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Intervista a CHEAP: colla, carta e Agitazione

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CHEAP Street Poster Art, quando si dice: un nome un programma.
Quattro parole sufficienti a condensare l’anima di un progetto: arte pubblica, riappropriazione delle strade e degli spazi, intesi come luoghi di lotta. Una lotta fatta di messaggi, di immagini, di colla e carta.
CHEAP è nato nel 2013 a Bologna, come Festival. Dopo 5 edizioni, ha deciso di trasformarsi in laboratorio permanente. Attraverso call for artists e collaborazioni con artisti nazionali e internazionali, il progetto opera nelle strade di Bologna e lo fa (cito direttamente le loro parole) “infestando i muri di poster, ridefinendo nuovi linguaggi visivi contemporanei, generando inaspettati dialoghi con chi attraversa e abita l’ambiente urbano”.
In altre parole, l’artista crea l’illustrazione, il collettivo CHEAP provvede a realizzare le stampe, da incollare per la città.
Sono due fasi distinte, ma entrambe necessarie alla definizione dell’opera d’arte come elemento di dialogo.
CHEAP ha lavorato sul paesaggio urbano di Bologna con street artists internazionali come 2501, Stikki Peaches, Hyuro, MissMe, MP5; ha organizzato nello spazio pubblico la prima azione in Italia delle Guerrilla Girls; ha accompagnato il progetto Referendum di Tania Bruguera; ha curato il progetto femminista di arte pubblica La lotta è FICA; organizza dal 2013 una call for artist annuale, che chiama a raccolta creativi internazionali di ogni disciplina visiva, in un poster contest che vede i manifesti selezionati, affissi nelle strade della città.

E così, non ho resistito al desiderio di fare una chiacchierata con il collettivo, per saperne di più.


CHEAP Street Poster Art: “progetto di Arte pubblica, Collettivo, Sguardo non obiettivo”. La definizione che date del progetto, arriva dritta al punto. Si parla di un percorso artistico che necessita di collaborazione e dialogo. Per questo mi incuriosisce molto lo “sguardo non obiettivo”. Sembrerebbe un proposito poco conciliante con l’intento di dialogare, ma mi pare sia una scelta di parole provocatoria, per riferirsi alla necessità di prendere una posizione chiara e decisa, per rivendicare la propria libertà di esprimersi. È così? In che modo questa libertà è minata, oggi?

Immaginiamo che possa risultare provocatoria, da parte nostra crediamo che rimarchi soprattutto la necessità che sentiamo di posizionarci rispetto allo spazio pubblico: ci piace pensare di essere ancora capaci di esprimere delle posizioni critiche sulla città, sul fatto che le città non siano degli spazi neutri ma luoghi in cui vengono innescati dei meccanismi di privilegio ed esclusione che si muovono anche sulla linea del genere, della razza e della classe.
Dichiarare di partire da un posizionamento ha con ogni evidenza delle ripercussioni sulla nostra pratica artistica e curatoriale: anche noi odiamo l’indifferenza e ci sentiamo più a nostro agio nell’ambito di posizioni partigiane.

Ho letto che l’utilizzo del paste-up (colla e carta) per voi non è solo una tecnica, ma una dichiarazione di intenti: “dedizione all’effimero, ricerca del contemporaneo come
temporaneo”.
Mi viene da pensare che, in questo senso, la carta non si differenzi molto dal mondo virtuale, che vive di wave virali, parole e dichiarazioni che facilmente cadono nel dimenticatoio o, al contrario, possono assumere un valore enorme, rispetto al contenuto che effettivamente possiedono in partenza. Dunque, a parità di temporaneità, cosa può rendere permanente un messaggio? (O più permanente).
Ed è in questo senso che avete scelto di passare dal format del festival, a quello del laboratorio?

Purtroppo, continuiamo a trovare i paragoni con il virtuale forzati: CHEAP si innesta matericamente sul paesaggio urbano ed ha la capacità di farsi corpo presente, pur facendolo con un materiale instabile come la carta. Personalmente sento la nostra pratica più vicina alle arti performative: non solo perché di fatto le nostre affissioni notturne in strada sono un gesto performante ma soprattutto per la natura effimera del nostro lavoro – più instabile della carta è il tempo, che è il regno della performance.
Sull’impermanenza abbiamo costruito un progetto e una delle mission di CHEAP non è lavorare sulla durata di un messaggio ma sul cortocircuitare con la nostra pratica i paradigmi della rappresentazione nello spazio pubblico – e non nascondiamo di riporre delle speranze nel fatto che questo incessante e continuo logorio apra delle brecce nel panorama asfissiante dello spazio pubblico delle nostre città.
Essere laboratorio permanente per noi è anche questo: la possibilità di lavorare con una prospettiva più ampia di quella di un festival, di riprendersi il proprio tempo per poter dedicare anni a un progetto o al contrario per poter andare in strada dopo 36 ore da un’epifania. In qualche modo, questa scelta ci ha restituito il nostro tempo e penso che questa sia la definizione di lusso.

Tra gli altri, avete curato anche il progetto La lotta è FICA. Cos’è oggi, per voi, il
femminismo?

Per noi il femminismo è la soluzione. Anzi il transfemminismo intersezionale è la soluzione!

