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Appunti sparsi su qualunque argomento che potresti aver scritto anche tu. Ma, purtroppo per me, li scrivo io e li dedico a chi affronta la vita con un White Russian in mano sognando un mondo migliore. Ma poi ci ripensa perchè tanto, alla fine, il mondo è di chi si fa la foto sorreggendo la Torre di Pisa. E va bene così.

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Il Monte di Pietà dei cuori spezzati

di:

Autunno, un anno qualsiasi in una città qualunque.

In un teatro sospeso nel tempo lo spettacolo si avviava alla fine, tra le continue risate di quell’anonimo pubblico pagante e gli spifferi di aria fredda che di tanto in tanto si insinuavano fra le poltrone delle ultime file. Ultima battuta. Applausi. Inchino. Ancora applausi. Il sipario si chiude. Abbracci con gli altri attori. Sorrisi. Poi, finalmente, da solo, davanti allo specchio a togliere quel trucco che lo aveva protetto non si sa da cosa o da chi. Forse dal mondo. Forse da sé stesso. Probabilmente da nulla.

Raccolse le sue cose, le sue poche cose, infilandole distrattamente in uno zainetto tanto carico di anni da meritare quasi un reverenziale rispetto.

Uscì, lento e di soppiatto, dalla porta di servizio e rapido si infilò nell’oscuro vialetto bagnato da un autunno che iniziava a far sentire la sua voce umida.

Fuori cadeva la pioggia. Lenta, lentissima. Quasi indolente. Cadeva su di una città troppo impegnata sui social per poter apprezzare il suono delle grondaie gocciolanti e troppo distratta dal proprio io per poter assaporare l’odore di quella ennesima estate che stancamente si apprestava a morire.

In una città senza nome, fatta di strade lastricate di conchiglie e di vetri rotti, il vecchio pagliaccio trascinava i suoi trenta o quarant’anni tra i vicoli impregnati di nebbia e del chiacchiericcio della gente.

Camminava con gli occhi sopra i tombini mentre con la mano in tasca giocherellava con poche monete e con l’altra lanciava ad un arruffato cane randagio che lo seguiva il freddo tramezzino dal sapore metallico. Sebbene non lo avesse ancora deciso, sapeva già dove i suoi piedi lo stavano conducendo in quell’apparente girovagare senza senso tra le vie anonime di quella città ormai straniera.

All’angolo tra via dei Mille e San Sisto, quattro civici dopo il kebabbaro, incastrato tra la parafarmacia e l’agenzia di pompe funebri, un grigio palazzotto di fine Ottocento con poche finestre prive di fiori e una porta con sopra una logora insegna: “Monte di Pietà dei cuori spezzati”. Il vecchio pagliaccio era esattamente là dove inconsciamente avrebbe voluto, o forse dovuto, essere. Con la determinazione negli occhi decide di entrare e con mano tremante apre la porta.

– Buonasera…

Da dietro una nuvola di polvere spunta un vecchiuomo, che canticchiava con accento romano e si esprimeva con silenzi siciliani, con il volto segnato dalle rughe infoltite dal tempo, piccoli occhi luccicanti di un grigio freddo come l’acciaio, una foltissima chioma dello stesso colore di una nuvola carica di tuoni e spessi occhiali a cavallo di un naso sottile.

– Salve… mi dica.

– Ehm salve… vorrei dare in pegno il mio cuore… è possibile?

– Certo che è possibile caro giovanotto! Suvvia, mi faccia vedere questo suo cuore…

Il vecchio pagliaccio si infila una mano nel torace e ne tira fuori un palpitante cuore che, con delicatezza, ripone sul ligneo bancone.

Il vecchiuomo prende il cuore e lo porta davanti alle sue spesse lenti. Lo osserva, lo soppesa, lo valuta e infine, con uno sbuffo gentile, lo ripone sul bancone.

– Caro giovanotto, per questo povero cuore le posso dare davvero poco, pochissimo…troppe crepe, tante ammaccature…e guardi che colore! Non più il vivo rosso della passione ma il colore triste del dolore…Difficilmente riuscirei a rivenderlo senza prima sottoporlo ad un costoso restauro…No no caro giovanotto, con questo cuore così malandato difficilmente ci farei un guadagno qualora non dovesse tornare per riscattare il pegno …

– Ma… guardi… io capisco, il fatto è che, mi creda, ho davvero bisogno di qualcosa…

– Guardi giovanotto, le voglio venire incontro… se mi vende anche il suo sorriso posso agevolarla e darle qualcosa in più.

– Ma è il mio ultimo sorriso, non ne ho altri…

– Guardi giovanotto, le posso fare un buon prezzo… i sorrisi, al giorno d’oggi, si vendono subito e li pagano bene. Non come i cuori spezzati, di quelli il mercato ne è saturo, non c’è richiesta, a parte qualche artista in cerca di ispirazione per le sue tragedie, una manciata di filosofi nichilisti all’inseguimento di un sogno rivoluzionario che li condurrà alla solitudine e poveri attori drammatici alla ricerca di una lacrima sincera. Un sorriso vale almeno quanto dieci cuori spezzati, si fidi di me, faccio questo lavoro da molto prima che il padre del padre di suo nonno vedesse la luce di questo strano mondo.

– D’accordo, ho capito. Se non è proprio possibile diversamente… ecco, prenda, il mio sorriso… è suo.

Il vecchiuomo, con gli occhi illuminati dal pensiero del futuro guadagno, prende il sorriso e lo porta davanti alle sue spesse lenti. Lo osserva, lo soppesa, lo valuta e infine, con uno sbuffo gentile, lo ripone sul bancone.

– Bene bene, molto bene caro giovanotto… dunque guardi, al momento i prezzi del mercato sono un pò bassi ma, come le dicevo prima, io le voglio venire incontro e quindi… mmm, vediamo… si, diciamo che per questo cuore e questo sorriso le posso dare 10 grammi di indifferenza e un quarto di litro di illusioni.

– Non è molto, ma va bene. La ringrazio.

– Allora siamo d’accordo. Ora lei ha 30 giorni di tempo per riscattare il pegno, in caso contrario io sarò autorizzato alla vendita dei suddetti beni. Una firma qui, qui e anche qui…. ecco, perfetto. A lei.

Il vecchiuomo sorride, saluta e sparisce in una nuvola di polvere.

Il vecchio pagliaccio esce dal grigio palazzotto di fine Ottocento con poche finestre prive di fiori e una porta con sopra una logora insegna: “Monte di Pietà dei cuori spezzati” e si incammina su strade lastricate di pioggia, inghiottito dalla nebbia così come un sogno che alle prime luci dell’alba sfuma fino a dissolversi in una sensazione impalpabile e lontana.

Fu trovato il giorno dopo, ai piedi di un melograno, con un sorriso sereno e con una rosa in mano.