte, osservo quello che succede per poi creare un’illustrazione, una vignetta. E’ una necessità, la mia. Non resto in silenzio, l’istinto immediato è quello di scatenare l’attenzione collettiva e lo faccio attraverso la mia arte. Così anche un fatto di cronaca si fa strada nella mia testa. E’ successo anche quando ho letto dei bambini uccisi a Gaza”.

La pandemia ha svelato numeri da brividi riguardo la violenza sulle donne. La via d’uscita sembra totalmente sbarrata, cosa si potrebbe fare per trovare la chiave del cambiamento?

“Smettere di muoversi ed agire come se fossimo soli in questo mondo. Quando fai qualcosa di sbagliato tutto ricade inevitabilmente sull’intera collettività. Intaccare una forma culturale che ancora riconosce un capofamiglia, un patriarca, richiede un grande sforzo. In ogni caso bisognerebbe insegnare agli esseri umani il valore dell’empatia per poter donare loro la capacità di calcolare il livello di gravità legato all’indifferenza. L’importante è alzare, moltiplicare il livello d’attenzione facendosi spazio dentro le teste creando almeno un dubbio!”.

Insomma, niente illusioni. L’oblio non è concesso. Le vignette di Fabio Magnasciutti non offuscano i pensieri, anzi… la realtà, seppur con delicatezza, la devi guardare in faccia perché non può cibare la mente con le illusioni. Del resto non siamo dentro un racconto, né sull’isola dei Lotofagi, a Djerba. Non c’è Ulisse a salvarci dall’oblio, c’è l’arte però che mette in moto il nostro pensiero logico.

A point of view creates more waves… ”cantava  Ian Curtis. Guardando le vignette di Magnasciutti, il senso che passa è proprio questo: immagini, parole, concetti creano un punto d’osservazione come quello di Fabio su un certo aspetto della realtà. Si muove fra guerre, disegna prospettive sull’immigrazione, si esprime sulla libertà di espressione, rappresenta sensazioni quotidiane dell’anima, inquadra la vita in ogni suo aspetto. Definisce linee visive parlanti. Nasce l’onda, quella che si muove dentro le teste degli osservatori e spinge al confronto, al ragionamento, all’empatia verso un pensiero, un fatto, un momento storico e lo dimostrano i tanti commenti alle sue vignette sui social. 

Finiamola così. Inutile dirvi chi è Magnasciutti, basta fare un giro sul web per scoprirlo. Non importa con chi abbia lavorato e, credetemi, il suo è un lavoro molto grande ed imponente, importa solo che la sua arte abbia un senso, un ruolo, “un punto di vista laterale“ per dirla alla Fabio.