Però a questa difficile domanda proveremo a rispondere riportando quanto abbiamo scritto anche nel nostro libro As CHEAP as possible (auto- pubblicato a metà del 2022 e che si può trovare nel nostro shop on-line): “il femminismo è il patto che sta alla base dell’agire di CHEAP: a partire dalla scelta del nome collettivo che opera un sabotaggio del concetto di autorialità, fino alle pratiche di riappropriazione urbana che richiamano il percorso delle Guerrilla Girls e delle femministe con le più disparate provenienze e ondate”. CHEAP vuole rompere il canone delle rappresentazioni, interrompendo la continuità delle narrazioni consone, andando a destrutturare il patriarcato che si è fatto città. Lo facciamo scheggiando la lente che riproduce il “male gaze” e ci piace pensare alla nostra pratica come una guerrilla semiotica che si attiva introducendo nel paesaggio urbano un’alterità di soggetti, desideri, di sguardi e di nuovi segni di liberazione, per turbare il bianchissimo paradigma etero-patriarcale attorno al quale si organizza l’ordine del simbolico nello spazio pubblico.

L’ultimo progetto di CHEAP è ICONS, una call for posters dedicata a icone defunte.
La prima icona che avete scelto è David Bowie, per voi “un lutto ancora irrisolto”.
Perché lo è?
Bowie in oltre 50 anni di carriera, ha incarnato una galassia di identità, definendo stili e attraversando generi, performando immaginari che hanno stravolto i paradigmi esistenti: Starman, Duca Bianco, talento pop, icona glam, suicida rock’n’roll, Re dei Goblin, eroe per un giorno, vampiro, uomo caduto sulla Terra, Ziggy, agente Jeffries fino ad affrontare in qualche modo il tema della sua stessa morte e resurrezione con Lazarus. Quale personaggio migliore per sperimentarci sul tema del lutto? Se il lutto è anche il prodotto di rappresentazioni collettive, ci interessava provare a testarle nel formato del manifesto nello spazio pubblico della città. Una forma di rielaborazione collettiva in stile CHEAP.

I lavori selezionati per questa prima call sono tutti molto interessanti, perché offrono una visione personale dell’icona. Tra i miei preferiti c’è sicuramente il lavoro di Fumettineri, che ha proposto una rivisitazione della copertina di Heroes, mostrando il volto di Bowie oscurato e la citazione parafrasata dal testo di Heroes “we can’t be heroes”. Da we can, a we can’t, quindi. Che ci è successo da allora?
Mi sono chiesta cosa ne pensiate voi, e mi pare di aver trovato una risposta implicita nel bando per la prossima call for artist “Agitatevi”. Potreste raccontarci di più?

In questo “Agitatevi” c’è tutta l’urgenza di cambiamento che sentiamo sul piano politico, ambientale, sociale e anche culturale. C’è l’idea che serva agitazione anche per ridefinire i paradigmi della rappresentazione nello spazio pubblico, per ricontrattare il diritto alle città e ad un’idea meno meschina di cittadinanza.
La call for artist di CHEAP è l’invito annuale a contaminare lo spazio pubblico rivolto a artistə che utilizzano linguaggi visivi contemporanei: la partecipazione avviene attraverso l’invio digitale di poster che, se passeranno la selezione, verranno stampati e affissi nelle strade di Bologna. Ogni anno la call for artists raccoglie il contributo internazionale di centinaia di artistə che si occupano di grafica, illustrazione, lettering, fotografia, collage e tecniche miste: un campionario visivo ampio come l’immaginario che hanno saputo ricostruire negli scorsi anni, su temi come SABOTAGE, DISORDER, RECLAIM e ON FIRE.
Per questa edizione 2023, che arriva nel decennale della fondazione del progetto di arte pubblica su poster, abbiamo volutamente scelto una citazione di Gramsci, affidando l’Agitatevi dell’intellettuale antifascista, alle visioni contemporanee che la call for posters raccoglie.
La call è ogni anno tematica, politica, immaginativa: i titoli non vengono dipanati interamente, rimangono aperti all’interpretazione di chi vorrà̀ cogliere l’invito, ridefinirne il senso nel formato del poster.
La call for artists è tutto ciò che sopravvive del festival: l’invito annuale, aperto a chi si occupa di visivo in tutte le declinazioni e media praticabili, rimane il core del progetto di arte urbana nel suo essere riappropriazione collettiva di spazio e di discorso pubblico. Se da una parte l’operazione riesce ad essere una ricognizione nei linguaggi visivi contemporanei, dall’altra attiva un percorso di partecipazione, questo inferno artificiale a cui nemmeno CHEAP è riuscita a sottrarsi, seppur mantenendo modalità̀ proprie nel gestirla.
Nel tempo, il potenziale eversivo di questo strumento si è palesato sui muri della città: la call for artists è anche un incredibile dispositivo decoloniale, in grado di accogliere e amplificare altri sguardi e immaginari, stratificati in carta sul paesaggio urbano (e italiano e europeo e occidentale) di Bologna – una forma di attentato alla bianchezza che CHEAP si augura possa solo moltiplicarsi.
La deadline per la partecipazione è fissata per il 7 Luglio 2023. A questo link, è possibile leggere il regolamento e mandare la propria application.

L’immagine di copertina è di Margherita Caprilli (e la trovate su cheapfestival.it).