di: Stefano Meli
Denis Johnson – Einaudi 2019
C’è un’automobile a folle velocità in una disperata ricerca di qualcosa contro cui schiantarsi. Ci sono carceri e comunità di recupero, ci sono moribondi e “sfasciacarrozze per gente che si è distrutta l’anima” e poi ci sono delle lettere indirizzate a Satana, al Dottore, a Melanie, a Papa Giovanni Paolo altrimenti detto il signor Paolo, lettere al fratellino e alla sorellina.
Ritrovarsi da soli con qualcuno che non c’è o ritrovarsi con quel tizio che forse è un messaggero di Dio o forse qualcosa di peggiore e poi lì dietro l’angolo a fumare mi pare ci sia quell’altro tipo che non ha bisogno di droghe, si quel John il Più Strano di Tutti i Cassandra.
Bè, se la vogliamo dire tutta, c’è anche Susie che vive nel fango e “vuole farlo assaggiare a tutto il mondo”, che non fa altro che frugare nei suoi escrementi in cerca del tuo cuore spezzato. E tutto quel tempo a fare discorsi insulsi e a fumare sigarette fatte male e indolenza.
E poi, proprio lì, a bordo della giostra dove sei volato fuori al calar della notte e qualcuno gridava “ma dove stai andando”, ma chi accidenti lo sa dove stiamo andando. In quelle multiproprietà in paradiso color melanzana forse, dove puoi trovare Anthony “Buck” Rogers Restell che assomiglia al giovane Elvis Presley oppure “l’odore acre delle strade di Dylan Thomas”.
Ma alla fine questa generosità della sirena cos’è se non il tuo sguardo, Denis Johnson, senza il minimo giudizio sulla disperazione, sull’inquietudine, sull’oppressione, sull’abbandono, sulla desolazione, sulla nudità degli esseri umani che affollano confusamente questa strada chiamata vita verso una salvezza, una speranza, un sorriso.
Leggerti, Denis Johnson, significa avere a che fare da molto vicino con la forma e con l’essenza più buia, squarciata e immanente della nostra anima.
Vic Chesnutt, forse lui è un po’ come te. Bè, mettiamo su un suo disco. Direi.