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Una strage del 1921

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Esce per i tipi di Sicilia Punto un lavoro di Giovanni Criscione che per la prima volta fa luce – per quanto possibile, ma sicuramente nella maniera più esaustiva – su quel che è accaduto a Modica il 29 maggio del 1921, ovvero la strage di Passogatta, un agguato fascista ad un corteo di socialisti che rientrava dal raduno in campagna dove diversi oratori avevano intrattenuto il numeroso pubblico, composto da lavoratori e dai loro familiari.

Quell’assemblea tra i campi si era resa necessaria visto il clima di violenza fisica che i fascisti avevano instaurato nella città ed in tutto il suo circondario. I sindaci e le amministrazioni socialiste di quasi tutti i comuni di quella che diventerà la futura provincia di Ragusa erano stati costretti, sotto la minaccia delle armi, a dimettersi; le sedi dei partiti di sinistra e delle leghe contadine erano state assaltate, incendiate distrutte. Morti e feriti si erano già verificati, sempre in campo socialista, a Vittoria, Comiso e Ragusa. In tutti i casi, i responsabili delle violenze non erano stati toccati, ma mantenuti sotto l’ala protettiva di polizia, carabinieri e magistratura, mentre tra le vittime erano stati sempre individuati soggetti da denunciare e a cui addebitare l’accaduto.

La Sicilia Sud Orientale era nel mirino dei fascisti per via della forza raggiunta dal movimento socialista e sindacale, per le conquiste che aveva strappato alle classi dominanti; e tutti questi “morti di fame” che alzavano la testa avevano indotto la borghesia agraria, i banchieri, l’alta borghesia imprenditrice o dedita alle libere professioni, a finanziare squadre fasciste senza scrupoli. In questo territorio costoro non avevano i gabellotti o i campieri a fare il lavoro sporco come accadeva in altre province dell’isola, dove la mafia era schierata a difesa dei ricchi possidenti contro le masse contadine ed operaie. In territorio ibleo era necessario mettere in piedi le milizie armate, raccattando la peggiore feccia presente e disponibile, tanto che il fascismo ibleo può essere considerato, per efferatezza, al pari di quello romagnolo.

Quel 29 maggio a bloccare il passo della colonna socialista c’erano i militari, ma sui balconi delle prime case di Modica Alta erano appostati gli squadristi, che non esitarono a sparare nel mucchio provocando il panico, la morte di 9 persone e il ferimento di svariate decine.

I socialisti volevano sfidare quel clima di violenza, e non si fidavano della forza pubblica, alcuni fra i presenti erano per prepararsi ad uno scontro armato, i cui segnali quel giorno stesso erano stati evidenti. Ma era prevalsa la logica della fiducia e un ottimismo purtroppo smentiti dai tragici fatti.

Il sottotitolo del lavoro di Giovanni Criscione è “Un caso irrisolto di cento anni fa”, e questa è la chiave del suo lavoro, che potremmo anche definire un’inchiesta tra le carte processuali, gli articoli di giornali, le testimonianze attraverso le quali si evince la complicità di forze dell’ordine e magistratura, l’intorbidamento delle acque, la scomparsa delle prove affinché quella strage rimanesse impunita, o addirittura passasse alla storia come il frutto di uno scontro violento provocato dai socialisti contro inermi “cittadini”.

Non è stato né l’unico né l’ultimo degli eccidi del periodo, in Sicilia come altrove, finito senza colpevoli, grazie ai quali è stata spianata la strada al regime fascista.

Il libro di Criscione è prezioso non solo per la puntigliosa disanima dei fatti del 29 maggio, ma per l’accurato studio del contesto storico generale e locale; per la descrizione di luoghi e personaggi coinvolti nella strage; per la messa a fuoco dei depistaggi e delle manipolazioni che hanno permesso per 100 anni che un episodio così tragico e oggettivamente importante, potesse rimanere avvolto nel mistero. Infatti lo stesso numero dei morti, i loro nomi, le loro biografie, sono stati avvolti nel dubbio e nell’oblio e qui faticosamente ricuciti e riconsegnati alla memoria storica, come atto di verità e di giustizia, in un periodo storico come l’attuale in cui da più parti, compresi scranni ministeriali, si cerca di ridare lustro a quegli anni, di revisionare la storia e riconfezionare il fascismo ad uso e consumo della borghesia reazionaria odierna. Un’operazione ad ampio raggio che passa dalle scuole alle forze armate, dalla toponomastica all’editoria, dalle carceri ai tribunali, dal razzismo antimigranti a certe proteste di piazza ben pilotate, a volte spudorata, e per tanto, visibile e confutabile, altre volte subdola e quindi tanto più pericolosa.

Libri come questo di Giovanni Criscione rappresentano i mattoni del muro che l’antifascismo oggi deve alzare contro i nuovi agguati, forieri di altre e sempre possibili avventure dittatoriali.