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Un movimento poetico oltre la linearità del tempo: la danza di Agnese Forlani, intervistata per Tracce di Luce

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Sesta intervista di Enrica Orlando/Rubricosa alla danzatrice Agnese Forlani per Tracce di Luce.

Agnese, ci racconti un po’ di te? La tua vita, la tua arte e cosa ti ha portato a Castelnuovo?

Dunque, io ho avuto una formazione da danzatrice. Dopo il liceo mi sono trasferita prima a Milano, dove ho iniziato a studiare danza contemporanea e poi, per un bachelor (sempre in danza contemporanea) in Belgio, dove sono rimasta per gli ultimi cinque anni. Già dagli studi ho capito che mi interessava il mondo della coreografia e della ricerca, per questo sto seguendo un master per sviluppare un mio progetto.

In Belgio ho conosciuto Emidio, (Ranieri, del CISAV n.d.a) uno degli organizzatori del festival, che mi ha invitata a partecipare alla open call. Così, affascinata dal venire a lavorare in un luogo nuovo e dove potevo essere a diretto contatto con la comunitá, ho deciso di provarci.

Cosa ti ha affascinato di Moulin?

Di Moulin mi ha subito affascinato il suo lavoro sulla luce e il fatto di aver lasciato una traccia così sincera e particolare nelle vite degli abitanti di Castelnuovo. 

Come è stato l’impatto con il Molise e l’esperienza in residenza?

L’impatto con il Molise… all’inizio avevo paura che il Belgio mi avesse “nordizzato” troppo e di non essere capace di stare in un ambiente conviviale e schietto come quello del paese. Poi mi sono dovuta ricredere perché mi sono trovata completamente a mio agio nello scambio quotidiano con tutte le persone presenti al festival. Ho goduto immensamente della vista delle montagne e della natura in generale, mi sono immersa nelle dinamiche della piazza e mi sono quasi sentita parte della gang dei ragazzini. La residenza in sé é stata molto inaspettata, avevo un piano che poi si è naturalmente stravolto. Ho cercato ogni giorno di stare attenta a quello che mi succedeva. I dialoghi, le immagini, i suoni e la musica incontrati durante quei giorni sono state le cose che poi hanno dato forma alla performance che ho presentato. Poi lo scambio e le amicizie nate con gli altri artisti hanno reso l’esperienza ancora piú bella e arricchente. 

Prima di parlare della tua performance, sono curiosa di chiederti un po’ del laboratorio che hai tenuto nei giorni di residenza: era la prima volta che lavoravi con i bambini? Che differenza c’è secondo te con gli adulti?

Devo ammettere che all’inizio non avevo pensato a quanti bambini avrebbero partecipato, avevo preparato un laboratorio sull’improvvisazione che richiedeva molta attenzione. Poi però mi sono accorta che i bambini erano capacissimi di stare al passo e anzi hanno portato tutto un livello immaginativo che a volte manca agli adulti. Il laboratorio si è focalizzato sull’improvvisazione di gruppo, in cui bisogna stare attenti a tutto quello che ti circonda, al saper vedere delle immagini poetiche anche nei movimenti più banali. (Agnese ha tenuto un laboratorio pomeridiano nella piazza di Castelnuovo dove i presenti erano invitati a muoversi nello spazio più o meno liberamente n.d.a)

3. Anche io ho partecipato al tuo laboratorio e ricordo che a un certo punto ho chiuso gli occhi e non mi sono neanche resa conto fosse finita la performance. Si può dire che la danza -intesa in questo caso letteralmente come gestione del corpo nello spazio-aiuta a alienarsi? O è forse l’opposto, aiuta a essere molto più presenti a se stessi?

Penso che ci sia un costante dialogo sulla danza che avviene dentro al proprio corpo e la danza che avviene attorno a noi. Il punto è proprio allenare la capacità di far dialogare questi due sguardi, necessari sia a sapersi ascoltare internamente, sia a saper ascoltare ciò che ci circonda. 

4. Come e quanto ti è servito il laboratorio per la tua performance?

Diciamo che il laboratorio non era strettamente legato alla performance, il corpo però si nutre sempre, per cui quell’esperienza era di sicuro “embodied” (incarnata, incorporata n.d.a.) anche durante la performance di venerdì.

Poi mi sono resa conto che mi piacerebbe in futuro creare una performance con i partecipanti proprio a partire da dei laboratori, così da coinvolgere altre persone, oltre che me stessa, nel diventare performer di un pezzo che parli proprio di loro stessi. 

5. Ci racconti la tua performance?

La performance è nata da una traccia audio che ho realizzato facendo una serie di registrazioni con uno´zoom recorder´ nei giorni di residenza. Ti chiederai: “perché una danzatrice lavora con il suono?” Il mio piano era di fare dei ritratti, partendo da un elemento audio. Così ho registrato dei dialoghi con delle persone del paese, i suoni della natura e di Castelnuovo, le voci dei bambini mentre mi portavano in un’escursione tra le zone più abbandonate del paese e dove solo loro ancora vanno e giocano.
Mi sono ritrovata con tantissimo materiale che poteva raccontare non solo delle singole persone, ma anche del paese in sé. C’erano parti di dialoghi in cui veniva citato in modo molto naturale e inconscio Moulin e ho notato che c’erano delle connessioni tra la sua vita e la vita dei Castelnovesi. Valeva la pena raccontarlo. La traccia è stata la base per la performance in cui mi muovevo in un modo molto semplice rivivendo attraverso il mio corpo le voci e i suoni, svelando mano a mano degli oggetti che erano legati proprio a quello che veniva raccontato.

L’impressione è che tu usi il corpo e il movimento, per entrare in rapporto sinergico con lo spazio: assorbi quello che c’è e restituisci a modo tuo quello che hai ricevuto, nel modo in cui lo hai percepito. È corretto? Se è così, ti va di spiegarlo meglio?

Penso che sia proprio così. Il corpo, attraverso il lavoro con la danza, diventa cosciente di quanto sia capace di ricevere e restituire in modo sempre diverso quello di cui ha fatto esperienza. Come attraverso la pittura, la scrittura, la musica… c’é sempre un processo di rielaborazione attraverso i diversi media che si usano. Il corpo in particolare, perché è il punto di partenza per esperire qualsiasi cosa, é molto immediato in questa traduzione.

Pensi che a modo suo lo abbia fatto anche Moulin?

Sí, mi immagino Moulin guardare quella luce e quelle montagne, aver bisogno di farne esperienza giornaliere nel suo tentativo di restituirne la bellezza attraverso la pittura. L’ha studiato minuziosamente, prendendosi il tempo di viverla. 

8. La tua performance mi ha fatto pensare al tempo. Ci sono voci registrate in precedenza – quelle dei bambini del paese, che raccontano storie passate su Moulin- ma parlano anche del futuro in un paese così piccolo come Castelnuovo. E poi c’è la voce di Paliferro che è anziano e parla del suo passato, ma anche della sua idea di un futuro consapevolmente ancorato in un posto dove le cose sono semplici. E poi ci sei tu, nel qui e ora, che interpreti. Sembra quasi una interruzione della linearità del tempo, una sospensione: è corretto? Se lo è, puoi raccontare meglio la tua idea di tempo per questa performance?

In effetti alla fine la performance è diventata per me come un racconto in cui, in modo non cronologico, si notava l’intrecciarsi di passato e presente, in cui i ricordi passati erano impregnati di desideri presenti. Mi sono anche resa conto di come nel vivere è inevitabile percepire il tempo in un modo non cronologico.

9. Che messaggio ti ha lasciato Moulin? E Come lo vedi Moulin – e il suo messaggio – nel futuro?

Venendo da un ambiente in cui l’arte si fa in fretta e i tempi istituzionali per la creazione artistica sono sempre più brevi, penso che la testimonianza della vita artistica di Moulin sia veramente preziosa: Moulin ha dedicato la sua vita ad una ricerca artistica, dando il tempo alla realtà di manifestarsi e a se stesso di starci di fronte. Poi la decisione di lavorare in un luogo appartato mi fa riflettere su come sia importante non solo l’arte creata in ambienti artistici molto attivi, ma anche nei luoghi in cui sembra piú marginale. La sua visione ribalta il mercato e anche il festival Tracce di Luce lo fa, mostrando come anche in un piccolo paese del Molise ci sia tanto pensiero artistico e possibilità di scambio poetico prezioso. Infine, anche il suo rapporto con la comunità mi ha fatto venire voglia di avere io stessa una comunità per cui fare un lavoro artistico. Il poter dedicare la performance a delle persone specifiche (senza però escludere nessuno) é stata la cosa più preziosa che mi porto a casa.

10. Secondo me Moulin è il Molise e il Molise è Moulin: sembrano non esistere agli occhi di molti, un po’ per volere un po’ per le colpe di una società “disattenta” -a voler semplificare-Sei d’accordo?

Sí, io stessa ero stupita di venire in Molise, e mi sono accorta di quanto siamo attratti da luoghi o artisti considerati importanti dalla scena nazionale e internazionale. È un peccato e credo che festival come questi possano ribaltare la prospettiva su questo tema.

11. Ultima domanda, a proposito di “invisibilità”: qual è la condizione delle donne artiste, oggi? In Italia e nel mondo. E tu come la vivi?

Personalmente vivo in un luogo in cui ci sono tanti riferimenti di donne con ruoli importanti nell’ambiente artistico per cui mi sento supportata e spronata a fare lo stesso. É indubbio che ci sia ancora tanta ineguaglianza di opportunità, perché a pari merito un coreografo uomo avrà sempre piú ´autorevolezza´ rispetto ad una coreografa donna o ad una persona appartenente alla comunità LGBTQIA+. C’è lavoro da fare e spero di poter contribuire a questo anche in Italia in futuro. 

*illustrazione di copertina di Enrica Orlando